opinioni

Riflessioni di una mente pericolosa. Risposta alle risposte

sabato 27 maggio 2006
di Davide Orsini
1) Essere o non essere.  Confesso che l’intervento di Donatella Belcapo, che fa seguito ad un mini dibattito mediatico svoltosi qualche giorno fa sui giornali on-line orvietani, mi ha lasciato un po’ perplesso. Per carità, le intenzioni ed i propositi sono tutti condivisibili. Ricambio generazionale, maggiore partecipazione, e via dicendo. Alle conclusioni mancava soltanto un “…. E vissero tutti felici e contenti”, e la favola sarebbe terminata. In altre parole voglio dire che per opporsi ad un certo stato di cose non basta lanciare buoni propositi. Non basta nemmeno esserci. Che molti giovani – ma quanti? – abbiano fatto il loro ingresso tra le fila dei DS e due siedano fra i banchi del Consiglio comunale fa certamente piacere. Ma il punto vero è: per fare cosa? Il ricambio generazionale serve se porta con sé nuovi metodi e nuove idee, altrimenti è la riedizione dell’apprendista che si rivolge al mastro per imparare il mestiere del politico locale. Ne abbiamo fin troppi da sistemare, non ne servono degli altri. Oppure, cosa peggiore, si rischia di essere strumentalizzati.  Sento un silenzio assordante su quanto sta accadendo all’interno del maggior partito orvietano. Un silenzio che diventa ancora più inquietante se a cucirsi la bocca sono proprio quelli che per indole e magari per il naturale ed ingenuo ideologismo dovrebbero sbraitare in questo momento!!!! E invece nulla. Ma che significa essere vicini umanamente agli assessori del correntone e contemporaneamente “per coerenza” sentirsi d’accordo (aprioristicamente) su quanto il partito deciderà, auspicabilmente con un metodo chiaro e condiviso? Insomma Donatella sei d’accordo o no? Per quali ragioni? Io vorrei sentire questo da te e dagli altri “giovani”, altro che pane e pomodoro e cene con l’ex sindaco!!!! Tu, Donatella, rappresenti idealmente anche uno sporadico gruppo di giovani imprenditori della zona. Dal tuo punto di vista cosa funziona, e cosa no, nell’economia orvietana? Qualche idea? Sarebbe interessante parlarne. Se la risposta è che i giovani DS parlano nelle sedi opportune, mi permetto di dire che non basta. E soprattutto è pericoloso.  2) La libertà come condizione per avere un ricambio generazionale.  Ora cerco di spiegare perché. Qualche anno fa (circa dieci), il sottoscritto e diversi altri cosiddetti giovani, prendemmo tutti la tessera del PDS, allora il partito si chiamava così. Ricordo riunioni interminabili in via Pianzola. Scrivevamo lo statuto, i documenti programmatici per la rinascita della Sinistra Giovanile. Allora gli iscritti saranno stati 4 o 5. Ricordo Fabio Bracciantini, da lungo tempo responsabile solitario dei giovani del partito, ma con un passato serio e attivo nel periodo della svolta dei primi anni ’90. In 2 mesi gli iscritti diventarono circa settanta nel comprensorio. Poi ricordo i viaggi a Perugia. Si cominciava a lavorare per la Sinistra giovanile Umbra e c’erano ragazzi e ragazze provenienti da tutte le parti della regione. Qualcuno era già un politico navigato, come Valentino Valentini, ora Sindaco di Montefalco. Ricordo anche le vivaci discussioni con molti dei miei coetanei che dubitavano della capacità di cambiare le cose dall’interno e preferivano mantenere la loro libertà di critica dall’esterno (tra questi anche Lorenzo Mencarelli). Poi acquistammo una certa credibilità e vennero le nomine a vari organismi centrali, locali e regionali. Vennero anche le prime polemiche, perché noi giovinastri tendevamo ad esprimere le nostre idee con troppa disinvoltura e libertà. Qualcuno dei più maturi cominciava ad essere irritato. Ricordo un Capoccia piuttosto seccato dai nostri continui richiami al cambiamento e alla necessità di superare l’accumulo delle cariche di partito e negli enti di gestione del territorio. Già allora ci si scontrava sul problema di certe posizioni legate al professionismo politico, da noi denunciato come la causa primaria della sclerosi della situazione orvietana. L’impressione era (ed è ancora) che il partito fosse composto da tante tessere di uno stesso mosaico. Cambiarne di posto una significava dover mettere mano alla distribuzione delle altre. E questo lascia poco spazio alla meritocrazia. Me ne sono andato dopo qualche anno senza aver raccolto grandi successi, per scelta personale e perché avevo capito diverse cose. Prima fra tutte, che un individuo per poter contribuire al benessere e alla soluzione dei problemi altrui, deve prima essere in grado di provvedere a sé stesso, capire cosa vuole diventare e come vuole vivere. Insomma bisogna prima sviluppare un profilo personale, professionale ed intellettuale e poi pensare alla cosa collettiva. Perché? Perché le Frattocchie non ci sono più, e perché il rapporto fra politica e altre dimensioni della vita sociale, come quelle economica e culturale, è in parte cambiato e deve cambiare sempre di più.  