opinioni

Un solo casello, nel posto giusto, e fatto come si deve

domenica 30 aprile 2006
di Gian Paolo Aceto
L’oggetto del titolo riguarda non la viabilità interna alla Rupe ma la sistemazione viaria circostante. Essa si basa, per ciò che è da fare, su due fatti primari: il casello autostradale e la “complanare”. Questi due elementi sono problemi da risolvere in relazione non a un territorio immutabile nel tempo, ma a un territorio in via di continua anche se non tumultuosa trasformazione, per la semplice ragione che la città di cinquant’anni fa’ non è più quella di oggi, e senza voler costringere il pensiero progettuale dentro la camicia di forza delle “magnifiche sorti” dei cinquant’anni a venire. La viabilità del territorio sottostante la Rupe si è basata finora tra l’altro sul casello dell’autostrada dove è sistemato ancora oggi, e cioè in direzione Sud. Ed è stato fatto lì all’epoca perché si pensava e certamente si era constatato che il traffico era o sarebbe stato soprattutto verso il Lazio e Roma, come principale diramazione turistica, e dove erano e ci sono le aree produttive e commerciali più vicine. Ma c’è una variazione importante come tutti sanno e vedono nel territorio intorno a Orvieto rispetto a mezzo secolo fa’: e cioè lo sviluppo (anche se in parte piuttosto nominale rispetto alle possibilità effettive) dell’”area industriale” di Bardano e poi anche dei paesi circonvicini; e inoltre l’aumento del flusso turistico sulla Rupe per il semplice fatto che è aumentata la popolazione mondiale, e in special modo quella parte di essa che si muove per “turismo”. Quando è stato fatto il casello autostradale attuale, non esisteva vicino ad esso praticamente nessun insediamento commerciale, alberghiero o manifatturiero, o abitativo. Col casello e con gli anni si è venuto formando quel tessuto di insediamenti che dal casello arriva fino alla rotonda dello Scalo. La notazione essenziale da fare a questo punto è che il casello ha favorito quel tessuto di insediamenti, ma non è nato a priori per questi specifici insediamenti localizzati lì. E’ nato all’epoca per tutta la città e il suo territorio. Gli insediamenti sono venuti dopo, e i loro gestori e proprietari o abitanti naturalmente non hanno nessuna responsabilità di nessun tipo. Si sono coagulati dove hanno trovato conveniente coagularsi. E cioè i privati hanno costruito e abitano intorno a quella che possiamo chiamare per chiarezza l’unica porta d’accesso dall’autostrada alla città, che però continuava a rimanere una creazione pubblica e per il pubblico (che vuol dire allora come oggi non una parte di città ma tutta la città). Ragionare in maniera diversa a quello che sto dicendo vuol dire configurare, e segretamente voler favorire, forse anche involontariamente e anche in buona fede, una specie di tentata e sotterranea usucapione strisciante del diritto (che è pubblico e deve rimanere tale) all’unico accesso dall’autostrada alla città e al suo territorio. Ma in questo modo, è ovvio pur senza responsabilità dei privati vicini al casello, si viene a creare in ogni caso una specie di privatizzazione di fatto di un diritto pubblico. E chi mantiene il silenzio (specialmente se ha responsabilità pubbliche dirette) favorisce questa situazione, e in ultima analisi ne finisce per diventare complice. Perché se la città cambia sostanzialmente aspetto, soprattutto “si muove”, si allarga e cresce da un’altra parte in maniera considerevole, il casello dov’è ora si trasforma (e ormai tende non soltanto ad esserlo ma lo è) in uno sbocco autostradale al servizio di pochi. Vale a dire, per essere ancora più chiari, che chi ha gli insediamenti o abita in quel tratto non può più aspettarsi che quello rimanga il casello autostradale di Orvieto, sistemato dov’è ora. Con l’ovvia correlazione di ragionamento anche soltanto basato sulla logica elementare secondo la quale se non si potesse o non si ritenesse opportuno avere due caselli, l’unico casello autostradale di Orvieto deve spostarsi in modo da favorire anche altri insediamenti commerciali o abitativi dall’altro lato del territorio. Prima non c’erano, oggi ci sono. E così come possiamo dire che negli anni ’50 il casello autostradale è stato progettato e fatto per una città che aveva