opinioni

Casermone, ultimo treno per la Città

mercoledì 15 febbraio 2006
di Antonio Barberani
Passando sotto il Casermone, salta agli occhi che, forse approfittando delle troppe vetrate rotte, incominciano a farla da padrone I PICCIONI. Non è una gran novità, se non per il fatto che contribuiscono pesantemente ad avviare quella costruzione alla dignità archeologica di rudere. Sono passati già molti, troppi anni da quando il nostro Comune ha riacquisito la proprietà della ex Caserma Piave. Si sono, da allora, accese immediatamente le speranze di riscatto di una città, di un intero territorio prigioniero del sottosviluppo legato al controllo della politica e al 'collateralismo' imprenditoriale diffuso. Oggi, il Casermone è da tempo oggetto di propaganda, vedi le squallide pagine del Sole 24 ore, o set di scomode manifestazioni allestite per dimostrare che ancora esiste. Comincia a farsi spazio tra i cittadini la convinzione che forse le scelte non sono state giuste (vedi RPO), che non si hanno le idee chiare, che non ci sono competenze all'altezza di questa risorsa. Intanto i piccioni minacciano di fare come “Gli Uccelli” di Hitchcock: tentano di demarcare un territorio da troppi rivendicato e, di fatto, fino ad oggi solo luogo di patetiche e improduttive ripicche politiche. Proviamo, ancora una volta, a ricordare, di corsa, cosa è avvenuto ad Orvieto negli ultimi decenni. Il Centro Storico, luogo residenziale per lo più borghese e, di conseguenza, insignificante serbatoio di voti per la sinistra, qualche decennio fa veniva progressivamente svuotato di senso, letteralmente abbandonato. Via le scuole, via gli uffici, via i negozi, via l'Ospedale, via i residenti. Veniva favorita la nascita di nuovi quartieri periferici, vagheggiato luogo del comunismo realizzato, se non, più spesso, o insieme, di speculazioni forsennate. Questi nuovi quartieri monotematici erano (sono), in sostanza, enormi dormitori, svuotati, nonostante ridicoli sforzi, di ogni altra funzione. La CITTA' così concepita non ha retto, in quanto non poteva che produrre separatezza, marginalità: il Centro Storico 'luogo' di anziani, le periferie per le coppie e i più giovani. Nonostante i ponti, i laghetti, i monumenti, "Orvieto su" è rimasta una cosa, gli "altri quartieri" un'altra, e non è sufficiente qualche affollata passeggiata slow per restituire una identità complessiva. In questo senso, la ex Piave, ma non solo, tutta l'area che va da Piazza Cahen alla ex Smef, comprendendo le Carceri, la Caserma dei Carabinieri, il campo di Via Roma, è una occasione unica anche per ritrovare la "città perduta", nella quale ricostruire possibilità abitative, occasioni di lavoro e di divertimento. Una città polifunzionale secondo le tendenze più aperte e moderne, dove tutto può convivere, ponendo un argine all'espansione periferica selvaggia. Vanno date risposte alle esigenze di Orvieto - ripopolamento, sviluppo, identità culturale - attraverso l'urbanistica e l'architettura: non è questo il ruolo della politica? In questa città va completamente cambiato il progetto sociale, e per questo non bastano né buone intenzioni, né furbate di facciata. Il grande architetto Norman Foster, incaricato a Milano di ripensare una grande area industriale dismessa (guarda caso), sta realizzando la "città nella città", seguendo le più moderne teorie urbanistiche che raccomandano di non produrre periferie, ma di riqualificare la città esistente, non avendo paura di inserire nuova architettura tra gli edifici storici. In definitiva: trasformare senza più espandersi. In questo senso ho sempre creduto che la strada giusta per quella grande porzione di città dove insiste il Casermone, fosse il 'concorso internazionale di idee'. Oggi, in tutto il mondo, oltre al dramma dello squallore dei quartieri periferici, esiste il problema delle aree urbane dismesse e viene affrontato senza complessi o tic pseudoconservativi: si 'rottama' e basta, cioè si demolisce. Lo sta facendo anche Veltroni a Roma, che sta radendo al suolo, zitto zitto, alcune spettrali costruzioni-dormitorio, pessimo esempio di architettura socialista. L'occasione delle Caserme, o meglio, di quell'area urbana, va colta al volo, nella consapevolezza che la nostra città può anche raccontare una storia diversa dalla sola storia di 'città d'arte'. Un grande progetto urbanistico può ridare speranze concrete all'intero territorio, considerando che riprogettare ex novo consentirebbe di utilizzare l'architettura per migliorare tangibilmente la qualità della vita, dando indicazioni concrete pure su alcune compatibilità oggi ineludibili: la parte energetica, ad esempio, o quella verde. Senza però dimenticare quello che afferma il troppo citato Arch. Fuksas: “la vitalità di un insediamento urbanistico non è data dalla quantità di alberi, ma dai bambini che ci nascono". E' certamente un' idea ambiziosa, sconvolgente per certi aspetti. Forse per questo non si farà, nonostante qualche timido cenno di resipiscenza. Certamente è L'ULTIMO TRENO per Orvieto. Non c'è più spazio per gli indugi della politica, le spallate tra fazioni, le speculazioni mascherate da sviluppo. Non c'è più spazio per questa sospetta, asfissiante presenza pubblica nell'economia. Prendiamo a modello chi è già intervenuto in simili questioni. A Bilbao, quando chiusero le acciaierie, lasciando un enorme spazio urbano inutilizzato, l'urbanistica e l'architettura sono stati il fattore principale della qualità del cambiamento: oggi vi sono oltre un milione di visitatori all'anno che vanno a vedere quei contenitori prima ancora dei contenuti! La vecchia Fiera di Milano è stata venduta al migliore offerente che ha presentato il più convincente progetto urbanistico, secondo il giudizio di una commissione internazionale. La cordata CityLife (con a capofila Generali Properties) ha vinto e si è aggiudicata l'area, utilizzando la tecnica del 'Project Financing', che rende possibile il finanziamento di iniziative economiche sulla base della valenza dei progetti. Anche le Caserme si potrebbero così 'cartolarizzare' (cioè vendere) e destinare l'enorme ricavato ad un altro grande investimento da programmare per favorire lo sviluppo economico del nostro territorio. Sarebbe la rivoluzione! L'importante è darsi come orizzonte la modernizzazione e lo sviluppo della città, piuttosto che gli 'affaretti', il consenso, le supremazie interne. Non si possono soltanto produrre degustazioni e mascherate medioevali! Orvieto ce la può ancora fare, a patto che, i nostri amministratori, la smettano con le diffidenze ed i tentennamenti. Per adesso è serio dubitare dei 'comitati' e delle partecipazioni fasulle che fanno perdere altro tempo. Bisogna ormai andare dritti al problema, coinvolgendo vere competenze in campo culturale, economico e urbanistico. Ce ne sono molte, in Italia e all'Estero, basta uscire dalla cerchia di "quelli che capiscono", sempre i soliti, sempre inutili.