opinioni

Coprifuoco orvietano

venerdì 6 luglio 2007
di Leonardo Riscaldati
Sabato sera, serata piacevole, Centro Storico di Orvieto. Caffè del Corso (ex Prosperini), sono le 22:50. Durante una passeggiata mi fermo insieme ai miei amici a prendere qualcosa da bere al bar per fare due chiacchiere all'aperto. Un amico, in ricordo dei bei vecchi tempi, mi propone una bella partita a biliardino. "Vai!", dico io. E mentre sto inserendo i 50 centesimi per giocare, Christian, il proprietario del locale mi stoppa: "Fermo, fermo, che non ci sono le palline!" "Perché?" gli chiedo. "Perché dopo le 22:30 se facciamo giocare a biliardino i clienti, gli abitanti che vivono intorno al bar si lamentano, fanno esposti e ci creano problemi". Incredibile. Assolutamente incredibile. Non ci sono più dubbi, siamo alla frutta. Ci lamentiamo tutti di un'Orvieto ormai pressoché deserta, della crisi nera delle attività commerciali, di un'economia sull'orlo del baratro e poi che facciamo? Appena c'è qualche uomo di buona volontà, che con impegno, passione ed a proprio rischio economico, cerca di creare qualcosa di utile anche per la città, cosa facciamo? Gli impediamo di crescere, lo "stroncamo sul nasce". Locali Come Il Caffè del Corso, Il Caffè Barrique ed Il Vincaffè, solo per citarne alcuni, stanno contribuendo in modo determinante a ripopolare l'Orvieto by night, creando occasioni di incontro, vita sociale, concerti e quant'altro. E invece no, “devono da morì”. E qui voglio essere chiaro. le responsabilità non sono solo dell'Amministrazione locale: un'amministrazione autoreferenziale, incompetente, totalmente indifferente rispetto ai problemi veri della popolazione e interessata solo al mantenimento del proprio orticello (“ste gente dovranno pure magnà”). Una gestione del potere priva di visione, di professionalità, competenze e capacità gestionali e manageriali (vedasi buchi, buconi e buchetti di bilancio vari). Tanto per dirne una: dopo anni e anni di consigli di amminstrazione, di risorse per Orvieto, di piani di marketing, di business plan, di mission, di vision, di tavole rotonde e abbindolamenti vari, la nostra lungimirante amministrazione quale grande progetto strategico ci propone per la Piave, ultimo baluardo per dare una svolta all'economia locale? Risposta: spostiamo gli uffici "pe risparmia'" sull'affitto. Bravi, complimenti. Senz'altro un modello di riferimento da esportare all'estero, un chiaro esempio dell'eccellenza organizzativa e progettuale italiana. Comunque non usciamo dal tema, parleremo di questo in un'altra occasione. Le responsabilità, dicevo, vanno attribuite in modo determinante anche alle altre categorie. Ai cittadini, che devono sforzarsi di capire una volta per tutte che l'unica possibilità di sviluppo di Orvieto è legata al turismo ed al ripopolamento del Centro Storico. Ma come fai a sviluppare il turismo, se non mandi verso l'esterno segnali di vita sociale, di movimento, di occasioni di divertimento continue e strutturate? Come è possibile, usando il linguaggio del marketing, posizionare la città di Orvieto sul mercato come luogo di vita sociale e di fermento se alle 22:30 io non posso più fare una cazzo di partita a biliardino? Se non appena il buon Christian organizza un sabato musicale nella piazzetta antistante il suo Caffè bisogna stare con i vigili urbani (che ovviamente nella faccenda non c'entrano molto) che ti puntano come pitbull, con il cronometro per farti staccare tutto a mezzanotte come Cenerentola? Guardate, sarò drastico, ma lo sapete che cosa mi sentirei di dire a chi si lamenta per una pallina di biliardino che osa fare rumore dopo il coprifuoco? Semplice, metti i doppi vetri alla finestra. Altrimenti, dico io, se vuoi stare nel silenzio, compra casa in campagna. Stop. Ultima categoria che deve ripensarsi drasticamente e rivedere le proprie posizioni sono proprio i commercianti, Non è possibile, tanto per riprendere l'esempio