opinioni
Un albergo nell'ex ospedale? non sarebbe poi così male... Quanto all'Università facciamone un campus eccellente alla ex Piave
lunedì 21 maggio 2007
di laura
So che non è facile esprimersi liberamente in questa città, perché si rischia di venire provincialmente annoverati/e nella schiera di questo o di quello, e magari anche di perdere il saluto o la considerazione di qualcuno. Ma tant'è, fedeli al nostro sforzo di perseguire, pur nell'umana fallibilità, un onesto, libero e concreto buon senso, oltre che un sincero amore per ogni sereno confronto, penso proprio che continueremo tranquillamente a farlo: come fossimo a Londra o a Parigi piuttosto che a Orvieto, che del resto per altri versi è, a giusto titolo, città internazionale.
La grande questione degli ultimi giorni è l'ipotesi, sempre più insistente, della vendita dell'ex Ospedale da parte della Regione, che ne è detentrice, a una grande catena alberghiera, per farne un albergo di lusso proprio sulla Piazza del Duomo. E - anche se non riesco a capire bene il perché - il grande scandalo, per cui un'intera popolazione si solleverebbe, è che il Centro Studi Città di Orvieto, col suo insieme di master e di corsi universitari, dovrebbe spostarsi alla ex Piave.
Credo che purtroppo, su questa come su altre questioni, si continui a ragionare non politicamente, ma surrettiziamente, perpetuando in ogni luogo e in ogni occasione l'astio e lo scontro tra le ex correnti DS (dico ex perché ormai dovremmo avere il movimento della Sinistra Democratica e la costituente per il Pd ) che, uscito dal partito, si sta comunque riproponendo a diversi livelli su varie questioni. Vedi ad esempio gli ultimi tesseramenti alla Te.Ma, vedi questa questione dell'ex Ospedale, sulla quale si dovrebbe discutere serenamente e nelle sedi deputate senza vedere sbandierate dichiarazioni che, sinceramente, in un sistema democratico suonano male.
Fa pensare, e molto, la dichiarazione di Stefano Cimicchi riportata questa mattina dal quotidiano on line Orvietosì. Riporto testualmente: “Voglio vedere chi in Consiglio comunale avrà il coraggio per votare un piano attuativo che dia il via libera alla costruzione di un albergo nell’ex ospedale.” Fa pensare sia perché in un assetto democratico, quale il nostro è, i consiglieri, purché convinti e purché ossequiosi di leggi e regolamenti – e in questo caso ossequierebbero le possibili prospettive dello stesso piano regolatore – non solo possono, ma devono avere il coraggio di votare quel che ritengono più opportuno; sia perché lo stesso Consiglio ha avuto, in passato, “il coraggio” di votare scelte forse ancor più impopolari e contrastate sulle quali nessun politico, se non dell'opposizione, e men che mai lo stesso Stefano Cimicchi ha mai gettato veti. Cito per tutte, a mo' di esempio, le contrastate vicende della Poggente e della ex Despina, o comunque le colate di cemento che con altri piani attuativi, non sempre ineccepibili, si sono abbattute in vari luoghi della città. Non esiste solo la Piazza del Duomo, infatti, non tutti i cittadini sono così fortunati da stare alle prese col traffico e con i problemi del centro storico, altri devono affrontare quelli, altrettanto se non più gravosi, di Sferracavallo e di Ciconia.
Comunque, indipendentemente dalle dichiarazioni di Stefano Cimicchi che, se come non ho ragione di dubitare sono vere, davvero sorprendono, voglio provare a ragionare su questa questione in modo scevro da personalismi e patriottismi, ponendomi in una dimensione per così dire “europea”, lontana dalle solite beghe e dalle solite zuffe di questa città. E mi dico: ma se l'ex Ospedale è “nostro” - simbolica proprietà che già mi procura un certo disagio, nostro di chi? Quando, se vogliono davvero svilupparsi, Orvieto e gli orvietani cesseranno di arroccarsi nel libero comune medievale e cominceranno ad entrare, pur con tutte le patrie radici e il patrimonio cittadino, nel mercato globale? - ammettendo che l'ex ospedale sia "nostro", dove sta scritto che è più nostro della Piave? E dove, soprattutto, che vederci o volerci qualcosa di diverso dal Centro Studi sia per forza di cose una “strategia demolitoria del cimicchismo”?
Non mi convince il ragionamento del collega Freddi, e spero con ciò di non essere considerata anticimicchiana perché, sinceramente, questo dividere il mondo in chi è pro o contro Cimicchi, o in chi è pro e contro Capoccia, mi ha stancato da tempo: significa far starnazzare troppo in basso, riducendole a eterni personalismi, politica e istituzioni, dare eccessiva importanza alle persone e poca alle prospettive e ai fatti. Non mi convince perché non credo affatto che sulla Piave, come afferma Freddi, si possa ragionare con freddezza mercantile e sull’ospedale no, che quello sia nostro e non la Piave, che “speranza e lietezza e futuro” possano abitare in Piazza Duomo e alla ex caserma no. E tanto meno credo che spostare il Centro Studi da Piazza Duomo significherebbe farlo perdere alla fruizione della Città (e qui, poi, dovremmo anche domandarci quanto finora ne abbia fruito) e segnare la fine dell’esperienza, e meno ancora che pensarlo alla Piave serva soltanto a procrastinarne “il certificato di morte”.
