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A volte basta poco, davvero poco. Piccolo episodio di cronaca: cosa può fare un laico rianimatore

mercoledì 4 luglio 2007
di Monica Riccio
Un lampo. Un lasso di tempo infinitamente piccolo, a volte, ci lascia soli, nel buio, nell’indifferenza, nel dolore. Quello che ieri mattina è accaduto ad Orvieto Scalo, invece, ci può far capire che non siamo soli, che, a volte, basta poco. Un malore, una brutta crisi epilettica ha colpito un giovane uomo mentre, al volante, transitava nei pressi dell’incrocio tra Viale I Maggio e la Strada principale. Nel traffico, è rimasto bloccato nella sua auto in preda a convulsioni che poi lo hanno spinto a colpire con la macchina un cartello stradale nell’opposta corsia di marcia. In pochissimi secondi varie persone lo hanno soccorso, persone che erano lì per caso e automobilisti in transito. Il traffico era nel caos, e anche questa semplice gente era nel panico, quello che ti prende quando sai che c’è poco tempo. Tra loro un laico rianimatore, formato nell’ambito del progetto “Orvieto Città Cardioprotetta”, una persona qualunque che ha solo preso in mano un cellulare e ha chiamato il 118. Si è qualificato come laico rianimatore e ha chiesto aiuto, ha chiesto cosa fare, ha spiegato cosa stava avvenendo al ragazzo che, nel frattempo, aveva accanto un paio di persone che cercavano, se non altro, di farlo sentire meno solo, per quel che potevano. Il 118 ha spiegato cosa fare e cosa non fare assolutamente, e questo è stato fatto da quelle semplici persone che una mattina, per caso, si sono viste immerse nella solidarietà. Poi sono arrivati due tecnici “veri” del 118, che erano anche loro lì per caso e che hanno preso in mano la situazione. Quindi è arrivata l’ambulanza e il giovane è stato portato via, aveva gli occhi aperti, non capiva molto di cosa succedeva, ma era vivo e spero non si sia sentito solo, abbandonato. Ecco quelle persone, chi era al telefono, chi era nell’auto a tenere l’uomo girato di fianco, chi era accorso con l’acqua, chi si improvvisava vigile urbano e al centro della strada faceva cenno di stare attenti agli altri automobilisti: quelle persone avevano fatto “gruppo” senza conoscersi, senza essere mai state prima insieme. Non conosco le condizioni dell’uomo, spero stia meglio e spero sia accanto ai suoi cari. Quello che so è che gli orvietani, tanto bistrattati e spesso malmenati e calpestati da molte e molte ingiustizie, sono quelli che oggi hanno tirato fuori coraggio e grinta e non hanno girato la testa da altre parti o spinto l’acceleratore per andare via prima possibile. Quel laico rianimatore non è stato un angelo, è stato solo una persona che ha fatto in modo che le cose da fare fossero fatte, una semplice persona come le tante presenti in quel momento che, tutte, erano veramente preoccupate di fare il meglio. Per cui quando ci saranno altri corsi tanta gente dovrà partecipare, non per diventare eroi, perché nessuno prende il diploma da “eroe”, ma per “esserci”, per sapere cosa fare, per stare incollati al telefono con un medico dall’altra parte che ti dice cosa fare e cosa no. Solo così potremo essere presenti, essere parte di un miracolo che può avvenire. Il miracolo non è salvare una vita, ma mettere in atto tutte le nostre possibilità per farlo, senza voltarsi e senza defilarsi perché “nessuno può sapere né il momento, né l’ora”. Non abbiamo nemmeno un minuto, figuriamoci due.