opinioni

Teresa: quando un libro suscita emozioni e avvicina alla scrittura

sabato 4 marzo 2006
di Fausto Cerulli
Ancora una volta debbo smentire me stesso. Ho sempre sostenuto che ad Orvieto mancano le occasioni per incontri culturali interessanti, poi ti capita una serata come quella di giovedì, nella Sala del Palazzo dei Sette che in genere viene dedicata alle manifestazioni dell’ Istituto Storico Artistico Orvietano, che vulgo si chiama "isao". Giovedì sera presentavano un libro di un autore contemporaneo, dal nome a me sconosciuto: Giancarlo Busti. Il titolo del libro in titolo secco e dolce: “Teresa”. Ma il fatto stesso di assistere alla presentazione di un testo di narrativa piuttosto che di un saggio di archeologia ( che ha indubbiamente il suo valore enorme, ma che mi sembra sempre una questione troppo grande per me, che fatico a riconoscere un capitello ionico da uno corinzio) mi ha stuzzicato. Del resto ero sceso dal non natio borgo selvaggio di Porano ad Orvieto, e le strade di Orvieto erano deserte come penso quelle di Berlino durante i bombardamenti dei liberatori alleati. Ti trovo la sala normalmente poco affollata, anche i lettori si muovono solo se va in scena qualche scrittore sudamericano o qualche giallista “paraculo”. Noto molti capi d’ Istituto, vulgo prèsidi e l’amabile sempre presidente Della Fina mi spiega che anche Giancarlo Busti, di cui viene presentato il libro è un Preside, e che è di San Venanzo. Trovo Della Fina particolarmente eccitato e gioioso, quasi che gli avessero annunciato che hanno scoperto una tomba etrusca nel giardino di casa sua. Mi parla del libro che verrà presentato, me ne anticipa qualche argomento, mi presenta lo scrittore quando fa il suo ingresso in sala. Poi sale sulla cattedra e comincia a raccontare il libro come se l’avesse letto e riletto mille volte e mille volte gustato. Teresa, la protagonista, è una donna vera, vissuta cento anni meno quaranta giorni a San Venanzo, era la nonna dello scrittore. Il quale pensava di farle un regalo per il centesimo compleanno raccogliendo in un volume quello che aveva sentito dire da lei di quasi cento anni di vita, con due guerre mondiali in mezzo, e la spagnola, e l’avvento della televisione e sullo sfondo sempre San Venanzo, da cui Teresa non si era mai mossa, anche se a a un certo punto “ funzionava una corriera che andava da San Venanzo ad Orvieto tutti i giorni”, esclusa, penso, la domenica. La grande storia vista con gli occhi di una donna normale, magari poco acculturata, ma piena di quella saggezza contadina che è stata il sale di questa regione. Questo tipo di storia, in genere, corre due rischi: quello di risolversi in una serie di bozzetti, e quello di insistere sulla irripetibile felicità del passato genuino. Lo scrittore ha abilmente scansato questi rischi. Il bozzettismo, se in qualche punto traspare, riesce a risolversi in verismo. E il bel tempo antico si combina felicemente con il tempo che passa, con la vita che muta. Un attore che conoscevo solo di nome, Foresi, leggeva brani del libro nelle pause dell’intervento di Della Fina: e da quei brani ho già imparato ad amare quel libro. Perché mi accorgevo di avere di fronte uno scrittore vero, una persona dotata di un proprio stile espressivo, tenero e corposo insieme, radicato nelle pietre di San Venanzo ed affinato da una cultura sottile, da letture ben lette e assimilate. La vita di Teresa si svolgeva dinanzi alla nostra attenzione di ascoltatori e prossimi lettori come in un film neorealista, di quelli che oggi sono i film-cult, e che sono di gran lunga superiori ai film per tutti gli appetiti. Accanto alla vita di Teresa la vita dello scrittore, nipote di quella Teresa, e da lei influenzato, e di lei intriso. Giancarlo Busti, nel suo libro non elegiaco e non retorico, diceva di sua nonna Teresa e nello stesso tempo era detto da lei. La raccontava e ne era raccontato. Era presente anche l’editore del libro, un coraggioso editore perugino: il quale, essendogli stato chiesto per quale motivo avesse deciso di pubblicare “Teresa” ha risposto di averlo fatto anzitutto perché era stato colpito dalla densità della scrittura. E mentre lui faceva questa osservazione apparentemente banale, io pensavo a quanto sia difficile, in questo mondo multimediale, dar valore e significato alla semplice “scrittura”. Scrivere e leggere sembrano essere diventati due momenti quasi obsoleti, in questo mondo tutto da vedere. I brani del libro, che sentivo letti da Foresi, mi riaccostavano al gusto del leggere, e mi sembrava riaccostassero Busti al puro e grande gesto di scrivere. Ad ogni buon conto, lo scrittore e l’editore hanno cercato di far fronte anche alle esigenze di multimedialità, allegando al libro un c.d. rom, con immagini della tenace ruralità di San Venanzo, con canzoni popolari tratte dalla tradizione orale di San Venanzo e di Todi, con un suggestivo breve documentario girato dallo stesso scrittore nella sua terra, fatta di panorami enormi, di colline tenere, di acque quasi sante, di sorgenti annidate nella rupe. Guardavo lo scrittore mentre Foresi leggeva brani del suo libro: e vedevo che lo scrittore si riascoltava, riprovava le stesse emozioni che lo avevano spinto a scrivere quel libro, e il suo volto robusto mi sembrava quasi contratto ad evitare disdicevoli commozioni. Io non sono solito fare recensioni, i miei quattro o cinque lettori lo sanno. Se questa volta l’ho fatto è perché mi è sembrato importante coinvolgere appunto i miei quattro o cinque lettori in una esperienza emotiva che non capita tutti i giorni di provare; e poi perché mia madre si avvicina ai cento anni di vita, e la lettura del libro di Busti mi ha suggerito di chiederle di raccontarmi qualcosa di questa vita. Non per scriverne, ma per capire e capirmi. P.S. Ovviamente sono stato “lautamente pagato” dall’editore e dallo scrittore...