Ebbene - tirandomi fuori da questo continuo sfogliar di petali del “pro e contro chi” che avverto sempre più come pernicioso e vetusto, come una morsa che ancor più di altre tenta di schierare, impaurire e immobilizzare la città - vi dirò, ammesso che possa avere interesse, come la penso. E non tanto e non solo per dire come la penso io, ma perché spero che, nei commenti alla notizia, il mio editoriale possa magari stimolare una discussione collettiva.
Bene, in linea con molte normali esperienze italiane e internazionali, a dire il vero il Centro Studi Città di Orvieto lo vedrei proprio bene, anzi ottimamente alla ex Piave, dove potrebbe diventare, grazie agli spazi non solo interni ma anche esterni, un vero e proprio campus: come se ne vedono in Francia, in Gran Bretagna e, naturalmente a più grande dimensione, negli States. Un campus non lontano dal “centro”, anzi “nel centro”, - ché questa diatriba sul centro e il non centro di Orvieto, se rapportata ad altre dimensioni metropolitane, rischia davvero di rasentare il ridicolo – molto in accordo con la dimensione sempre più internazionale che per sopravvivere ed espandersi dovrà ricercare. Gli studenti stranieri, infatti, in genere sono abituati ad ampi spazi verdi intorno alle loro università, e in ben più dispersivi contesti non temono di prendere metro e autobus per raggiungere quello che vogliono raggiungere, figuriamoci se si sentirebbero scoraggiati dal fare qualche metro a piedi.
Il nuovo corso universitario che dovrebbe decollare poi, Scienze infermieristiche, non sarebbe per nulla fuori luogo accanto al Palazzo della Salute e, forse, anche rispetto all'assetto che potrebbe prendere, a seconda delle scelte, la ex palazzina comando. In ogni caso, giovani studenti alla ex Piave, magari a praticare anche qualche sport negli ampi spazi esterni, susciterebbero lietezza e speranza quanto e forse più che in Piazza Duomo.
Lì invece, sempre senza alcun anticimicchismo, un albergo non ce lo vedrei male affatto: bello, di sobrio lusso, rispettoso della struttura ma con un'aria molto internazionale, pieno di quei ricchi e raffinati clienti che potrebbero lasciare un bel flusso di denaro nel centro storico di Orvieto, quello che i commercianti e gli esercenti e gli artigiani desiderano e invocano a ogni piè sospinto. E magari, se una parte dell'albergo aprisse anche ai clienti esterni, come in molti grandi alberghi si usa – ad esempio il ristorante, perché no, una bella sala da tè? - la città potrebbe sentirselo suo quanto e più del Centro Studi.
Perché mai, poi, visto che sulle proprie bellezze Orvieto deve puntare, non dovremmo sentire come “nostri” anche i turisti, come “nostra” tutta l'economia e il business ai quali il loro flusso è legato? C'è forse qualcuno che si scandalizza perché il Ritz, a Parigi, è ubicato in una delle più belle piazze monumentali del mondo? O che il corpus universitario di Oxford o Cambrige non sia, precisamente, sulla piazza delle loro rispettive e più che stimabili Cattedrali? Purché abbia una sede decorosa l'importante, di una struttura, è "cosa e come fa", non "dove sta".
Viene il sospetto che, come spesso accade, ci si impunti su un personale capriccio dandogli connotazioni patrie, e che si spalmi di risvolti emotivi quello che, per il bene della Città, andrebbe discusso razionalmente a tavolino. Personalmente, credo che si debba ragionare “con mercantile freddezza” - o "con razionale calore", che è la stessa cosa e preferisco - sia della ex Piave che dell'ex Ospedale.
Non voglio entrare nel merito di chi, nel 2000, come afferma il sindaco Mocio “fece votare” la destinazione urbanistica dell'ex ospedale anche ad albergo, cosa non da tutti condivisa; non voglio entrarci perché riconosco a chiunque la possibilità di mutare opinione e di esprimerla, ma civilmente e senza posizioni preconcette, discutendo e argomentando. E, anche, aderendo al principio di realtà.
Se la Regione venderà l'ex ospedale per un albergo, cosa forse prematura ma non impossibile, cosa che dal mio punto di vista potrebbe anche funzionare, il principio di realtà imporrà che, come una disposizione di legge stabilisce, si vigili e si operi perché il ricavo venga destinato ad opere di stampo socio-sanitario nella nostra zona d'ambito; e che, nel piano attuativo, si chiedano e si misurino con estrema cura, dato il luogo eccellente, tutte le garanzie di eccellenza. Compreso il problema legato al traffico che, visti gli ampi spazi a disposizione, non sarà difficile aggirare con qualche prescrizione che lo immetta nell'ex Ospedale senza farlo passare per Piazza Duomo. E poi, se il progetto sarà buono e avrà tutte le garanzie, il Consiglio comunale, magari dopo averlo spiegato bene ai cittadini, potrà votarlo davvero tranquillamente e senza alcun bisogno di coraggio.
Nella foto, i giardini della ex Piave durante "Orvieto con Gusto"
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