opinioni

L'autunno che (de)polverizza i comitati: autonome riflessioni su protagonismi non richiesti e occasioni perse

martedì 22 novembre 2005
di Mirko Pacioni, biblioteca libertaria "Il Tarlo", Orvieto
Quando l'estate scorsa spuntarono come funghi i diversi comitati a difesa dell'ambiente, per far fronte a talvolta scellerate intenzioni dell'amministrazione comunale di Orvieto, spesso tanto inutili quanto decontestualizzate dalla "naturale" ed originaria vocazione del territorio, fra le componenti dei comitati stessi ci fu addirittura chi si entusiasmò a tal punto da arrivare a percepire nell'aria un rinnovato spirito d'iniziativa, tipico delle mobilitazioni popolari di carattere spontaneo.

Personalmente, pur avendo contribuito spontaneamente e sinceramente al lavoro degli amici di Sugano per il Comitato Strade Bianche, non mi sembrava proprio di avvertire nessun "vento nuovo" (manco una piccola brezza se è per questo...) nelle dinamiche con cui i vari comitati portavano avanti le loro iniziative; e anzi, nelle riunioni plenarie di coordinamento di tutti i comitati, era sempre puntualmente presente quell'incorreggibile e fastidioso pragmatismo di natura partitica, magari sotto le mentite spoglie di un qualche soggetto associato autobattezzatosi con un altro termine, anziché con quello di "figlio del partito", come forse sarebbe stato culturalmente più corretto.

Ma dopotutto si sa, la gente è stufa di certi termini da prima repubblica, e allora da qualche anno a questa parte, su tutto il territorio nazionale, il moderno riformismo di certe realtà, dai più a torto definite alla sinistra, della sinistra, della sinistra istituzionale, ha intrapreso il nuovo sport di creare "situazioni" e "realtà" politiche dall'apparente natura movimentista e dai particolari nomi quali "reti", "forum" e così via, accompagnati quasi sempre dalla parola "sociale", onde evidentemente evitare di sembrare troppo al di fuori dei problemi delle cosiddette "masse".
Frequentemente, l'attività di queste realtà pseudo-alternative, è legata e/o dipende strettamente dalle iniziative di alcuni centri sociali (vedi Roma, Milano, Venezia, Napoli, ad esempio), in particolar modo sul fronte dell'utilizzo per propri fini dello strumento mediatico, specialmente televisivo.
In fondo, nella sostanza, poco c'è di "alternativo" in questi contenitori, se s'intende per alternativa una proposta politica che sia "altra", rispetto a ciò che offre il panorama politico istituzional-parlamentare.
Soprattutto nelle città menzionate, ma non solo, è strettissimo il legame di queste situazioni con partiti come Rifondazione o come i Verdi, tanto più che gran parte della recente crescita elettorale dei partiti in questione è dovuta proprio al serbatoio di voti rappresentato da buona parte degli attivisti dei vari "rete", "forum" e così via.

Ora, premesso che non debba essere l'esistenza di questo cordone ombelicale fra partiti di "sinistra" e realtà politiche alla loro "sinistra", a sminuire la legittimità all'operato politico di queste ultime, rimane comunque da parte di esse un’ipocrisia di fondo, nel richiamarsi e rivendicare un ruolo politico alternativo al palazzo che invece alternativo non è.
Detto questo, sottolineando il fatto che questo è il mio pensiero in linea generale su tale questione, vorrei entrare nello specifico dell'orvietano; e mi viene da ripensare a quell'amico citato all'inizio della presente, il quale, beato lui, percepiva un "vento nuovo" quest'estate, allorché qua e là nel comprensorio videro la luce diversi comitati cittadini su vertenze specifiche, legate in ogni caso a problematiche di ordine politico/ambientale.

