opinioni

Vittorio Foa maestro politico e di vita

martedì 21 ottobre 2008
di Giuliano Santelli
Via Vetere a Milano era la sede di Democrazia Proletaria, nel 1977 avevo 23 anni, lavoravo in Fiat dal 71, ero appena stato eletto delegato di reparto, orgoglioso della mia tuta blu, vera “identità” per quella mia generazione dal grande senso di appartenenza. Ci riunivamo in quella sede simile ad un fortino, con il cancello di ferro perennemente sporco di fumo di molotov che i fascisti milanesi, quelli di La Russa, De Corato e camerati tiravano periodicamente. In una sala grande del primo piano, tramezzata da un grande drappo rosso a mo' di quinta ci si ritrova nel coordinamento operaio del milanese. La convocazione che arrivò per l’ennesima riunione aveva all’ordine del giorno “incontro con Vittorio Foa” dirigente della Cgil passato al PDUP e leader della cosiddetta terza componente della CGIL. Con lui autorevoli dirigenti, Elio Giovannini, Renato Lattes, Mario Baldassarri, periodicamente tenevano dei veri i propri seminari sulla contrattazione sull’organizzazione dei Consigli dei Fabbrica. Quella è stata la mia vera scuola di formazione politica. Vittorio Foa sedeva al centro della sala, gli eravamo intorno a circolo; anche quella era novità voluta da lui, non separava il leader dagli altri, con quella sua voce rauca, spiegava con una capacità comunicativa non comune, concetti quali capitale, conflitto di classe, rapporto produzione lavoro, organizzazione dei consigli e dava sempre contributi assolutamente originali e innovativi sul che fare. Aveva una radicalità di contenuti e una capacità razionale nello spiegarci come raggiungerli non cadendo mai nel settarismo e nel minoritarismo molto diffuso allora. Eravamo come diceva lui delle “avanguardie”, avevamo il dovere e la forza di spingere in avanti obiettivi che perennemente erano mediati e spesso al ribasso dalla grande tradizione di fabbrica dei quadri del PCI sempre più “Stato” e meno movimento. Vittorio Foa era un uomo rigoroso, antagonista, acceso nemico ad ogni accenno di fiancheggiamento al terrorismo che proprio nelle fabbriche cercava consensi. Lo rividi molti anni dopo, ad Orvieto, con la sinistra alle prese con una diaspora mai finita, lo salutai, gli raccontai di quel nostro primo incontro, si ricordò di quel giovane delegato poco convinto e molto critico sul ruolo del sindacato di allora, sul suo libro “Il Cavallo e la Torre” mi scrisse una frase di Pessoa che rileggo spesso. Buon Viaggio Compagno Vittorio. Tutto ciò che è stato, se lo abbiamo visto quando era, quando se ne va è tolto da dentro di noi. Alla fine rimane ciò che è rimasto di ieri e ciò che rimarrà di domani: l'ansia insaziabile e molteplice dell'essere sempre la stessa persona ed un'altra. Fernando Pessoa