opinioni

Nemo propheta in Patria

giovedì 23 febbraio 2006
di Fausto Cerulli
Nemo profeta in patria. Luca Coscioni diventa orvietano in limite morti. Improvvisamente tutti si accorgono che Orvieto aveva avuto tra i suoi abitanti una figura la cui storia politica e personale ha pesato con il macigno del suo star male e del suo star male per gli altri sulla coscienza degli italiani che hanno coscienza. Io conoscevo Luca da quando il suo futuro sembrava una strada da percorrere con la gagliarda gioia di un maratoneta. Un giovane bello, dolce, che aveva bruciato le tappe di una carriera universitaria diventando assistente e poi docente all’Università di Viterbo. Lui militava in Forza Italia, era diventato Consigliere comunale per questo cosiddetto partito: ma prendeva la sua sciagura politica con l’ironia che trovo in un Antonio Barberani e in un Guido Turreni. Ogni tanto parlavamo, come si parla da uno che potrebbe essere zio ad uno che poteva essergli nipote. Mi tornano in mente i suoi occhi nerissimi, la sua voce priva di accenti oratori. Poi venne il suo male, progressivo, implacabile e implacato. Cominciò la sua battaglia per le cellule staminali embrionali, che sembravano l’unica cura per la sua malattia dal nome strano e stranamente terribile. E la sua battaglia coincise con quella del Partito Radicale: in nome di una comune volontà di combattere i maledetti tabù che una chiesa da sempre e per sempre medievale sbandiera come le bandiere di un Cristo che se ci fosse si incazzerebbe come un satanasso. Il progredire della sua malattia, che avrebbe portato una persona normale, a rinchiudersi nel guscio del suo star male, fu per lui come una scarica di adrenalina. Il male gli impediva di parlare e di scrivere, e lui si inventò un marchingegno elettronico che gli consentiva di parlare con una voce metallica, che sembrava venire da uno spazio robotica e veniva dalla sua casa in via Stefano Porcari. Una casa che era diventata un punto d’incontro per chi condivideva la sua battaglia radicale pur non essendo radicale. Gli brillavano gli occhi quando ci vedeva intorno al tavolo, a mangiare le pizze che lui non poteva mangiare. Andavo spesso a trovarlo, poi le visite si diradarono mano a mano che il male progrediva, sapevo sue notizie tramite Maria Antonietta, la sua donna stupenda in tutti i sensi. Poi fummo compagni di battaglia politica quando lui decise di presentarsi alle elezioni politiche come candidato per la lista Bonino, e mi fece l’onore di chiedermi di presentarmi al Senato per la stessa lista, ed io ero di Rifondazione Comunista ma non mi feci nessuno scrupolo. Semmai gli scrupoli se li fecero i compagni di Rifondazione che mi espulsero dal Partito per quella che una volta si chiamava indegnità politica. Erano tempi in cui la lista Bonino sembrava una fascista o fascistoide. Ora i radicali con la rosa nel pugno stanno con Prodi, e forse ridivento presentabile. Ricordo un comizio in Piazza della Repubblica, io, Luca e Pannella. E la piazza era piena, e Luca sfidava dalla sua carrozzella un temporale da matti. Ma sorrideva a vedere la piazza piena, e forse pensava che ce l’avrebbe fatta. Ma l’apparatik dei partiti partiti non gli dava scampo elettorale. Ma contammo i nostri voti, confrontammo i suoi con i miei, vedemmo che erano voti veri.. E provammo la sensazione di essere stati votati da chi aveva capito il problema che era un problema per Luca, ma anche un problema di tutti i malati come Luca, ed i malati che non possono guarire per via di un messaggio arrogante della Chiesa Cattolica. E che ci avevano votato quelli che vogliono che la Chiesa pensi alla Chiesa ed ai suo Marcinkus... Da molto tempo non vedevo Luca: e non sono neppure andato a trovarlo nella Sala del Consiglio Comunale, e non ho partecipato alle esequie pubbliche in Piazza del Popolo. Non amo le cerimonie ufficiali, come non le amava Luca. Mi avrebbe fatto dare di stomaco, con tutto il rispetto per l’uomo, sentire un sindaco di razza democristiana tessere l’elogio funebre di una vittima della cultura democristiana. Ho preferito ascoltare da Radio Radicale quello che accadeva in Piazza del Popolo: così ho avuto la possibilità di spegnere la radio quando parlava Mocio, e di riaccenderla quando ha parlato Emma Bonino. Una Emma diversa dalla solita Emma, una Emma di poche e commosse parole. Le parole che avrei voluto dire a Luca se avesse potuto ascoltarmi. E sarebbero state parole politicamente ed umanamente sincere: e non le chiacchiere che si riservano ai morti quando sono morti, perché non si è voluto parlare con loro, o ascoltare la loro voce, quando erano vivi. I politicanti orvietani saranno stati contenti della cerimonia: una volta tanto si è parlato di Orvieto senza parlare delle beghe da cortile di Orvieto. Grazie anche per questo, Luca, maestro ed amico.