opinioni

SINISTRA (dopo Roma): Discussione aperta a tutte/i. Stimolare l’emergere di una nuova classe dirigente per un progetto condiviso dei territori.

martedì 29 aprile 2008
di Rodolfo Ricci
Non mi soffermo sull’analisi della sconfitta epocale della sinistra; non perché non ce ne sia bisogno (anzi è un obiettivo prioritario che occuperà i prossimi mesi e anni), ma perché credo che l’analisi e il progetto di ricostruzione a sinistra deve ripartire proprio dal metodo che si userà per percorrerli. Suggerisco una discussione aperta a tutti quelli che ne sono interessati: questo è infatti il primo confine da superare subito, cioè una discussione che non può rimanere chiusa dentro ciò che resta delle rappresentanze partitiche. Il risultato della sinistra ad Orvieto e nel comprensorio è ancora più nitido del risultato umbro e nazionale: si partiva da percentuali 4 o 5 volte maggiori, addirittura con ambizioni di competizione per la guida della città. Non c’è voto utile che tenga –almeno qui, purtroppo- a giustificare il tracollo. Il responso delle urne è impressionante. C’è bisogno di sinistra? Direi che neanche coloro che hanno militato per decenni nella sinistra possono essere convinti con argomenti nominalistici o simbolici. C’è bisogno di risposta convincente ad una infinità di situazioni, di problemi, di domande parcellizzate e a prima vista contraddittorie che emergono dai territori e che si congiungono -questo è molto importante- a dinamiche globali. All’aumento della parcellizzazione degli interessi e delle spinte ideali e valoriali, ci troviamo, paradossalmente, ad una semplificazione categorica e mirata del quadro politico, che oggi propone solo due varianti solo parzialmente antitetiche, più spesso contigue e comunque entrambe accessorie a ciò che, sopra di loro, comanda, letteralmente “impera” secondo la nuova dogmatica del mercato globale e delle sue dinamiche “indipendenti e naturali”. Questa paralisi evidente del sociale e del politico rispetto all’economico, è, io penso, uno dei motivi principali del risultato elettorale italiano che, in mancanza di alternative credibili, riconosce prevalente possibilità di incidere sul quadro dato, a quei soggetti politici che lavorano ad una sorta di autodifesa verso tutto ciò che sembra mettere in discussione il posticcio e provvisorio benessere –scarso e solo materiale- a cui i 40 anni dopo il ‘68 ci hanno abituati. Dietro la vittoria delle destre c’è cioè il sentimento del crollo incipiente, della grande crisi che si avvicina, e quindi dei nemici che si moltiplicano come in un turbine di fantasmi che attaccano il quotidiano: Cina, Immigrazione, Stato fiscale, ecc. Ma, paradossalmente, la vittoria delle destre -completa dopo il risultato di Roma-, mostra la voglia di un ritorno in grande stile allo Stato (nazionale) visto come estremo difensore degli interessi/privilegi acquisiti negli ultimi decenni: Stato che deve difendere gli interessi dei piccoli/medi produttori, della massa di lavoratori/consumatori, della massa dei timorosi che hanno il terrore di “perdere” uno status identitario (sociale, culturale, nazionale) che in effetti non c’è –è del tutto posticcio-, ma c’è in quanto riprodotto quotidianamente ed egemonicamente da un enorme apparato di propaganda. Se la sinistra è interessata a combattere e a vincere contro questa enorme sfera sovrastrutturale che letteralmente protegge e nasconde il nucleo del problema, alimentata da un complesso mediatico costruito ad hoc, è obbligata a fare una sua rivoluzione interna. Che consiste innanzitutto nel riconoscimento della impossibilità della semplificazione: questo vuol dire in estrema sintesi “sinistra plurale”. Cioè riconoscimento della pluralità di condizioni, di problemi e prospettive di lettura individuali e di gruppi sociali. E quindi, riconoscimento della ricchezza sociale presente che deve avere voce e pari opportunità di espressione e di uditorio. Ovvio che le nuove classi dirigenti della sinistra non possono essere semplici somme di poche presunte entità identitarie, che nell’immaginario delle persone valgono come gli altri innumerevoli altri gruppi o lobbies che si muovono a livello sociale e a cui, proprio per ciò, non viene riconosciuta più capacità di rappresentanza. Questo significa “la Casta”. Intanto, quindi, le future classi dirigenti, devono essere plurali e aperte ad un interno proliferare di competenze e di saperi, politici e non. Tanto aperte cioè, quanta è ampia la capacità del cosiddetto mercato, di produrre merci personalizzate che soddisfano la varietà (tutta costruita dal marketing) dei consumatori, ovvero delle “macchine desideranti” e non dei “puri soggetti razionali” che costituivano il mondo della politica nel ‘900. Tanto aperte –per ciò che riguarda la sinistra- quanto è ampia la capacità dei singoli soggetti e persone di produrre direttamente la propria condizione di