opinioni

Riflessioni sul partito democratico: c'è un bagaglio comune che può unire più che dividere

giovedì 14 dicembre 2006
di Andrea Scopetti
Sento sinceramente disagio a dover di nuovo scrivere delle ragioni e del perché sia oggi necessario costruire in Italia un grande soggetto riformista che permetta al sistema politico di ammodernarsi e dare significato e sostanza alla lunga transizione che ormai ci accompagna da più di quindici anni. Avrei voluto confrontarmi sulle forme, sull’organizzazione, sul profilo del nuovo partito ma purtroppo, dopo il seminario di Orvieto, per tante ragioni anche fondate, il processo ha avuto innegabilmente un rallentamento ed oggi, alla vigilia dei congressi di DS e Margherita, lo scenario si presenta incerto e confuso. L’Italia, ed in particolare la Politica del nostro paese, si trova ancora una volta nell’incapacità di assimilare e di comprendere l’evoluzione storica che le si pone dinanzi, emergono di nuovo le grandi contraddizioni che hanno accompagnato, da sempre, ma in particolare negli ultimi anni, il nostro sistema politico. Sono anni che denunciamo una latente crisi della politica, della partecipazione, della democrazia, e nonostante tutto questo siamo un paese capace di ideare le primarie, con la presenza di 4 milioni e mezzo di cittadini (numero ben superiore, per esempio, alle trecento mila persone delle primarie della sinistra francese), toccare nelle elezioni politiche una percentuale di votanti unica in Europa e portare, dopo soli due mesi da queste, più del cinquanta per cento della popolazione ad esprimersi in un referendum; siamo il paese dove si evidenzia una perdurante crisi della classe dirigente, inalterata da ormai venti anni, e nonostante tutto persiste l’incapacità di trovarne rimedi; siamo il paese che vuole parlare di contenuti e non di contenitori ma che non riesce a non parlare unicamente di contenitori; siamo il paese che denuncia un problema di democrazia e di cittadinanza ma che accetta e si permette una legge elettorale che esautora i cittadini da ogni potere decisionale e che permette a quattro o cinque persone di decidere chi dovrà sedere in parlamento; siamo un paese dove le istituzioni, ad ogni livello, sono sempre più gestite e sempre meno governate; siamo il paese dove si denuncia la deriva dei partiti verso strumenti elettorali e di lobby e, poi, non si riesce a far crescere la passione se non nel momento della conta delle tessere. Mi ricordo di partiti che davano battaglia su linee politiche, su idee di paese, che mettevano in gioco persone che esprimevano una visione di valori, oggi vedo partiti che pesano le proprie idee con il numero delle tessere e mettono in gioco persone che esprimono i grandi numeri delle tessere; siamo un paese dove predichiamo la laicità della politica in nome dell’apertura delle proprie basi culturali e storiche e, poi, nell’agire politico non riusciamo che ad essere chiusi all’interno dei nostri recinti e pervasi da cieco radicalismo quasi fondamentalista. Come si diceva pochi giorni fa in un’assemblea “i processi storici o si governano o non si governano o ce se ne accorge o non ce se ne accorge”: io credo che la strada verso il Partito Democratico sia un grande processo storico di cui ancora non tutti hanno ben chiara la portata. Tutte queste ragioni basterebbero, da sole, a giustificare la necessità di un Partito nuovo che riesca ad affrontare tutte queste contraddizioni, ma il progetto del Partito Democratico ha radici ben più radicate e si pone obiettivi ben più ambiziosi. La storia del nostro paese ha da sempre vissuto i momenti di difficoltà, di crisi e di transizione cercando soluzioni che passavano attraverso grandi scissioni politiche, sociali, culturali: oggi noi stiamo affrontando questo periodo così delicato provando ad unire più che a dividere. Oggi siamo chiamati ad unirci perché è la storia del nostro tempo che ce lo chiede, siamo chiamati a rispondere non più soltanto a problemi nazionali ma dobbiamo confrontarci con problemi globali: guerre, fanatismo, terrorismo, fame, nuove malattie, nuove discriminazioni, disparità economiche, ambiente, clima ecc….. Come possiamo rispondere e affrontare questi problemi con i nostri piccoli partiti? Ricercando certezze nelle grandi identità storiche? Io credo di no. L’estrema necessità del nostro tempo è quella di cercare di ricostruire un tessuto sociale che non sta più insieme, che è completamente sfilacciato e una tela si riesce a comporre solo intrecciando i fili che rappresentano, nel nostro caso, identità diverse, fili che se non si uniscono rimangono solo fili, vecchi o nuovi, ma solo singoli fili. Viviamo in una società che si sta contaminando con nuove culture, nuove esperienze, religioni diverse, come rispondiamo a questi nuovi confronti? Anche il significato di laicità di uno stato va rivisto, dobbiamo far i conti, anche qui, con il nostro tempo, non possiamo non accorgerci che oggi uno dei fattori che riesce a tenere insieme il tessuto sociale di molti paesi, etnie e culture è proprio la religione, c’è bisogno di una politica che riesca a sviluppare il valore del dialogo e del confronto tra religioni, solo così potremmo governare la società del nostro paese che sta cambiando. Alcuni giorni fa ho partecipato ad un’iniziativa di chi si oppone al cammino verso il Partito Democratico; devo dire che più si andavano a toccare temi di fondo più mi rendevo conto di quanto sia grande il bagaglio comune che oggi può unire tanti italiani, valori come la pace, libertà, lavoro, sostenibilità ambientale, diritti di cittadinanza, sviluppo compatibile, difesa della ricerca ecc…., sono ideali e propositi che uniscono e non dividono. Se poi anche chi dubita di questo processo ammette che la questione dell’appartenenza del futuro Partito Democratico alle famiglie politiche europee rappresenta solo un problema di facciata e una buona scusa su cui basare la propria contrarietà, si ha la conferma che oggi in Italia è ora di mettere in campo il coraggio e, come diceva Salvatore Vassallo ad Orvieto, “abbattere muri e costruire ponti”.