opinioni

Un Moro nel Corteo. Quando il rispetto della tradizione significa incapacità di cambiare.

venerdì 23 giugno 2006
di Davide Orsini
Esistono molti modi di pensare ad uno stesso problema, fortunatamente! Riguardo alla partecipazione di un nostro concittadino di colore alla sfilata del corteo storico mi pare di cogliere due concezioni antitetiche, che rispecchiano due modi diversi di porsi di fronte al mutamento della società in cui si vive. Le manifestazioni di contrarietà a quanto pare sono basate su preoccupazioni di aderenza alla realtà storica. Prese di posizione come questa rivelano un approccio finto tradizionalista infarcito di paure inconsce e spesso deprecabili. Il tema della tradizione è sovente usato da chi, avvertendo la paura del cambiamento e del mutare delle cose, si arrocca su una posizione difensiva che viene razionalizzata attraverso la giustificazione della ricerca della autenticità, della purezza, della verità. Così come sul tema della Palombella, il partito della “conservazione degli usi e costumi del popolo orvietano” continua a battere il chiodo del rispetto della tradizione che sarebbe il fondamento attorno al quale dovrebbe ruotare il senso di appartenenza dei singoli. Già, i singoli, i quali poco o nulla sarebbero se non in riferimento al proprio gruppo di riferimento. Si è sé stessi in quanto si è diversi dagli altri. In altre parole la definizione del sé avviene segnando una linea di demarcazione che possa schermare il nostro mondo da incursioni esterne che sconvolgono le nostre coordinate cognitive, il nostro modo di percepire la realtà e dunque di concepire in maniera a noi più funzionale la vita quotidiana. Il Moro nel corteo è disfunzionale a questa concezione della realtà in cui alcuni orvietani pensano di poter continuare a vivere. Una realtà sempre uguale a sé stessa, immutabile, piena di certezze, protetta. Non si accorgono, questi concittadini, di vivere in una sorta di isola che non c’è e che non possono evitare di affrontare il cambiamento ostacolandolo o negandolo, come tentavano di fare i Saverio e Mario interpretati da Benigni e Troisi su “Non ci resta che piangere”. La tradizione ha un forte valore ideale quando riesce a rinnovarsi dando spazio alla suggestione dei tempi che furono, coinvolgendo emotivamente coloro che per ragioni storiche non potrebbero mai apprezzare “autenticamente” il corteo del Corpus Domini. Che la suggestione giochi un ruolo fondamentale per chi partecipa a vario titolo all’evento, siano essi figuranti o semplici spettatori, è del tutto evidente. Altrimenti la nostra razionalità cinica ed incorruttibile non ci permetterebbe di tollerare la visione di un Podestà o di un arciere che sfilano davanti a chiari riferimenti della nostra epoca, per esempio al Caffè Montanucci oppure a fianco di un parcheggio con automobili di varia cilindrata. Certo, la cura dei dettagli, la meticolosità dell’organizzazione, la maestria di quanti contribuiscono alla reincarnazione della propria storia e delle tradizioni sono aspetti rilevanti e degni di assoluta attenzione e riconoscimento. Su questo ed altro il dibattito dovrebbe essere quanto mai aperto. Ma io, in verità, non ho mai sentito commenti riguardanti la verosimiglianza di un paio di scarpe o di calzari durante un corteo. A me pare che non sia con la lente di ingrandimento e con il bilancino che si debba andare ad assistere ad un evento del genere. Ovviamente ci può sempre essere un turista meticoloso, un amante delle rievocazioni storiche particolarmente attaccato all’autenticità della rappresentazione, e dunque a costoro è bene rispondere con assoluta professionalità e diligenza, anche per ragioni legate a fattori di tipo economico. Ma se parliamo di aspetto evocativo, mi pare che un Moro nel corteo sia un eccezionale riferimento a visioni esotiche e straordinarie, che nel tardo Medioevo, contrariamente a quanto certa tradizione storiografica continui a propinarci, non mancavano di certo. Franco Cardini, uno storico di fama, molto vicino alla destra, ha speso questi ultimi anni a dimostrare che la convivenza e la mescolanza della civiltà Cristiana col mondo Arabo era assolutamente costante e non soltanto bellicosa, ma ricca di contaminazioni culturali, filosofiche, scientifiche. Dunque la presenza di un Moro ad Orvieto poteva anche essere improbabile all’epoca dei fatti che si vogliono rievocare con le celebrazioni del corteo, ma sarebbe stata ancora più improbabile se i nostri antenati avessero avuto la stessa mentalità di alcuni orvietani contemporanei. Certezze in tal senso non ne ho, ma l’idea che un nostro concittadino di colore sfili aggiungendo una suggestione in più al corteo a me piace moltissimo.