all’epoca un certo baricentro, spostandosi il baricentro della città, deve spostarsi il casello. Ma prendiamo in considerazione per ora la possibilità di un secondo casello, e perciò di due caselli, il secondo dei quali ovviamente più a Nord. Ma può la città aver diritto, sopportare, pretendere, dichiarare necessari, esigere dallo Stato o dal gestore privato, la Società Autostrade, due caselli? Le ragioni che lo impediscono sono a mio parere le seguenti: primo, lo Stato o una Regione, così come qualsiasi altro Ente pubblico, non sono e non devono essere una vacca da mungere indiscriminatamente con “donazioni” o sovvenzioni erogate per opere non necessarie che vengono richieste grazie ad appoggi di maggioranze o minoranze di vario tipo, nazionali, regionali, comunali, o politicamente “private” nel senso partitico. Per un gestore privato è la stessa cosa, anzi! Ma qualcuno dice, anche in quasi buona fede: pagando, la Società Autostrade può farci un secondo casello (il che somiglia tanto a certe opere pubbliche del Sud, ma in effetti anche più su…). Premesso che il pagare di per sé costituisce un attestato di moralità interprofessionale soltanto nel caso per esempio di chi compra un chilo di pere in un negozio e perciò deve prima di uscire lasciare il corrispettivo in denaro che il negoziante richiede per la merce, si può affermare che sempre e per qualsiasi fatto il solo argomento del pagare abbia di per sé un valore moralmente positivo? Esiste il caso di chi paga uno per far male ad un altro! Perciò il fatto che, pagando, dalla Società Autostrade si possa ottenere un secondo casello e che perciò soltanto per questo il secondo casello sia giusto farlo o pretenderlo (cosa molto dubbia), diventa un fatto di immoralità politico-amministrativa basato su una distorta e feudale concezione dei rapporti tra, per esempio in questo caso, un Comune e una concessionaria di Stato. Ma va da sé che se invece si optasse per lo spostamento del casello attuale e la Società Autostrade ne richiedesse in parte il pagamento, quest’ultimo sarebbe sacrosanto, perché la merce in cambio andrebbe a vantaggio di tutta la città. Ma c’è un fatto ancora più solare, dato che come città viviamo in relazione ad altre città e perciò in relazione a tutto il territorio nazionale. E’ inutile, anche con buone intenzioni, illudere la popolazione (che come si sa al solito per puro caso coincide con l’elettorato…) sulla necessità di lastricare un secondo casello. La realtà locale non lo consente. Faccio un esempio: la cittadina di Fidenza, oltre Parma, ha lo stesso numero di abitanti di Orvieto, ma ben più di 2000 Partite Iva! (servizio giornalistico de “Il Sole-24 Ore” di uno o due anni fa’). E Fidenza ha un solo casello autostradale! Perciò ragionevolezza vuole che, essendosi la situazione molto modificata, si prenda in considerazione l’unica soluzione concretamente realizzabile: lo spostamento del casello attuale ad un’altezza più a Nord, corrispondente al centro di due conglomerati ormai di pari importanza, e cioè qualche centinaio di metri oltre le cosiddette “case dei ferrovieri”. Questo naturalmente implica la creazione di uno snodo stradale, plurisvincolo, che andrà a favorire diverse situazioni già esistenti, e che nello stesso tempo farà il possibile per favorire l’accesso dal nuovo casello agli insediamenti intorno a quello che fin d’ora possiamo definire l’ex-casello. Ricordo tra l’altro che questa soluzione l’avevo già proposta in pubblico in poche battute essenziali durante la campagna elettorale per le elezioni comunali del 2004, quale candidato sindaco della lista civica “Orvieto Capitale”, in sede di seconda presentazione dei candidati Palazzo dei Sette. Malgrado ciò non è stata presa in considerazione dagli amministratori presenti o candidati amministratori passati presenti o futuri. Riprendendo il discorso sul casello autostradale, da spostare dove propongo, la parte più rilevante è certamente la creazione di un grande svincolo,plurisvincolo, vicino o non vicino al casello, che possa servire in maniera più razionale e spedita diverse situazioni del territorio. E questo svincolo è di certo strettamente connesso a come deve essere progettata (ma forse riprogettata) la complanare, in forme ovviamente