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Continua il dibattito sulla ex Piave. Le idee di Arci Orvieto per un progetto concreto fondato su tradizione, multicultura e modernità

martedì 23 gennaio 2007
di Arci Orvieto
Riceviamo e pubblichiamo per intero un comunicato dell'ARCI Orvieto. Così l'associazione vede la rifunzionalizzazione della ex Caserma Piave: un progetto concreto e di tutto rispetto che potrebbe forse rientrare, tra le soluzioni che l'amministrazione sta studiando, nella linea individuata come "concessione di costruzione e gestione". Di seguito le idee dell'ARCI:
“Un ceto politico prigioniero del passato, può progettare il proprio futuro?” Questa efficace fotografia di Stefano Rodotà (La Repubblica, 15 gennaio) riferita al dibattito nazionale di una classe “politica prigioniera dei suoi vecchi riti”, inquadra perfettamente, a nostro giudizio, la discussione sterile che si sta svolgendo ad Orvieto attorno ai destini della ex-Caserma Piave. Sono ormai passati diversi anni da quando la ex-Caserma è rientrata nelle disponibilità dell’Amministrazione Comunale, senza che questa sia riuscita a produrre un progetto di massima di riconversione e di utilizzo complessivo della struttura (conosciamo tutti le vicende di RPO); e d’altro canto senza che neanche l'opposizione sia riuscita ad indicare proposte concrete, limitatandosi solo a criticare le "non scelte" della maggioranza. E a proposito del dibattito tanto di moda su chi si può definire riformista e chi no, efficace è secondo noi la definizione che ne dà Gianfranco Pasquino (L’Unità, 15 gennaio): “riformare significa fare”. Ecco allora quello che servirebbe a nostro giudizio: fare e non perdere ulteriore tempo, insediare una task force di esperti e non di delegati dei partiti senza specifiche competenze. Un nucleo pensante formato soprattutto di giovani (30-35enni), architetti, designer, innovativi, esperti di comunicazioni digitali, soggetti cioè più capaci di cogliere i mutamenti velocissimi della società attuale. E secondo noi gli interventi di ri-progettazione dovrebbero muoversi lungo tre direttrici: i bisogni della città, la vocazione della città ed infine l’obbligo di confrontarsi con analoghe esperienze di riconversione di strutture militari all’estero ma anche in Italia. Dopo la caduta del muro di Berlino, i nuovi bisogni di difesa militare atlantica sono mutati con conseguente chiusura di centinaia di caserme soprattutto in Germania, e sinceramente fanno tenerezza i nostalgici che continuano a coltivare il mito del casermone da 3000 militari ad Orvieto: un’epoca è finita e non si può più tornare indietro! Quindi, dicevamo, i bisogni: riqualificazione della struttura con caratteristiche di appeal che possano significare rilancio economico per la città, attrazione di nuovi attori sociali (ancora e soprattutto i giovani: la città sta paurosamente invecchiando!), ricettività, servizi per una società orvietana sempre più multiculturale. Inoltre, la vocazione della città: arte, cultura, turismo, qualità della vita. Intrecciando questi presupposti con il confronto alle analoghe esperienze di riconversione (pensiamo alle ex-caserme, ma anche ai quartieri degradati di città come Barcellona, Parigi, Berlino, ma anche alcune zone di Roma), a nostro parere la struttura avrebbe tutte le caratteristiche per diventare un polo culturale e d’arte a livello nazionale ma anche internazionale, legato al mondo dell’università e con un occhio attento alle nuove tecnologie. Una sorta di factory aperta alla creatività, giovane, frizzante, flessibile, dove possano convivere una accanto all’altro tradizione e modernità, passato e futuro. La “piazza d’armi” della ex Caserma diventerebbe allora “piazza delle arti”, con laboratori e corsi professionali dove si tornino ad insegnare gli antichi mestieri (ceramica, terracotta, ferro battuto, merletto, lavorazione artigianale del legno) della nostra tradizione medievale che purtroppo si stanno perdendo con grave danno della memoria collettiva, ed accanto a questi la creazione di laboratori con i professionisti della soft economy dove si insegnerebbero i mestieri del futuro: internet, multimedialità, comunicazione digitale, nuovi linguaggi visivi. La struttura dovrebbe nascere come una società privata (un soggetto che sia già presente nel panorama regionale o nazionale nella gestione di analoghi spazi) con una partecipazione pubblica limitata degli Enti locali. Una struttura organizzativa di coordinamento fatta di giovani con interessi e formazione nella comunicazione e nella cultura contemporanea avrebbe il compito di gestire e cercare fondi per finanziare una fitta serie di iniziative che vanno da mostre d’arte moderna e contemporanea, biennali di giovani artisti, il tutto inserendolo in un circuito internazionale che sia in grado di attrarre presenze qualificate e continue nella nostra città. La presenza infine di un polo universitario, di nicchia e specialistico, fatto ad esempio di master e corsi di specializzazione indirizzati a formare esperti dei nuovi linguaggi di comunicazione ma anche d’arte ed architettura, si integrerebbe alla perfezione nel nuovo complesso, così come è apprezzabile la scelta che il Comune ha già effettuato di trasferire lì il Palazzo delle Istituzioni e quello della Sanità. Accanto a questo diventerebbe necessaria la costruzione di una struttura ricettiva mirata al target che si andrebbe ad intercettare: un ostello della gioventù moderno e funzionale. Una struttura ricettiva, con costi di soggiorno medi e ad alta ricettività, è ormai infatti un’esigenza della nostra città viste anche le numerose iniziative e i molti eventi che già hanno luogo ad Orvieto e gli altri che potrebbero andare ad animare il nuovo auspicabile polo culturale. Sull’utilità invece dell’albergo di lusso che dovrebbe essere di supporto al Palazzo dei Congressi nutriamo delle perplessità non di natura ideologica, ma dovute al fatto che a nostro giudizio un progetto di riqualificazione della struttura andrebbe pensato in blocco, con un’idea d’assieme, e non per singoli lotti con un risultato complessivo che potrebbe risultare slegato e disomogeneo. Infine, evitando di far finta di niente per poi accorgersi dell’esistenza del problema solo troppo tardi, occorrebbe fare i conti con il fatto che la nostra città sta diventando sempre più multiculturale, con presenze massicce di cittadini stranieri soprattutto dell’est Europa: i rumeni, la comunità più numerosa, sono tra l’altro appena diventati cittadini europei e non sono più da considerarsi extra-comunitari. Si tratta di persone che lavorano in settori delicati della nostra comunità, impiegati spesso come badanti di anziani non autosufficienti ed in questo andando ad assolvere una funzione di supplenza del nostro welfare locale e nazionale. Persone che però hanno desideri e bisogni di socialità come tutti noi. Perché, allora, non prevedere anche all’interno del nuovo complesso una sorta di "casa delle culture" che possa funzionare sia da centro servizi ed assistenza per gli immigrati, sia da centro culturale, di incontro e socializzazione delle varie culture? Se giriamo un po’ il mondo, ma anche alcune zone d’Italia, perlomeno le realtà più aperte (un progetto di riqualificazione simile è previsto al quartiere Esquilino di Roma), questo è già realtà. Noi pensiamo che Orvieto, per la sua tradizione culturale e la sua accoglienza, la sua capacità di guardare al mondo e di esserne protagonista, sia all'altezza per confrontarsi con questa sfida .