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La Costituzione in una vita normale: ricordo di Armelindo Bacchio

lunedì 17 luglio 2006
di Fausto Cerulli
Armelindo Bacchio è morto nella distrazione di questa Orvieto solitamente distratta ed ora anche attratta da altro, specialmente da questa Coppa del Mondo che ha tenuto tutti davanti alla televisione. Io odio la televisione in genere, ma specialmente quando diventa abilissima a coprire, come in questi giorni, con la festa del pallone il putridume della vergogna. Una ennesima manifestazione della immoralità di fondo di questa Italia che, di fronte a comportamenti disgustosi, sta lì a chiedersi soltanto se l’orticello della propria Iuventus, o del proprio Milan o comunque della propria squadra del cuore potrà continuare ad essere innaffiato con le piogge miliardarie degli sponsor e dei diritti televisivi. Forse anche Armelindo avrà avuto la squadra del cuore, forse avrà anche lui fatto il tifo prima della sua morte, di cui non conosco i particolari. Ma conosco i particolari della sua vita; una vita importante proprio perché priva di pubbliche importanze. Una vita da ferroviere, di quelli con i turni impossibili, di quelli che con il caldo ed il freddo, la pioggia e lo scoppio del sole... Di quelli che non avevano la mensa aziendale e si portavano da casa pane e prosciutto di quello buono, o pane e frittata che quando è fredda è meglio. E l’ambizione di metter da parte qualche soldo per farsi una casa alla buona, senza pretese, e di mandare avanti agli studi due figli. Quando la casa senza l’assillo di un affitto era una mèta compatibile con il comunismo, anche se del tutto diversa dal comunismo dei palazzinari che infestano, indirettamente, anche la vita pubblica di questa Orvieto sonnolenta ma anche un po’ purulenta. I ferrovieri di Orvieto sono stati sempre la forza trainante della sinistra locale, come i mezzadri; con la differenza che il comunismo mezzadrile è stato sempre, tutto sommato, contenuto al cortile di casa e alle riunioni sull’aia; mentre il comunismo dei ferrovieri si arricchiva nei viaggi, nei confronti, negli scioperi che, mansueti o selvaggi che fossero, facevano parlare tutta l’Italia. E costruivano una sorta di identità di classe, il gusto di dire "io sono un ferroviere, se decido insieme agli altri l’Italia si ferma". Sia chiaro, Armelindo non era tipo da voler fermare l’Italia, ma non gli dispiaceva che la televisione parlasse tanto di loro, di questi ferrovieri di un tempo, dalla vita pesante e dalle notti lunghissime passate insieme. Armelindo era quello che, tra gente di falsa cultura, si suole dire persona di poca cultura; ma aveva una ironia sottile, fatta di sguardi prima che di parole; e, dal suo piccolo di un Armelindo anche fisicamente piccolo, contribuiva anche lui alla cultura; usando per gli studi dei figli i soldi che avrebbe potuto usare per una cena al ristorante, per un mese di ferie, per un’automobile appena più confortevole di quella che aveva. I miei quattro o cinque lettori, ora dimezzati dalla stagione vacanziera, sanno che non è nel mio stile guardare al passato come alla stagione dell’eden, ché anzi mi piace guardare al futuro e magari mi piacerebbe metterci le mani per costruirlo almeno un poco migliore di questo presente. Ma per me, appunto, Armelindo fa parte di un passato futuribile. I suoi quattro o cinque valori veri potrebbero essere i valori di un comunismo futuro, non disgiunto da connotazioni cristiane: ho detto cristiane, cattoliche è un’altra cosa, magari più complessa ma altra. Armelindo per me ha rappresentato il lavoro per come lo intendeva qualcuno quando stabiliva, per tutti, che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro; rappresentava la proprietà per il suo modo di essere proprietario di un piccolo inesauribile orto in qualche remota campagna da raggiungere in moto; rappresentava la famiglia per il suo modo di volere che i figli si proiettassero fuori della famiglia. Rappresentava soprattutto quella onestà che non sta scritta da nessuna parte e che consiste nel non avere debiti o crediti morali. Una onestà che si leggeva sul viso comunque di Armelindo e che gli sprizzava dallo sguardo arguto e bonario. Mi sarebbe piaciuto vedere al suo funerale qualche sindacalista o qualche uomo politico. Ma forse è meglio così: Armelindo era una specie di Costituzione Italiana messa in pratica. E la Costituzione, questa sconosciuta, serve solo per far litigare quattro politicastri che neppure l’hanno letta.