opinioni

Gli imprenditori 'de sinistra'

sabato 15 luglio 2006
di Guido Turreni, Coordinamento Comunale Forza Italia
C’era una volta Orvieto, città commercialmente e artigianalmente feconda, al centro di una trama di vie che univano l’economia agricola e delle piccole e medie aziende di una buona fetta del viterbese, del senese e del grossetano. Or non c’ è più. La città venne allora ribattezzata dall’intellighentia “de sinistra” la città narrante, ma la urbs vetus ha narrato soprattutto di chiusure di aziende e di istituzioni pubbliche varie, di emigrazione di giovani cervelli, di pendolarismo meridionalistico, perché sopraffatta da cinquantanni di komunismo col kappa, di compagni da sistemare, di furbi e furbetti del quartierino, che con l’aiuto del Partito, con la Pi maiuscola, hanno massacrato il massacrabile. Si è formata così una classe dirigente politico-imprenditoriale che campava di favori, piccoli e grandi, che hanno poi instillato nella cultura del cittadino medio che non c’era altro da fare che schierarsi tutti, allineati e coperti, con il potere “de sinistra”. E questo è stato senza dubbio il danno dei danni. La gente orvietana infatti si è convinta ed abituata – in questi perniciosi ed oscuri anni di dominio del pensiero unico – che non c’è alcun bisogno di impegnarsi per costruire qualcosa, di economico o di sociale, perché a tutto doveva e poteva pensare chi comanda, con il posto pubblico, magari in Comune o all’Ospedale, o con la raccomandazione giusta del capo-bastone, per entrare nell’azienda di partito, edilizia, o immondezzara, oppure subappaltatrice di beni e servizi pubblici. Il sistema infatti funzionava a meraviglia, come un orologio svizzero, perché tutti coloro che aderivano a questa “filosofia” venivano effettivamente “sistemati” in un modo o nell’altro, e potevano poi ricambiare il potere con il consenso elettorale. Tutto ciò accadeva ed accade ancor oggi mentre la “società civile” (da intendersi per quel blocco sociale che stava fuori dalla logica di potere) pian piano languiva, regrediva, assediata dalla competizione prima regionale, poi nazionale, ed infine globale, da affrontare in completa solitudine e nel completo disinteresse della classe dirigente, che non aveva alcuna intenzione di preoccuparsi di essa per i motivi dianzi indicati, ma anzi osteggiava apertamente questo blocco sociale, proprio perché fuori dal suo controllo. Il sistema orvietano “de sinistra” però aveva, ed ha ancor oggi, un unico punto debole: dava per scontata la presenza dello Stato, del para-stato, e delle sue infinite risorse, senza comprendere che le infinite risorse provengono proprio da quella “società civile” tanto trascurata ed anzi osteggiata dalla classe dirigente. E così accadde che ad un certo punto della metà degli anni ’80, cominciò a finire il c.d. assalto alla diligenza, cominciarono gli obblighi di bilancio, il risanamento (o meglio: il contenimento) del debito pubblico, le razionalizzazioni di spesa, la Comunità Europea, l’euro ecc. ecc.. In tutta Italia cominciò a mancare la “benzina politica” di questo sistema, ma a differenza di Orvieto in molte zone d’Italia la “società civile” era ancora viva e dotata di mentalità costruttiva e fu quindi capace di assorbire il cambiamento. Ad Orvieto invece, dove la suddetta mentalità era stata completamente distrutta dal sistema troskista che imperava, cominciò un lento ed inesorabile declino. Prima cominciarono a chiudere i pubblici uffici, poi le caserme ed il relativo indotto che ci campava, infine le poche aziende esistenti, comprese quelle con un alto grado di know-how (di saper fare). La risposta del cosiddetto cimicchismo fu ancora di natura dirigista-statalista: si puntò sul finanziamento del bilancio comunale con l’economia pubblica derivante dallo smaltimento dei rifiuti, e sullo strumento del piano regolatore con cui continuare a “drogare” l’economia del mattone “de sinistra”, per cercare comunque di alimentare tutto il sottobosco dei Kompagni che chiedevano di essere “sistemati”, proprio come in passato. Ad onor del vero non è che vi fossero altre soluzioni in termini di rapidità e di emergenza, per cui voglio far notare a tutti quelli che oggi da sinistra lo criticano, che Cimicchi, nel bene e soprattutto nel male, almeno una risposta ai bisogni dei suoi compagni la dette eccome. L’errore però era sempre lo stesso: puntare sui soliti noti e poco sul tessuto “borghese” orvietano, con in più un'aggravante, quella di creare un vero e proprio clima di terrore antidemocratico contro tutti i suoi nemici, interni ed esterni, che gli valse il soprannome di “Faraone” e che condusse alla sua detronizzazione e all’avvento dei suoi stessi colonnelli, delle sue stesse creature. Oggi ci troviamo a pagare le salatissime cambiali di questa politica, utile nell’immediato per i soliti noti, ma di scarsissima lungimiranza per il resto della cittadinanza: una discarica che non rende più nulla ed un mare di immondizia sul nostro groppone, da una parte, ed una politica edilizia stile “Agrigento”, dall’altra, in cui per esempio si cancella la residenza sanitaria assistita per gli anziani (dov’è l’assessore Stufarà, pronunciato all’orvietana, con l’accento sull’ultima a) per far posto alla villetta, senza acqua e senza fogne, che pagheremo ovviamente tutti noi, con l’ennesimo mutuo comunale da un milione di euro. Il mio amico Dante Freddi fa al riguardo la visura in cerca di scandalo, ma è quella STORICA che va fatta sulla Immobil Green: scommettiamo che scappa fuori “lui” e lo scandalo? Caro Dante, devi sapere che il diritto prevede (ed addirittura disciplina) la simulazione soggettiva e la interposizione fittizia di persona (o negozio fiduciario), per cui a buon intenditor….. Ma in mezzo a questa desolante e deprimente situazione economica, sociale e finanche morale della città, voglio dare un messaggio positivo: a sinistra si stanno pian piano rendendo conto di questo immane disastro che hanno combinato nel corso degli ultimi cinqunt’anni, probabilmente anche grazie all’efficace lavoro di denuncia dell’opposizione, o forse di una parte di essa, quando è effettivamente esistita. Il problema però è un altro: nessuno a sinistra sa come uscirne fuori, perché la nomenclatura non conosce altra politica che quella che ha finora praticato, e cioè quella del becero clientelismo del voto di scambio e del controllo porta a porta dell’elettorato. Per questo nonostante i lodevoli tentativi dei Gambetta, dei Filippetti e di Donatella Belcapo, della cui buonafede non ho motivo di dubitare, continuano a passare indenni il progetto Despina, la lottizzazione del Poggente, e chissà ancora quali e quanti misfatti e turpitudini che favoriscono solo i papaveri di partito e di riflesso chi gli sta intorno. Da militante d’opposizione ho l’obbligo della proposta alternativa: ripartiamo dall’impresa, dalla formazione dei giovani, e soprattutto dal cambiamento della mentalità dell’orvietano medio. Ripartiamo – in poche parole – dalla società civile e da chi veremente merita, ha idee nuove e vuole realizzarle. Facile a dirsi, difficile a farsi; ma ormai cosa abbiamo da perdere? L’orticello dei soliti noti ?