opinioni

Da un convegno a un altro

domenica 26 novembre 2006
di Antonio Barberani
Trent'anni sono tanti nella vita di una persona, ma gli ultimi trent'anni sono stati trenta decenni nella vita culturale, segnata da un cambio di secolo, da sconvolgimenti storici imprevedibili, dall'avvento di tecnologie straordinarie, potenti e prepotenti. Mentre Giorgio Manganelli 'riponeva suo padre nel cassetto', noi, allora giovani e banali, trovammo riparo alle nostre intemperanze, aggrottando le ciglia e facendo la faccia seriosa, al cospetto delle muse del tempo in convegno. Qualche assessore di talento si era inventata questa invasione di 'artisti', perlopiù appartenenti alla bella e fugace rivista Quindici, poi divenuti gruppo '63, che per qualche giorno si 'fecero carico' dei destini del mondo disquisendo se il trattino tra SCRITTURA/LETTURA segnasse una cesura oppure una continuità comunicante. Già, a quei tempi imperversava la semiologia e Roland Barthes scriveva per frammenti. Oggi qualcuno ripropone un convegno sul convegno, non abbandonando il vecchio vizio dei trattini: or-vietato. Il trattino è rimasto ma molto è cambiato e se non si vuole trasformare l'appuntamento di novembre in una rimpatriata un po' tristarella e modaiola, con i Fay, il toscano e le Tod's del compagno Della Valle, va aggiustato il tiro. Oggi, gli Scrittori e i Filosofi parlano e scrivono in pubblico, hanno il loro festivalbar. E sembrano aver trovato la soluzione: mettendo finalmente d'accordo testo e contesto, hanno messo insieme saperi e sapori, Heidegger e tartufi. Stavolta mettiamo gli artisti in vetrina, caso mai ci stessero poco; allora li mandammo a scuola, in caserma, in fabbrica. Mancavano l'ospedale e le carceri per completare il politicamente corretto. Peccato fossero già chiusi i Casini. A Moravia in aula, faceva eco Eco che disquisiva di linguaggio sproloquiando piacevolmente su Mike Bongiorno. Erano ancora lontani monaci e delitti, si limitava ai misteri del Rischiatutto. Ma noi, giovani e banali, ci aggiravamo per Orvieto, mai come allora luogo della cultura, per capirci di più, per sentirci parte del grande evento. Mentre un ossuto Roberto Benigni vagava come un cane bastonato dalle parti del Duomo, Angelino Rossi, vero grande scrittore senza scritti, se ne stava rintanato all' "osteria dell'Orso", compiaciuto di essere trascurato. Aveva risolto da solo il problema del 'trattino' facendo un tutt'uno della scrittura e della lettura, recitando pillole di saggezza agli amici prima che la scontrosità serale prendesse il sopravvento. Oggi, siamo meno giovani e, forse, meno banali. Orvieto è una città narrante e produce più scrittori che lettori. Il convegno sul convegno può anche essere un piacevole amarcord per un manipolo di intellettuali che hanno forse perduto, pur nelle convenienze dell'organicità, le pretese dell' avanguardia. Ma non possiamo dimenticare che oggi è cambiato il modo di produzione; più spesso non è chi scrive un bel libro che poi ottiene gloria e successo, ma scrivono quelli che il successo già lo hanno maturato in altri campi: cantanti, attori, calciatori. Questi sbancano le vendite. Prima si diventa sindaci di grido e poi romanzieri; Berlusconi, per fortuna nostra, si accontenta di fare canzonette! Oggi le pupe hanno superato i secchioni, si confondono i ruoli e ad un convegno di scrittori, forse andrebbero più opportunamente invitati Totti, Vissani e il mago Casanova. A fra trent'anni!