del concerto di qualche sabato fa, fatto fuori dal Caffè del Corso, che in occasione di manifestazioni che portano movimento a Orvieto, le attività commerciali restino chiuse. Io sono sempre più convinto che a Orvieto "semo boni solo a lamentasse". Ma che se poi c'è da cambiare qualcosa al nostro splendido isolamento andiamo tutti nel panico, anche per una ormai congenita incapacità di organizzazione, di progetto e di cooperazione. Visto che il venerdì ed il sabato a Orvieto c'è movimento, perché non ci si organizza per tenere aperte le attività commerciali almeno nelle zone più trafficate? Perché in parallelo non creiamo un piano continuativo di eventi e manifestazioni che invitino gente ad Orvieto? Pensate: il venerdì ed il sabato da Sant'Andrera al Prosperini in ogni piazza e piazzetta, e lungo la via, concerti, vetrine illuminate, gente che gira, che vede le merci, che compra le merci. O ancora siamo convinti che per far funzionare un negozio basta alzare la saracinesca e aspettare il cliente come trent'anni fa? Concetti sempre più determinanti come quelli legati al marketing, sembra che a Orvieto non siano proprio arrivati, Ci hanno schivato alla grande. Non è la gente che si deve adeguare ai tempi ed ai modi del negozio, ma è il negozio stesso che deve adeguarsi ai bisogni dei clienti. Bisogna svegliarsi e cambiare metodo, ripeto svegliarsi e cambiare metodo. Sennò zitti e mosca. La situazione ideale? I commercianti che si incontrano, si coalizzano, organizzano e propongono (perché ricordiamoci, le proposte devono venire dal basso). L'amministrazione si interessa, sostiene e stimola ('me starò a allarga'?). Si crea e si condivide un progetto, che dura per tutta la bella stagione (o perché no, tutto l'anno; bah, utopia?), che ogni venerdì e sabato propone qualcosa di nuovo ed interessante, magari nel tratto di strada e piazze che va dal Vincaffè al Caffè del Corso, così si comincia a riportare gente sulla rupe. I negozi nel weekend sono aperti anche la sera, e quindi sia benficiano della situazione, sia contribuiscono a rafforzarla. I cittadini che si rendono conto che è più importante fare vivere la città che lamentarsi di ogni pallina di biliardino dopo le 22:30. Si può fare. Anzi si deve per forza fare. Sennò è la fine. Allora, dico io, è ora di svegliarsi, tutti. Di darsi da fare, di rimboccarsi le maniche e di smetterla di lamentarsi in continuazione come fanno i bambini piccoli, senza in fondo fare un bel niente per cambiare le cose. Cari cittadini, commercianti, e amministratori locali svegliamoci tutti, che la situazione è sempre più grave, veramente drammatica: commercianti che prendono mutui per pagare le tasse dell'anno prima, giovani che non ce la fanno a pagare i mutui sulle case e che le perdono, famiglie che finiscono lo stipendio prima ancora di averlo incassato, tasse che manco lo sceriffo di Nottingham. Ma vi rendete conto che la situazione è insostenibile? Allora, dico io, ognuno faccia la sua parte, in fretta. Altrimenti, se siamo solo capaci di piangerci addosso senza fare qualcosa, secondo me significa che, in fondo, abbiamo quello che ci meritiamo e che non ci meritiamo nulla di più di quel poco che ci è rimasto. Allora, tutte le categorie si rimbocchino le maniche, che l'amministrazione si interessi veramente dei problemi veri, che faccia meno tavole rotonde, che piazzi meno figli, nipoti & co. nella cosa pubblica e pensi veramente a stimolare lo sviluppo, che i commercianti cambino radicalmente approccio al proprio lavoro, che i cittadini capiscano che devono a volte fare un passo indietro (ma, dico io, pensate che Riccione e le località della riviera adriatica o magari della Versilia, solo per citare le più famose, se avessero avuto abitanti così ingessati e rompi... sarebbero diventate quello che sono?). Il mondo è cambiato e continuerà a cambiare con ritmi sempre più frenetici. “Regà, o ce svejamo o semo tutti fregati”.