dipendenti dalla nuova posizione del casello e dello svincolo stesso. Ma prima di sviluppare quest’argomento, vorrei fare una precisazione. Io sono ovviamente favorevole al maggior sviluppo possibile delle imprese edili o di lavori stradali in generale, oltre che di tutte le altre di altro tipo, ma compatibilmente, nel caso di opere pubbliche, ed è l’argomento di quest’articolo, con le necessità della città e del suo territorio però non soltanto per quel che riguarda la situazione attuale ma quella a venire nei prossimi anni, quella che si spera. Per esempio, la “bretella” che si pensa di fare tra il nuovo ponte sul Chiani e l’inizio di Ancaiano, e questo per evitare agli abitanti della Svolta il passaggio dei camions. E’ un’opera inutile, se si prende in considerazione il progetto del nuovo casello, con ciò che ne consegue e che sto per delineare, anche perché non toglie il fastidio dei camions agli abitanti di Cicoria. Il plurisvincolo, annesso al casello spostato oltre le case dei ferrovieri, dovrebbe snodarsi in quattro direzioni principali, tutte di uguale importanza. La prima direzione è un accesso più diretto al centro storico, con variazioni da decidere metro per metro in rapporto a ciò che di stradale già esiste. Bisogna aumentare gli spazi di parcheggio in pianura per scoraggiare il più possibile l’accesso diretto (che in ogni caso non si può impedire, almeno fino a Piazza Cahen). Tra l’altro intorno al nuovo casello e al plurisvincolo bisogna vietare di costruire insediamenti industriali o abitativi, anche perché per quelli industriali c’è tutta l’area di Bardano, ben lontana dall’essere totalmente utilizzata. Ma anche perché, se Orvieto vuole avere o continuare ad avere un avvenire turistico, bisogna evitare che i turisti in auto, dopo l’attraversamento in autostrada delle splendide vallate a Sud e a Nord di Orvieto, in procinto di fermarsi per salire alla Rupe si trovino di fronte subito qualcosa che assomigli alla periferia di qualsiasi abitato “moderno”. Il plurisvincolo dovrebbe continuare ad avere la campagna intorno a sé, e specialmente nel tratto che porta su in città. Mentre è piuttosto avvilente e spoetizzante per il turista (oltre che caotico) uscire dal casello dov’è ora e trovarsi subito una sfilata di costruzioni certamente utili, ma troppo uguali a ciò che il turista già sopporta nei luoghi dove vive. Perché una delle caratteristiche straordinarie dell’Umbria è proprio questa sensazione di “continuità dolce” nel passaggio dalla natura campestre alle città o paesi antichi. Sono due silenzi “visivi” non assordanti (e non contundenti l’uno con l’altro) che è importante salvaguardare quando ancora lo si può. La seconda direzione è un pezzo di complanare già in programma che dal casello nuovo e dal plurisvincolo torni a servire l’abitato e gli insediamenti già esistenti tra il vecchio casello e la rotonda dello Scalo. Sento dire, ma sono soltanto voci, che gli abitanti di questo tratto non vorrebbero che la complanare passasse dove hanno gli orti che coltivano e cioè immediatamente vicino tra le loro case e la ferrovia, e preferirebbero che la complanare passasse al di là. In effetti questi cittadini abitanti lì già da troppi anni sopportano il rumore e l’inquinamento prodotti da ferrovia e autostrada, e perciò hanno mille ragioni a non volere che il pezzo di complanare passi sotto il loro naso e vicino alle loro orecchie. Ma certamente quel pezzo di strada sterrata si potrebbe almeno asfaltare, e farne una strada a traffico giuridicamente limitato ad uso dei residenti. La terza direzione è una strada praticamente ad uso soltanto degli automezzi che trasportano i rifiuti, una strada che dal plurisvincolo, e perciò saltando tutti gli abitati, vecchio casello, rotonda dello scalo, Ciconia, Svolta, salga direttamente all’inceneritore, perciò proibendo ai camions di passare anche per l’incantevole paesaggio che arriva e oltrepassa il bivio per Morrano, e cioè il poggio di Ancaiano. Per fare questo è necessario espropriare parte dei terreni situati in linea diretta tra il nuovo svincolo e l’inceneritore stesso, facendo una strada che con qualche tornante data la pendenza arrivi direttamente all’inceneritore. E a proposito di Ancaiano e della Svolta, gli