opinioni

Mistero ex Piave. Era già tutto nel business plan

domenica 18 dicembre 2005
di Laura Ricci
A partire dall’annuale Iniziativa socialista, per poi passare alla presentazione del Documento programmatico dei DS sul futuro sviluppo di Orvieto, dal Convegno di Assindustria al Forum Civico che quest’anno era dedicato, emblematicamente, al futuro sviluppo della Città, questo periodo prenatalizio è stato ricco di stimoli e suggestioni di carattere politico che non hanno mancato di sollecitare il dibattito cittadino, anche attraverso il nostro e altri giornali.
Spogliandomi dell’abito – del resto per me mai troppo costrittivo e stringente – di giornalista, vorrei offrire alla Città, e non solo al suo futuro, anche il mio contributo, premettendo che volutamente ho atteso, per queste riflessioni che desidero condividere con chi le leggerà, lo svolgersi del Forum Civico, al quale attribuivo, in questo momento particolare, grande importanza.
Senza alcuna pretesa di verità naturalmente, e anzi con la sempre dubbiosa interrogatività, con la passione e la curiosità del confronto che credo contraddistingua il mio inquieto ma sempre positivo, forse propositivo pensiero; ma anche con molta rispettosa sincerità, che credo sia necessaria, se si vuole costruire, non solo nei periodi di emergenza ma sempre.

Aspettavo il Forum Civico dunque - cominciamo a ritroso – che, chissà perché, credevo sarebbe stato un momento di discussione molto alto e affollato; e anche perché speravo che, tra i tanti contributi, ci sarebbe stato un intervento del Presidente di RPO (come in effetti è stato) che avrebbe completato il quadro dei miei pensieri rispetto alla ex Piave prima di arrischiarmi a dire, come farò, cosa personalmente ne penso.
Dico la verità, ne sono stata in parte delusa, e non delusa dal versante dell’Istituzione, ma da quello dei cittadini. Di tutti quei cittadini che da tanto, forse da sempre si lamentano sulla stasi o sulla morìa della città, o anche di quelli che sono più fiduciosi e che comunque non erano lì: nel luogo dove anche i cittadini sarebbero potuti intervenire, forse il Consiglio aperto per eccellenza; intervenire per dire la loro, o anche per ascoltare e per fare domande, insomma per “interagire”. Un luogo civico e non partitico - di tutti - dunque l’ideale per un confronto ampio e fuori dagli schieramenti.

Non che dovesse esserci tutta la Città. Ognuno, per non esserci, avrà avuto le sue buone ragioni, e tutti sappiamo quanto i nostri ritmi quotidiani siano veloci e serrati; ma qualcuno in più – o meglio, qualcuno di diverso - con un titolo sul “futuro sviluppo” me lo sarei aspettato. In fondo, fatte le debite eccezioni, c’erano solo gli addetti ai lavori: amministratori, consiglieri, consigli di zona, esponenti politici; a dirsi le cose che si sono già detti molte volte.
In pratica tutto si delega, in questo caso anche la partecipazione, salvo poi lamentarsi che chi è delegato non ci rappresenta veramente. E se si delega si rischia una ritualità poco utile, una sfibrante poco produttiva autoreferenzialità.

E’ vero, ci sono state le dimissioni in massa del Consiglio di zona di Orvieto centro storico, la vera novità spiazzante della serata, che forse servirà, con un nuovo regolamento, a dare meno ritualità e maggior potere propositivo a questi organismi.
Ma anche questo atto fa riflettere, perché se il lancio della nuova fase di sviluppo è, come si dice, di grande priorità e importanza, serve la platealità o forse può essere meglio, pur salvaguardando le ineludibili particolarità, far quadrato e dare un contributo alto, anche a costo di qualche rinuncia di principio, a linee generali che da tempo sembrano ormai tracciate?

