opinioni

Il popolo dei pacifisti c'è, né va confuso con i meccanismi e con le alternanze di governo

giovedì 24 agosto 2006
di laura
Ho pubblicato, oggi, un'opinione di Carmelo Pagano che mi induce a qualche riflessione. Premetto subito che la Pace è per me un valore così serio, così umanamente e semanticamente ampio, e anche così radicale – sottolineo, così tremendamente radicale - che difficilmente riuscirei, io che pure ho un'indole ironica, a farci su, come fa Carmelo, dell'ironia. Ciò nonostante, sia pure da un punto di vista molto diverso, a Carmelo Pagano, qualche tempo fa, mi ha accomunato un pensiero. Anch'io a un certo punto di questa guerra con il Libano, di questo ennesimo conflitto in Medio Oriente, mi sono chiesta: ma perché non ci “indignamo” in modo visibile, perché restiamo nelle nostre case e davanti alle nostre scatole televisive a subire la guerra come fosse uno spettacolo, perché è caldo o perché non c'è più Berlusconi? Perché non scendiamo in strada, con o senza bandiere, a manifestare il nostro disgusto per questa carneficina di anni e anni, il nostro dissenso? Perché non diamo voce, corpo, sguardo, simbolo a una giusta, sana, pacifica indignazione? Però non desideravo, tanto per riprendere Carmelo Pagano, “Bertinotti & Company” indignati e “iridati” nella strada – dato che la Pace dovrebbe essere “politica”, nel senso più alto e nobile e semplice del termine, non “partitica” - quanto magari l'indignazione di tante civili coscienze che non si accontentassero della catarsi televisiva, del pronunciare una condanna più o meno dura, più o meno distratta, di fronte all'imperversante scatola che troppo spesso ci allontana dalla vita: o facendo sembrare reale quello che, persino edulcorato come nel caso della guerra, è ben lontano dall'ancor maggiore crudezza del reale; o convincendoci in modo subdolo che possa essere guardare il notiziario la nostra parte di impegno; o, peggio, assuefacendoci a quell'orrido di massa come fosse una fiction. Potrebbe essere l'assuefazione, mi sono chiesta, questa assuefazione da società opulenta che tiene le coscienze in casa? Comunque non mi interessava che ci fossero “Bertinotti & Company”, pensavo a “noi”, alla nostra massa di società cosiddetta civile. Giacché sarebbe un errore pensare che la Pace, il processo di Pace in senso lato, debba essere delegato ai partiti, tanto meno ai governi; e nemmeno l'ONU basta – lo sappiamo fin troppo bene se dobbiamo, secondo lo slogan dell'ultima marcia Perugia-Assisi “riprendercela” - se la Pace non si manifesta come un bisogno civile ben più generale e ampio. Mentre ero alla ricerca di sana, simbolica indignazione – quello che non è detto non è, non è quel che non si mostra – per fortuna la Tavola della Pace, insieme ad altri enti e organizzazioni, ha risposto, indicendo per il 26 agosto questa manifestazione di Assisi. Aspettiamo, Carmelo, a chiederci dove sono i pacifisti: probabilmente erano in attesa di un imput per uscire dalle loro tane, lavare e stirare a lucido le bandiere, tornare a sventolarle; magari usciranno di nuovo fuori in tanti e sabato saranno ad Assisi. Io ci sarò, probabilmente con la mia bandiera sempre pronta nel cassetto, da agitare non “contro” ma per qualcosa, non con spirito facinoroso ma per quell'amore semiotico del simbolo, del segno che fa sì che le cose si vedano e siano. Poco mi importerà che ci siano o non ci siano “Bertinotti & Company”, anche se certo, sarebbe ben grave che non ci fossero. L'importante è che ci sia “io”, piccola particella sommata a molti altri "nessuno" che, tutti insieme, faranno numero e “forza”. Sono laica e imperfetta, ma un mio grande modello è una santa, Teresa de Avila: fare ogni giorno il poco che da me dipende. Quindi, semplicemente vado. Infine, ad onor di cronaca, non è vero – come afferma Carmelo Pagano - che tutto tace, nulla preoccupa, l'Iraq era un'altra cosa... Non limitiamoci a ironizzare sulle alternanze di governo o sugli inevitabili condizionamenti del governare, la Pace è un processo ben più grande. Ci sono molte coscienze seriamente preoccupate e impegnate, cito per tutte l'affermazione di Andrea Olivero, presidente nazionale ACLI, su www.articolo21.info: “L’iniziativa di sabato - sottolinea Andrea Olivero - è volta a far comprendere che il mondo pacifista è qui e non ha assistito inerte alle vicende di quest’estate, così come sta assistendo con ansia alle vicende di questi giorni  in vista del dispiegamento di una forza multinazionale nel sud del Libano.” “Siamo consapevoli del fatto che con questa missione non solo è in ballo il destino del Libano, ma è in ballo la credibilità stessa dell’ONU. La manifestazione del 26 agosto vuol essere dunque la testimonianza della nostra vicinanza a tutte le vittime di questo conflitto: a quelle visibili, ma soprattutto a quelle invisibili; penso ai civili di Gaza. Il percorso di pace dev’essere realizzato sia per il Libano che per la Palestina. Ed è per questo che è di enorme importanza la copertura televisiva per il 26. Perché la tv può servire come cassa di risonanza ad un mondo pacifista che si interroga e agisce concretamente.” E comunque, al di là della spettacolarità di un pur importante evento, la Pace si costruisce, con i piccoli e grandi gesti, ogni giorno: va ben oltre l'accezione di "assenza di guerra", investe il campo delle relazioni, il trasformarsi delle coscienze e dei rapporti, il senso del limite e il rispetto del pianeta. Si costruisce anche con il linguaggio. Impariamo ad esempio a dire non che siamo “contro la guerra, contro la violenza, contro la morte procurata”, ma che siamo “per la Pace, per il rispetto, per l'amore, per la vita”. Non è infinitamente più propositivo e bello?