abitanti di queste località oltre a quelli di Ciconia sono arcistufi di vedere sentire e respirare gli automezzi pesanti diretti all’inceneritore. Perciò sembra che si sia pensato (ma è un palliativo) di “venire incontro” a questi abitanti progettando la “bretella” di cui parlavo prima, quella che dal nuovo ponte sul Chiani in via di ultimazione alla fine dell’abitato di Cicoria costeggi il Chiani arrivando in linea retta fino alla prima curva di Ancaiano. E questo solo per far passare i camions dei rifiuti, rovinando però irreparabilmente il paesaggio costituito dal grande campo agricolo che ha sullo sfondo gli alberi intorno al fiume, che sono una bellissima vista paesaggistica prima per gli orvietani e poi anche per i turisti i quali per gli orvietani sono anche parte del pane che si mangia. Tutto questo non sarebbe più necessario con lo spostamento del casello e la creazione del plurisvincolo più a Nord, una delle cui strade come ho detto sarebbe riservata agli automezzi diretti all’inceneritore. Per cui la “bretella” lungo il Chiani serve a poco, perché libera gli abitanti della Svolta ma non quelli di Ciconia. A meno che…..A meno che quella “bretella” preluda ad una completa urbanizzazione di tutti i terreni agricoli formanti una specie di grande triangolo con vertici il ponte, lo Stadio e il Chiani. E’ un bene, questo? È un male? L’argomento è complesso. Si sostiene per esempio da alcuni che una parte delle urbanizzazioni nei dintorni della Rupe sia dovuta alle richieste per conseguente fuga soprattutto da Roma, anche se magari soltanto nella forma del pendolarismo. In questo caso Orvieto eserciterebbe una specie di “supplenza esistenziale” così come la esercita in parte riguardo all’area campana per quel che riguarda i rifiuti. Mi è capitato di scrivere in passato che Orvieto fa parte di un tutto, che si chiama una sorta di unità nazionale basata sulla solidarietà amministrativa (tutt’altra cosa naturalmente da ciò che pensano i mai abbastanza odiati leghisti) oltre che politico-istituzionale. E che quando è necessario bisogna pur saperlo dimostrare con i fatti. La quarta direzione è quella che dal nuovo casello e plurisvincolo porta all’area industriale di Bardano e a Sferracavallo oltre che ai paesi più limitrofi o più lontani., per cui è necessario il secondo ponte sul Paglia d’altronde già in programma, e che collegherà e favorirà anche il traffico su Ciconia, favorendo tutto l’abitato. Queste sono le linee essenziali del progetto. Rimane da chiedersi se questo progetto si incontri o si scontri con la complanare già progettata ma i cui lavori sembra che non siano ancora stati assegnati. E perciò c’è da fare un’ultima considerazione, chiamiamola di filosofia o lealtà o serietà politico-amministrativa. Faccio un esempio. In ogni campo dell’agire umano gli addetti ai lavori con responsabilità pubbliche mettono in atto una strategia, cioè programmano secondo le conoscenze e le informazioni che hanno. Ma se prima di passare all’azione, si accorgono che parte o tutto del loro progetto è sbagliato e dimostrabile con buone ragioni, certamente si pongono il problema e accettano di discuterne. Più o meno è il caso anche di un’amministrazione comunale, visto che quando si è imboccata una strada sbagliata, l’unico modo per arrivare alla meta è quello di tornare indietro. Perché le considerazioni che ho svolto fin’ora sono certamente indirizzate al Consiglio Comunale di Orvieto, anche se per ora nella maniera informale di un articolo telematico. Io non posso intervenire in Consiglio perché non ne faccio parte, ma qualsiasi consigliere comunale può, se lo ritiene giusto, fare proprie in parte o complessivamente queste considerazioni e portarle in Consiglio perché vengano discusse e votate. Così ognuno sarà libero di portare la responsabilità personale, primo ed essenziale scalino della dignità politica, della loro accettazione o del loro rifiuto. Tutto questo progetto che ho delineato naturalmente non è inoppugnabile ma naturalmente oppugnabile, come tutte le cose che fanno gli uomini, ma si spera con lealtà e logica di argomentazioni, anche contrarie. Poi naturalmente ci si può aspettar anche il silenzio. Ma qualche volta, è proprio chi tace che in realtà non acconsente.