sopravvivenza e di vita (ciò che avviene spesso al di là e contro la politica). Tutto ciò si misura nel globale (e tanti segni sono già presenti, come l’emergere dei paesi in via di sviluppo e quello di interi continenti, come l’America Latina, ben oltre una rinsecchita sinistra europea, che mostra le poche novità solo dove è in grado di andare oltre le proprie tradizioni storiche come in Germania) e si misura nel locale, ove i modelli di assetto e di sviluppo dei territori non possono essere copiati o mutuati per forza da altri modelli solo per il fatto di aggettivarsi come moderni (fatto che si è ripetuto e si continua a ripetere anche a sinistra) a discapito dell’effettiva vivibilità e di opportunità occupazionali nuove per le quali necessita però una potente capacità di progettazione e di messa in gioco di ogni variabile o fattore/soggetto produttivo. Rapporto PIL-Ambiente-Beni comuni… Non si vede proprio alcuna necessità e interesse di continuare in una gestione del coeso tran-tran istituzional-clientelare che ha contraddistinto molti anni di azione a sinistra anche in vaste zone del Centro Italia e ad Orvieto, che, anche se ha ottenuto storicamente risultati significativi, corre oramai il rischio di essere interpretato sempre più frequentemente sotto la categoria della casta. Ma cosa può unificare questa auspicabile pluralità di letture e di intenti che può diventare nuova classe dirigente ? C’è una semplice considerazione che ha mobilitato milioni di persone in tutto il mondo negli ultimi 10 anni (e prima): che un mondo migliore è possibile e necessario. E ciò da solo può differenziare la sinistra da tutti quelli che immaginano che questo mondo vada o mantenuto così com’è, o solo amministrato e regolato un po’ meglio. Ma l’altra condizione indispensabile è che il sistema di rappresentanza sia sempre più implementato da forme di ampia e diffusa partecipazione e confronto al di là del momento del voto. Le enormi contraddizioni che abbiamo di fronte, il crollo del capitale finanziario e della miseria del pensiero unico neoliberista in tanti paesi dalla fine degli anni ’90 fino al 2002, ma ora anche nelle roccaforti della nuova finanza (Uk e USA), dimostrano –come al solito- che in Italia arriviamo con diversi decenni di ritardo all’appuntamento con la storia, o che, peggio, siamo un paese in cui strutturalmente convivono “la borghesia più ignorante d’Europa” come diceva Pasolini/Orson Wells ne “La ricotta”, insieme ai presupposti permanenti di regressioni razziste e fasciste causate dall’impotenza della politica nostrana e dall’incapacità di far emergere una nuova interpretazione, egemonica in quanto condivisa, della fase storica che attraversiamo. Ed è davvero sorprendente che la nostra capacità di analisi sociale e politica, che per decenni è stata un riferimento per molti nel mondo intero, sia oggi un sbiaditissima immagine di ciò che fu. Soprattutto perché proprio ora, come già accennato, la insostenibilità delle condizioni globali comporterebbero la possibilità di un ritorno alla Politica e allo Stato da sinistra e non, viceversa, da destra, come è accaduto e sta accadendo con gli eventi dell’Aprile 2008. Tremonti, vero cervello del nuovo governo di Berlusconi, interpreta questa straordinaria novità (fatta di neoprotezionismo e di critica allo status-quo con accenti no-global), e indica in fin dei conti, il ritorno della politica sulla scena. Una politica ed uno Stato che si intenderanno tendenzialmente autoritari, come accade in ogni situazione di crisi, poiché le condizioni straordinarie lo richiedono. Lasciamo ai volenterosi la possibilità di confrontare gli esiti che ebbe la grande crisi del 1929 nei diversi paesi e nel nostro, in particolare. Abbiamo parlato di Sinistra, ma pare più che ovvio che queste riflessioni riguardino in tutto e per tutto quella debole entità, nata post-matura, che si chiama Partito Democratico, almeno quella parte di classe dirigente di questo partito più attenta alla concretezza delle questioni che alle alchimie costituzionali o di semplificazione del quadro della rappresentanza: il quale potrebbe ulteriormente semplificarsi anche in direzioni non gradite… C’è quindi molto da capire e da ri-studiare. C’è molto da lavorare, insieme. E’ del tutto chiaro che a questa discussione debbano partecipare tutti, compresi coloro che sono stati bocciati dal risultato elettorale nella loro qualità di dirigenti. Ma essi non hanno titolo adeguato per dirigerla, o orientarla. La scarsa abitudine e volontà di coltivare le migliori piante, fa sì che il territorio venga talvolta colonizzato dall’erba gramigna, o, se dice male, diventa un deserto. Per questo la varietà, la libera relazione e il confronto tra le “macchine desideranti” è uno dei beni comuni principali. Da tutelare e da coltivare. Siccome c’è solo un anno per la prima raccolta utile, la nuova semina deve cominciare subito.