La seconda cosa che ho imparato, osservando molte persone che dirigevano il partito e non solo, è che in un sistema come quello orvietano è molto facile perdere la libertà. Innanzitutto per un problema di indole delle persone che vivono in una piccola città. La logica dei gruppi guida verso una visione distorta dello sviluppo dell’identità. Cioè, io sono Davide perché frequento certi amici, sono iscritto ad un certo partito, parlo con alcuni e non con altri. Invece il discorso dovrebbe essere rovesciato. Il partito e così perché io ne faccio parte e il mio contributo è palese. In secondo luogo la libertà non è garantita perché in un sistema  economico asfittico dove l’accesso alle risorse è ristretto e sono sempre i soliti a controllarlo, se si vuole avanzare bisogna ingraziarsi coloro che ci possono dare una mano. Molte volte entrare a far parte di un’associazione o di un partito, soprattutto se di governo, apre le porte a delle possibilità che altrimenti non si avrebbero. Ecco che la commistione fra politica ed economia strozza le possibilità di cambiamento, assoggettandole alla logica del “familismo a-morale”. Cioè, se sei dei nostri non hai problemi, li risolviamo noi. Ma se stai dall’altra parte, non ci sono santi in paradiso. Quanti sono disposti a contraddire colui o colei che potrebbe offrirci dei vantaggi in termini lavorativi e di carriera? Non molti evidentemente. Allora, riconoscendo il mio modo brusco e non certo elegante di porre la questione, vorrei capire dai giovani della politica orvietana quanto si sentano liberi e se abbiano delle cose da dire. Ovviamente con la speranza di essere smentito su tutti i fronti.  3) La nuova destra e l’elogio della “vecchia” sinistra. Un’ulteriore considerazione vorrei farla a proposito del dibattito Piccini-Turreni. Non entro nella querelle personale, che poco interessa. Trovo stimolante, a parte gli scivoloni sulla figura di Piccini dovuti al livore politico, la considerazione di Turreni sulla possibilità della destra di giocare sulla carta dell’innovazione e dei grandi slanci progettuali le sue chance di diventare un giorno forza di governo della città. Mi sento di condividere l’impostazione, con tanti se e tanti ma. Il primo punto riguarda la capacità dei partiti locali di centro-destra di porre sul tavolo argomenti e progetti credibili che cambino il contenuto del dibattito politico, costringendo il centro-sinistra (ed in particolare i settori più conservatori) ad uscire da una logica di gestione del potere per riabbracciare lo spirito del Progetto Orvieto. Da una destra credibile trarrebbe giovamento tutto il sistema. Il secondo punto è che l’attuale opposizione (che comprende, non dimentichiamolo, anche un pezzo di Margherita) è ancora troppo intrisa di un certo spirito provinciale e bottegaio che la tiene relegata ad una visione aristocratica della politica. Non basta conquistare Orvieto città. La periferia conta più della Rupe. Forse è ora di cominciare a parlare anche a chi non è avvocato, commerciante, bancario, e per questo occorre fare un bagno d’umiltà. Parlando di Piccini, torno al punto iniziale di questo intervento. Di Piccini in Consiglio Comunale ce ne vorrebbero 5. Giampietro Piccini sarebbe un esempio per ogni giovane DS che volesse confrontarsi con la vecchia generazione del PCI. Un politico vero, un amministratore scrupoloso. Uno di quelli che prima di un dibattito si documenta, legge le carte e poi comincia a confrontarsi. Le sue idee si possono condividere oppure no (io ad esempio dissento sulla sua impostazione riguardante il Casello Orvieto nord), ma si può star certi di essere di fronte ad un interlocutore serio.  Ecco perché ho trovato le parole di Turreni un po’ stonate. La “granitica ignoranza” dei militanti dell’antico PCI era il pungolo per la continua smania di documentarsi e confrontarsi sui problemi concreti. D’altra parte non credo che un avvocato sia per formazione più preparato sugli aspetti della viabilità. Questa è la politica, altrimenti lasceremmo tutto nelle mani dei tecnocrati, vecchia tentazione di qualche caudillo di alcuni decenni fa.