opinioni

Per un governo di pace

venerdì 23 febbraio 2007
di Tavola della pace
A conclusione del seminario del Comitato Direttivo svolto a Roma ieri 22 febbraio e oggi 23 febbraio presso la sede di "Libera Associazioni Nomi e Numeri contro le mafie", la Tavola della pace diffonde il documento “Per un governo di pace” sulla crisi di governo in atto. Di seguito il documento:
Per molti anni abbiamo marciato da Perugia ad Assisi e in tante altre strade del mondo insieme a milioni di donne e uomini decisi ad affrontare le sfide del nostro tempo costruendo pace e giustizia, promuovendo tutti i diritti umani per tutti, la legalità, la democrazia e il diritto internazionale. Da molti anni cerchiamo di guardare il mondo con gli occhi degli ultimi, delle vittime e degli esclusi, insieme ai quali abbiamo lavorato anche di recente a Nairobi. Per questo esprimiamo la nostra forte preoccupazione per il voto del Senato, le sue conseguenze e i commenti politici che ignorano e travisano le vere cause della crisi. Non c’è nessuna relazione tra la manifestazione di Vicenza e il voto del Senato. Rivendichiamo il diritto democratico di contestare un provvedimento che non condividiamo. La partecipazione dei cittadini è il sale della democrazia non il suo nemico. La partecipazione, nella distinzione dei ruoli, rafforza la politica e le istituzioni democratiche. La Tavola della pace è un soggetto autonomo e indipendente da qualsiasi schieramento, forza politica e sua componente. Il nostro giudizio sul governo è sempre stato sulle scelte e sui fatti concreti, sulle decisioni e sulle omissioni. Per questo il giudizio sui primi mesi del governo Prodi è articolato. Sin nella fase di definizione del programma elettorale delle due coalizioni abbiamo cercato, ricevendo scarsa attenzione, di costruire un dialogo e un confronto sul merito. Consapevoli delle diverse posizioni presenti nella coalizione di governo che si è andata formando abbiamo sempre cercato di dare un contributo costruttivo e propositivo invocando l’etica della responsabilità e il necessario realismo politico. Ci siamo fatti carico delle sfide aperte, della loro complessità e delicatezza: dal Libano (Manifestazione nazionale ad Assisi il 26 agosto) all’Afghanistan (abbiamo proposto di esserci di più e non di meno, smettendola con la guerra e impegnandoci davvero a fare pace), dall’Iraq (abbiamo proposto di ritirare l’esercito ma di non abbandonare gli iracheni) al Medio Oriente (Manifestazione nazionale a Milano il 18 novembre). In alcune occasioni, dopo anni di ostracismo e preclusioni, abbiamo condiviso riflessioni, proposte e iniziative. In molte altre abbiamo registrato una grave disattenzione, insensibilità e autoreferenzialità che hanno impedito di utilizzare le tante competenze presenti nel nostro paese e di far crescere il consenso diffuso necessario ad una nuova politica estera. Ogni volta ci siamo sentiti liberi di esprimere la nostra soddisfazione o il nostro dissenso nei modi e nelle forme che abbiamo ritenuto opportuni. Chiediamo un governo autorevole, deciso a proseguire con ancora maggiore determinazione nella costruzione di una politica di pace e dei diritti umani. Chiediamo il rispetto del voto degli elettori e del programma che hanno sostenuto. Non è in gioco solo il governo del nostro paese ma anche il destino di molta gente che confida in un nuovo ruolo internazionale dell’Italia. Ci sono grandi problemi che esigono attenzione e risposte urgenti. Ci sono preoccupazioni e proposte che devono necessariamente trovare una sintesi politica in Parlamento. La politica estera dell’Italia sta cambiando. Come ha evidenziato la relazione del Ministro degli Esteri e il dibattito del Senato, l’Italia ha imboccato una strada nuova: in Iraq, in Libano, in Somalia, in Europa, in Israele e Palestina, nelle Nazioni Unite, contribuendo, più in generale, al superamento dell’unilateralismo e della logica della guerra. Lungo questa strada il governo deve proseguire affrontando con pazienza e coraggio tutte le questioni aperte, anche le più delicate e spinose come per esempio, quella dell’Afghanistan e di Vicenza. Con lo stesso stile che noi usiamo al nostro interno, il governo deve cercare di ricomporre le differenze per raggiungere gli obiettivi comuni. C’è da accrescere l’impegno dell’Italia nella lotta alla povertà, nel disarmo, nella promozione dei diritti umani e della giustizia, per la pace in Medio Oriente, per la cooperazione internazionale, per il rilancio e la democratizzazione dell’Onu. Lungo questa strada il governo, se saprà ascoltare, troverà milioni di cittadini e centinaia di organizzazioni della società civile e di enti locali pronti a collaborare, in autonomia e spirito critico, con progetti e proposte concrete. Tavola della pace, 23 febbraio 2007