opinioni

30 aprile 2002: addio Caserma Piave. Per non dimenticare

martedì 29 aprile 2008
di Silvio Manglaviti
Le ultime connection che coinvolgono personaggi aventi a che fare con le sorti del Casermone, invocano alcune considerazioni al riguardo; in difesa della Memoria cittadina e di chi ha servito e serve lo Stato in risposta pronta e consapevole a quanto stabilito dalla Costituzione repubblicana e dalle Leggi. Il 30 aprile 2002 la Bandiera di Guerra del Terzo Reggimento Granatieri di Sardegna "Guardie" lasciava la Caserma Piave in Orvieto. L’evento fu di per sé emblematico. Le ‘Bandiere di Guerra’ sono infatti simboli “sacri”, “reliquie” di Pensiero e Valori piovuti nel nostro spaziotempo da Culture altre e ben altre Civiltà. E proprio l’appellativo ‘di Guerra’ deve esser letto ed inteso quale espressione fenomenica di una peculiare Weltaschaung ben sapendo che, quale significativo termine di riferimento, possa prestare facilmente il fianco a reazioni antagoniste pregiudiziali tanto quanto a celebrativismi veteroretorici. Non bisogna essere ipocriti col concetto di ‘guerra’. Spesso ci si dimentica che i valori di Pace possono essere tali soltanto se visti in contrapposizione netta ed incontrovertibile a qualsivoglia forma di violenza e atto bellico. La Pace rigetta l’odio, il non rispetto dell’altrui libertà, del Lebensraum di ciascuno. Pace giustapposta a Guerra. Ma la Pace è una conquista dello Spirito, dell’Anima, del Cuore di ogni individuo. E ogni conquista comporta la lotta. Guerre sante e sante guerre sono prese in giro a danno dei gonzi. Ma le guerre che hanno consentito di costruire passo dopo passo la nostra Nazione, sono il risultato comunque di atti di Popolo. La Libertà di Pensiero e di Espressione di cui godiamo sono fradicie del sangue dei nostri padri e dei nostri fratelli che si sono sacrificati ed immolati nelle guerre in nome di idee, ideali, sogni e speranze. Che poi ci sia sempre qualche oligarchia (più o meno plutocratica o ideologica) sempre pronta a strumentalizzare il Sentimento, a salire sul carro del vincitore di turno e a cavalcare l’ondata prospera del momento, beh, questa è tutt’altra faccenda. La digressione era necessaria per contestualizzare appieno il senso di disagio che caratterizzò quel 30 aprile. Quando una Bandiera di Guerra, custode di determinati Sentimenti e Tradizioni, se ne va, porta via con sé qualcosa e qualcos’altro muore. E il condannato a morte fu - manco a dirlo - proprio la Piave. Come ogni esecuzione che si rispetti anche questa ebbe i propri carnefici e il boia esecutore. E la sentenza celebrava un qual certo new deal che andava via via prendendo forma nel contesto della cornice rupestre, topico stadio di un processo di ‘normalizzazione’ nel nome di un’utopica unità culturale che non prevedeva più sull’acrocoro la massiccia e/o significativa presenza di cittadini orvietani impiegati nelle caserme militari: in abito civile o in divisa. Già nel 1956 una figura intellettuale del calibro di Renato Bonelli denunciava il “peso notevole, economico, materiale e psicologico” che comportava per Orvieto la “permanenza periodica di un alto contingente di soldati” e del grave “errore commesso … con la costruzione del centro militare all’interno del nucleo storico” della città. Erano tempi manichei. Dicotomici. C’erano la Guerra Fredda e il Muro di Berlino. Peppone e Don Camillo ben sintetizzavano la situazione politico-sociale italiota e uno pseudo-boom alle porte preannunciava mentore ipocrita l’austerity spadadidamocle sulle nostre teste ignare e ancor alle prese con le pance piene e la sisal. Ma tanto bastò per recepire l’autorevole riflessione accademica bonelliana come indicazione di una direttrice progettuale prioritaria da imboccare ed obiettivo da perseguire. L’enfatico “via i militari da Orvieto” divenne imperativo categorico e i militari visti alla stregua di lebbrosi ‘sporchibruttiecattivi’ da emarginare e rigettare. Bonelli non poteva ancora considerare l’apporto economico che una determinata presenza costante è in grado di garantire (soprattutto nei periodi stanca e magro turismo) e del ritorno d’immagine e della promozione a costo zero derivanti dai visitatori connessi alla presenza militare (Autorità; Giuramenti; parenti, amici, ecc.). Orvieto, anche grazie alle Caserme e al Casermone in particolare, poté evolvere da mèta da “treno popolare” a località turistica tout court. Al Bonelli e compagni (politicanti e non) mancava e mancò successivamente la lucidità di un’analisi serena. Cos’è la Piave? Una Caserma. Altro non avrebbe mai potuto essere. Con tale destinazione d’uso nacque e bonificò un settore cittadino marginale ridotto a “lupanare” persino. Tanti poi non hanno riflettuto su quanto accaduto in analoghe situazioni. Come mai Spoleto (terra d’origine del Consigliere Militare del Presidente della Repubblica) avrebbe fatto carte false pur di farsi riaprire il Reggimento (che fu chiuso come il nostro), ancorché anemizzato e ridotto a poco più che una esigua rappresentanza? Come mai Foligno (terra d’origine del Presidente della Regione umbra e località amèna lontanissima da ogni dove e praticamente irraggiungibile, se paragonata a Orvieto) s’è vista riconvertire in centro concorsi nazionale la locale caserma cittadina, già in odore di dismissione? Perché Perugia stessa se ne guardò bene dal condividere con altra sede la Scuola Lingue Estere dell’Esercito? Non solo perché pecunia non olet. Si tratta di presbitismo strategico sociale e culturale: politico cioè. Perugia, Foligno e Spoleto (a parte lo SMAL di Terni), stanno li a dimostrare che è vero che ad Orvieto stolte visioni han perpetrato scelte suicide. La Piave andava difesa ad ogni costo! La Piave ha pagato e sconta un’opportunista e caduca miopìa tattica; modus faciendi da ‘meglio un uovo oggi’, da carpe diem: “di rapina”, secondo un termine che gli storici usano per i corsari filibustieri. Beppe Grillo - passando in tournée, sulla Piazza d'Armi - con un urlo agghiacciante nell'umida notte rupestre, evocò i fantasmi dei soldati che a centinaia di migliaia avevano calcato nei decenni trascorsi (nell'arco di due secoli e di due millenni differenti) lo stesso proscenio. Il 30 aprile di ogni anno, la Bandiera di Guerra del Terzo passa in rassegna quelle truppe schierate sulla Piazza d’Armi ed onusta e austera sempre sarà brandita e garrirà al vento per ricordare agli smemorati l'impegno e l'assunzione di responsabilità consapevole dei figli migliori e più sani del Popolo Italiano verso la Patria e le Libere Istituzioni: avieri, fanti, bersaglieri, artiglieri, genieri, granatieri. La Piave (… che non è un parcheggio né tantomeno un contenitore di amenità …) è ancora là e si erge sulla Rupe stagliandosi erta vedetta sulla valle del Paglia, nell’auspicio che il fiume porti via con sé vergogna e millanterìa; fanfaluche e cialtronate, ipocrite chiacchiere e spicciola demagogia populista. Viva la Piave! … e se proprio non piace, si abbia il coraggio allora di raderla al suolo! Silvio Manglaviti, granatiere Foto tratta dal sito http://orvieto.it/casermapiave/

E per ricordare un sito internet dedicato alla Piave: storie e memorie di una vegliarda settantenne