Anche alcuni interventi “dal basso” – tanto per usare un’altra locuzione del momento – mi sono sembrati non all’altezza della sfida che non solo Orvieto, ma la situazione nazionale, internazionale ed epocale chiama a sostenere, limitati alle particolarità di quartiere: perché se è vero che sviluppo è tutto, anche la piccola cosa che può migliorare qualunque aspetto della nostra vita, mi sembra che questa volta il tema chiamasse a un’interlocuzione ben più ampia. Limitati al particolare dicevo, quando non addirittura viziati da quel qualunquismo superficiale e populista che, se non la smettiamo di schierarci per luoghi comuni e per partito preso, non ci porterà da nessuna parte se non al peggio.
Viene da chiedersi, a volte, dove vivano i cittadini, se siano al corrente di quello che passa nella loro città. E se questo pone il problema della comunicazione, che in alcuni casi è certamente carente dall’alto, carente e sibillina – accade soprattutto con i problemi spinosi, vedi Piave, servizio idrico, rifiuti – pone anche quello della cautela e della correttezza dal basso, dell’opportunità di informarsi prima di decretare o anche, più semplicemente, di ascoltare: di ascoltare quando siamo in un luogo, non concentrati su narcisismi o precostituite verità, ma davvero pronti al confronto e scevri da pregiudizi.

Sull’ascolto mi sono interrogata molto negli ultimi tempi, e proprio a proposito dell’ampio dibattito che, da varie posizioni, si è di nuovo aperto intorno al riuso della ex Caserma Piave.
Sono una persona abituata ad ascoltare, forse è stata la mia prima formazione, quella linguistica, ad avermici allenato (quando si studia una lingua l’ascolto e la comprensione sono i primi presupposti, quelli senza i quali nessun progresso è possibile); e, proprio perché ascolto, abituata a ricordare. Sulla Piave mi è sembrato di sentire, negli ultimi tempi, tanto di “già detto, già ascoltato” e, quel già detto, “incredibilmente” è stato affermato proprio il giorno della presentazione e dell’adozione del business plan.
A parte qualche variazione sul tema – gli Uffici da impiantare nelle Caserme e l’edilizia calmierata di converso proposti dai DS, che variano ma non stravolgono tutta quella programmazione – in quel business plan ci sono già tutte le tracce di quello sviluppo di cui stiamo discutendo da tempo, ci sono già le linee guida che da ogni parte ( partiti, categorie, associazioni) si stanno delineando, con sempre maggiore chiarezza e anche suffragati dai dati, per Orvieto: turismo e tempo libero, commercio non in collisione con quello già esistente, cultura, enogastronomia, polo tecnologico, formazione, e persino un teatro (proprio come all’Europark di Salisburgo), quello di Vigna Grande, spazio polifunzionale da affidarsi a un concorso internazionale…

Scusate, io quel giorno ascoltavo, ho letto il materiale fornito alla stampa, ho scritto un articolo che ne rendeva conto e che invito gli eventualmente increduli, o chi volesse rispolverare la memoria, a rileggere… altri che erano lì, per caso, hanno dimenticato?
Nel business plan c’era già tutto, senza pretesa di verità così mi sembra, anche quello che l’amico Gianni Cardinali giustamente vagheggia sulle suggestioni impresse dall’architetto Fuksas…un perfetto mall… quel business plan tratteggiava, come Fuksas illustra, un centro che raccoglieva molte funzioni possibili, un luogo di incontro di arte, economia e cultura, una sorta di recupero anche del senso ludico.
Era talmente avvincente quello spicchio di città descritto su Orvietonews – credo aderente al testo e non romanzato – che un paio di giorni dopo un Onorevole, di cui non occorre fare il nome, ha scritto al nostro giornale perché desiderava il recapito dell’architetto Zorzi (l’artefice principale di quella mirabile “pensata”), per consultarlo su un importante progetto; e noi, compostamente, girammo la mail al Presidente di RPO. Lo dico perché è giusto sapere che quel business plan a qualcuno ha fatto addirittura scattare qualche scintilla di ammirazione, di emulazione.

