opinioni

Uniti contro le droghe: Orvieto Città della Vita contro la morte

martedì 27 novembre 2007
di Silvio Manglaviti
LETTERA APERTA CONTRO IL DIAVOLO. «… La neutralità e la distanza oggettiva sono luoghi che non sono mai riuscito a trovare.» (Roberto Saviano, Gomorra, Milano 2006). Attenzione! Allarme! L’ennesimo sacrificio umano si è compiuto nella nostra florida terra orvietana; l’ennesima giovane vittima sacrificale; … proprio quelle dell’età che preferisce! La sagace morte – segaligna sinistra siringa – ha ammantato ancora del suo funesto velo le nostre dolci colline, calando su vigne e oliveti, celando perfino le roride nebbie, falciando precisa puntuale inesorabile la gioia di vivere, la speranza, la curiosità, la forza, l’indomabilità, la sfida, la scommessa, il progetto dei Vent’anni: cioè, la vita in erba; la vita in fieri. La Vita Spirito della Conoscenza. Attenzione! Aiuto! Ancora Orvieto. Gemellata con Scampia. Ancora una giovane Vita, sorella a quelle di Secondigliano. Noi Cavalieri orvietani dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, a Orvieto giusto un anno fa, parlammo di “droga e famiglia” (con contributi di magistratura, forze dell’ordine, comunità di recupero ed interventi delle strutture sanitarie pubbliche, di scuole e genitori). Tante cose interessanti emerse, certamente non nuove e senza pretesa alcuna di apportare soluzioni miracolose ovvero mistificanti panacee. Ma ricordo che mi colpì soprattutto la compostezza e l’attenzione degli studenti, dei ragazzi presenti. Giovani. Proprio quei giovani che vanno al macello, moderno sacello sacrificale. Eppure fui colpito proprio da loro, il che confermava l’idea in me consolidata di come fosse straordinariamente errato e fuorviante tutto quel che si dice sempre in (… e a s-)proposito delle nuove generazioni ritenute culturalmente deficitarie rispetto alle vecchie (cosa in ogni caso smentita dall’evoluzione culturale e tecnologica dell’essere umano da Neanderthal ad oggi!) e quindi non in grado di comprendere, capire, dunque di agire e costruire e trasformare e progettare. Come da logica benpensante e perbenista. Invece, poiché di generazione – ogni volta e grazie a Dio – ce n’è sempre una nuova, la Cultura aumenta: al bagaglio culturale, gnoseologico ed empirico, delle vecchie generazioni si aggiunge sempre lo Spirito di Conoscenza delle nuove. La Conoscenza in evoluzione, cioè; attraverso però – anche se non è detto; non è consequenziale – forme e strumenti nuovi di Ricerca e Comunicazione. Questi si diversi certamente da quelli utilizzati dalle generazioni precedenti. Differenze, varietà, queste si, ci sono ed è un bene che ci siano. Questo per dire che le giovani vite sacrificate attingono allo stesso brodo culturale che conosce benissimo e profondamente il fenomeno droghe … annessi e connessi. La distinzione tra vecchie e nuove generazioni non ha senso. È uno stereotipo … culturale. È una convenzione. Non c’è alcun ‘di più’ o ‘ di meno’ a livello cerebrale! Allora perché tanti giovani si rivolgono ancora alla droga? L’errore che si commette di fronte al fenomeno è la sottovalutazione del pericolo, il rigetto, la presa di distanza, la neutralità propria dell’osservatore dall’esterno, del pubblico, del passivo: di chi non ha capito un bel niente! O non vuole o fa finta di non capire. Se i nostri figli ancora crepano (‘morire’ è un termine troppo bello!) per overdose, è anche colpa nostra. La colpa deve essere identificata con la responsabilità. L’indifferenza genera la colpa più grave. Nel momento preciso in cui ci si chiami fuori da qualcosa ecco che invece si è dentro fino al collo. E quello delle lotta alla droga è uno dei tanti momenti di assunzione della responsabilità, forse e senza dubbio il più importante, tanto è ostico e malvagio. Le generazioni che vengono prima sono responsabili nei confronti delle successive. Sempre. E la colpa sta nel non saper e/o voler decidere – ogni qual volta se ne presenti l’occasione o la necessità – di rinunciare a qualcosa per il bene di qualcos’altro. I vecchi devono stare a fianco dei giovani e non sopra di essi, a giudicare o, peggio, ad indicare statici le vie da intraprendere e gli eventuali ostacoli da affrontare che, magari, nemmeno lontanamente si son sognati di affrontare almeno una volta! Chiacchiere. Non servono a niente. Cultura è saper comunicare. Se si crepa per droga è perché «droga» ha “comunicato” meglio e prima! Ma chi c’è dietro droga? droga ha un costo. droga si paga. Chi paga chi? Quanto? Come? Se mio figlio o mio fratello “si fa” è perché sa quel che sta facendo. E sta facendo qualcosa che ritiene essere buona per sé e, forse anche, in sé. Se crede che “farsi” sia cosa buona vuol dire che lo ha a sua volta estratto da un giudizio, da una ricerca – anche non consapevole – tra ciò che è bene e ciò che è male per se stesso. L’essere umano non nasce con la volontà di darsi la morte. Anzi, tutt’altro. È indaffarato a cercar di sopravvivere. Se giunge al punto di procacciarsi la propria fine, sia pure più o meno consapevolmente, qualche meccanismo è saltato. Qualcosa è stato mistificato. Comunicato non correttamente. Il sacrificio di un giovane è un ‘peccato mortale!’ perché depaupera la risorsa di intelligenza, energia per lo sviluppo delle generazioni successive e per l’evoluzione della società. droga è elemento che sancisce la rottura tra il Me ed il proprio Sé. Separazione che però è già avvenuta. Per mille motivi e in mille modi. È strumento per far compiere alla divisione, alla lacerazione interiore il salto di qualità: così è per l’alcool; così persino per “vizi” come fumare o compiere atti e gesta in disequilibrio; scardinati dalla consapevolezza di essere proprio qui e proprio adesso per fare: il ‘farsi’ è infatti surrogato del Fare. Dell’Agire. Compio, dunque Sono, perché un’azione è tale soltanto se pensata. Se consapevole. L’atto d’istinto è altra cosa. È “automatismo animale”. Sapere è conoscere e conoscere è operare scelte selettive consapevoli nell’infinito panorama di proposte che le risorse ambientali possono offrire a ciascuno di noi per vivere bene e al meglio qui in questo preciso istante. Saper riconoscere e scegliere però non è detto che sia semplice. In natura vince il più “furbo”! l’Intelligenza: cioè la somma di Sapienza e Prudenza. La prudenza è Forza nella misura in cui consente di agire in tempi e con modi consoni all’esigenza del momento. droga costa e si paga e come tale dovrebbe già costituire di per sé elementi filtro al suo smercio e consumo. Ma, tant’è. Qualcosa sempre ci attira verso il meno accessibile. Qualcosa ci fa superare limiti per andare oltre. È come un vizio di forma nel nostro desiderare. La tentazione, si dice, è forte e – a volte – è più forte. Ma come si può essere tentati dalla morte? In droga, tanto nell’assunzione come nel commercio, si manifesta il diabolico, la separazione, la divisione, la scissione: diavolo è parola greca antica che significa proprio questo. Tentazione e diavolo vanno a braccetto. La nostra intelligenza è minata. Ci si distrae dal ciò che è sicuramente e certamente migliore, positivo per tentare vie ‘alternative’ (?), forse all’apparenza più abbordabili, dimenticando presto dei costi, benefici, pro e contro. Forse è la paura di non avere abbastanza tempo a sufficienza? droga può risollevarmi da una difficoltà e, per giunta, può darmi anche piacere (che so caduco): è più che una tentazione. Proprio li sta la mistificazione. Mistificazione dei modelli, anche culturali. Non conta l’Essere ma l’avere e l’apparire. Io sono responsabile del sacrificio di mio figlio e di mio fratello perché non ho, non sono stato in grado di mettere in atto tutte le opportunità e le difese attive e passive, dirette ed indirette per contrastare questi strumenti di massacro che colpiscono soprattutto le giovani generazioni. Qualcosa mi è sfuggito. Non ho vegliato abbastanza. Non sono stato attento. Non ho visto le sue difficoltà. Non sono stato bene in ascolto del suo chiedere aiuto. Perché, siatene certi, almeno una o la prima volta, chi crepa alla fine di droga, ha chiesto aiuto. Droga è elemento da cancellare dalla faccia della terra e chi spacci, chi smerci, chi ne ricavi proventi dev’essere messo in condizione di non nuocere: perché questo è un cancro sociale; piaga pestilenziale; costo abissale per la società tutta. Orvieto deve e può farsi prima linea nella guerra contro le droghe. L’Orvietano conta tanti suoi figli sacrificati al vitello d’oro droga e questo è un vantaggio. È un vantaggio perché proprio partendo da quel sacrificio si può trarre Esempio e spandere Bene, così come l’essere umano primitivo imparò a conoscere gli alimenti buoni da quelli velenosi. Fianco a fianco tutte le generazioni possono e devono fare ciascuno la propria parte. Io devo farmi proattivo verso il mio prossimo interagendo con chi ho intorno, con chi è venuto prima di me e con chi è nato dopo. Si vegli, si isoli il bubbone. Mio figlio è morto in casa mia, tra le mie braccia. Non posso restare indifferente. Posso cercare e cercare di sapere. Posso conoscere e riconoscere. Posso ribellarmi e denunciare. Devo impedire che mi si faccia terra bruciata intorno per separarmi anche dai miei vicini, ora che mi è stato tolto mio figlio, mio fratello. È compito di tutti noi, la società, ribadire, urlare il nostro sdegno, la nostra denuncia, la vergogna. Noi non ci stiamo. Neanche stiamo zitti. La Parola è Pensiero e Azione. La Parola penetra. diavolo, ridi pure “sotto i baffi”, non vincerai la guerra. Te lo giuro. Per ogni anima che ti prendi, cento altre ti si scateneranno contro. Le tue battaglie sono perse in partenza e quel che ci togli ce lo riprenderemo con gli interessi. Un'altra giovane vita se n’è andata. Nessuna distrazione sia tollerata. Si sbugiardi la visione dantesca di un’Orvieto in perenne divisione. “Uniti contro le droghe” si gridi ancora come un anno fa dal Palazzo del Capitano del Popolo. Orvieto Città della Vita contro la morte. Qui si combatte. Non si ceda spazio alla droga. Non si presti il fianco a chi spaccia la morte perché ci trova occupati a pensare e fare altro. Questa è la vera emergenza. La priorità. La morte di un ragazzo. Che il sacrificio ennesimo scuota i nostri animi. … e quelli dei nostri “eletti” nei palazzi del potere … Silvio Manglaviti, cavaliere