Viene da chiedersi cosa è accaduto dopo: perché talvolta, da alcuni atteggiamenti e da alcune dichiarazioni, stiamo ricominciando come se quel giorno non fosse stato; viene da chiedersi a cosa dobbiamo quel certo immobilismo che preoccupa Assindustria ma anche, credo, ogni cittadino di buon senso che abbia seguito, nell’interezza e non solo a tratti, le questioni. Perché se è vero, come nel Forum ha affermato il Sindaco Mocio, che la rifunzionalizzazione della Piave è un tema da affrontarsi con serenità e concretezza, è vero anche, come ha sottolineato il Presidente di RPO, Franco Raimondo Barbabella, nel suo intervento, che si deve decidere presto dove si vuole andare.
I tempi e i mutamenti dell’economia sono infatti, in questa nostra epoca in cui tutto è galoppante, estremamente più veloci di quanto siano quelli della politica, nella recessione come nell’innovazione, e mentre si discute per tanti aspetti sul già discusso esistono, sul territorio, tante vecchie e nuove realtà che, da una svolta decisiva sulla ex Piave, non potrebbero che trarre profitto.
Il dibattito sul dire comincia ad essere sterile, credo che si debba passare al fare.

Abbiamo ascoltato, negli ultimi giorni, anche gli industriali e gli imprenditori: all’assemblea annuale di Assindustria, tenuta dichiaratamente e non a caso alla ex Piave; e al Forum Civico con l’intervento del vice presidente dell’associazione industriale di Terni. Ne è scaturito un monito alla classe politica ad affrontare presto – con competenza, professionalità e passione, con responsabilità e senso civico, queste le parole chiave – i nuovi processi di governo e di sviluppo in un contesto socio-economico radicalmente mutato; ne è uscito un richiamo a un maggiore senso etico e all’abbandono del centralismo, degli accordi e delle spartizioni a carattere politico.
Non sono una che si attacca al passato, mi piace anzi comprendere i mutamenti e parteciparvi, ma per la mia generazione è a dir poco sconcertante che questo monito provenga dagli industriali: una volta a parlare di etica, responsabilità, professionalità, passione, era la politica.

Per aver ascoltato e osservato in questi mesi nei luoghi della politica – quelli aperti e trasparenti, non mi è dato sapere degli altri – mi sento di condividere, non per simpatia, non perché sono schierata con lo SDI, non per piaggeria ma solo per onestà intellettuale, quanto ha affermato il Presidente di RPO nel suo intervento.
Se il risultato del lavoro di RPO è quel business plan alla cui presentazione ho assistito e che nelle sue linee ho letto e descritto, RPO non ha certo lavorato male; è vero che ha lavorato come una società per azioni, non come un organismo istituzionale. Se era sbagliata la scelta della società per azioni, come ha affermato Barbabella “la si chiuda e diciamo perché”; se non lo è stata, andiamo avanti e facciamo il pre-marketing di cui tanto si è parlato, vediamo se funziona, e se non funzionasse allora sì, sulla base di quel che eventualmente non funzionerà si cambino le prospettive e le formule.

Nello scegliere la Piave per la sua assemblea annuale, nel dichiarare senza riserve il suo monito alla politica, Assindustria ha voluto lanciare un direi provocatorio messaggio, ha voluto dire con chiarezza che quegli spazi, per essere tra l’altro in una città come Orvieto, sono un potenziale straordinario in un già pregevole contenitore: un potenziale da far fruttare, non da svilire con divisioni e contrapposizioni.
Il fatto che sulla ex Piave sia stato sottoscritto un accordo politico significa che è, in qualche modo – e del resto lo si era capito da tempo – strumento di contrattazione politica. Personalmente mi sento di dire - da cittadina che ha a cuore la città, dunque la politica, e da imprenditrice che cerca di lavorare con quel senso civico, quella responsabilità e quella passione che Assindustria sollecitava – che se può esservi contrattazione politica altrove, non può esserci invece su una questione così vitale e così di tutti come la Piave.
Su un’opportunità così grande, che può essere un’occasione ma anche un enorme problema, un futuro fiore all’occhiello o un boomerang, sarebbe necessario il senso civico e l’onestà intellettuale di tutti, classe politica, classe dirigente diffusa e cittadini. In certo senso occorrerebbe un digiuno di purificazione, una rigenerazione, se mai fosse possibile: fuori dai pregiudizi, dalle divisioni, dalle contrattazioni, dagli schieramenti. Ne siamo ancora lontani.