Considerato il denominatore comune esistente nelle vertenze intraprese (i rischi per la salubrità dell'ambiente, appunto) fin da subito i comitati ebbero l'esigenza di coordinarsi nelle attività, ovvero si convenì che se l'obiettivo comune era quello di opporsi alle scelte dell'amministrazione comunale, nonostante che le questioni specifiche vertessero su temi diversi, anche se sempre legati all'ambiente, bisognava incontrarsi periodicamente tutti insieme, fare il punto della situazione, valutare gli elaborati tecnici e rilanciare l'offensiva.
Il cosiddetto "cerchio di canonica" (l'assemblea pubblica a cui parteciparono rappresentanti di tutti i comitati, nonché vicesindaco e assessore ai lavori pubblici del Comune di Orvieto), sembrò essere un ottimo viatico, tanto più che gli stessi amministratori comunali ebbero le loro difficoltà nel rispondere alle questioni poste loro per la prima volta in maniera diretta, senza la mediazione di quegli strumenti messi in atto dal potere stesso che, almeno qui ad Orvieto, rispondono al nome di Consigli di Zona.
Altra esigenza fondamentale che emerse immediatamente nell'attività dei comitati fu quella di dover informare le popolazioni in loco della reale natura delle scelte che il Comune di Orvieto si apprestava a mettere in atto, spacciate talvolta come pratiche iper-moderne (la depolverizzazione alias asfaltatura delle strade rurali inserite in un futuro Parco Archeologico Ambientale), o nascoste dietro reali esigenze politico-occupazionali, facendo credere che l'apertura di una cava, per quanto enorme, potesse essere una delle soluzioni possibili per ridare fiato ad un’economia locale in ormai cronica stagnazione.

A fronte di ciò, nel giro di poco più di due mesi, cosa è accaduto?
Solo due sono state le realtà dove si è ottenuto, anche se in diverse forme, ciò che i comitati auspicavano:
- a Benano, dove la cava non si fa più, e buona è stata la partecipazione e la compattezza popolare in appoggio al comitato omonimo;

- a Sugano. In quest'ultima ridente frazione del comune di Orvieto il problema era sicuramente di portata minore (asfaltare alcune strade rurali, “fregandosene” del loro valore storico-culturale e del futuro Parco non è certo così grave quanto sventrare le campagne di Benano per far piacere ad un industriale cavatore). Ma c'è da dire che anche a Sugano la partecipazione popolare è stata ottima....sì, contro il Comitato Strade Bianche e a favore dell'asfaltatura delle suddette strade!
Ai limiti del ridicolo e memorabile è stata a tal proposito un’assemblea pubblica suganese, sempre quest'estate, indetta dal locale Consiglio di Zona su esplicito sollecito del proprio controllore governativo: di nuovo vicesindaco e assessore ai lavori pubblici, sostenuti dalla clac organizzata per l'occasione e in un eccesso di magnanimità tornarono ancora a ribadire ai "fautori delle strade bianche" le stesse identiche cose sentite al "cerchio di canonica", con l'aggiunta questa volta di una predica conclusiva finale, all'insegna del "volemose bene, ma soprattutto fatece governà", con toni degni della migliore tradizione clericale.

Morale: la strada dell' Olivella è ormai asfaltata. L'ultimo tratto della strada che porta da Canonica verso il crocevia delle cosiddette quattro strade, dal quale volendo si prosegue per la Fonte del Tione, anche. Ma dopo tutto...già che c'erano!
Sicuramente quest'ultima asfaltatura sarà stata di gradimento a quel parlamentare che possiede casa lungo la strada che scende alla Fonte del Tione....l'abbiamo vista tante volte l'auto blu dell'onorevole passare a Canonica, e nel nostro immaginario perverso ogni volta abbiamo pensato all'autista che imprecava dovendo necessariamente percorrere con la regale automobile qualche centinaio di metri di strada bianca!
Infatti, solo il primo tratto nei pressi di Canonica era rimasto ancora sterrato e gran parte della strada verso casa del parlamentare lo era già; perciò che senso avrebbe avuto mantenerla così, quando lì vicino imperversavano i potenti mezzi del comune, mandati per le campagne suganesi a distribuire asfalto come fossero state caramelle!
Adesso tutti contenti, suganesi compresi. Dunque, tutto finito? E gli altri comitati?

Alcune questioni (vedi loc. Renara) sono ancora aperte. Ma nemmeno la questione cava è ancora chiusa.
Dopo aver rinunciato a Benano, il comune di Orvieto, che evidentemente non può disattendere le intenzioni del cavatore (che è sempre lo stesso, la SECE), ha pensato bene di rivalutare l'ipotesi di farla ugualmente la cava, tornando su un vecchio sito di estrazione dalle parti del Botto, nei pressi di Canale.
Al momento, sul fronte contro-informazione, l'unica cosa che è uscita pubblicamente è il manifesto della sezione orvietana del WWF, che riprende una lettera di protesta inviata al sindaco di Orvieto, in data 30 settembre e firmata dagli abitanti in loc. Le Velette, limitrofi alla zona ove il comune vorrebbe concedere l'autorizzazione all'ampliamento della cava già esistente.

Per il resto? Altre proteste pubbliche? Al momento, non pervenute.
Dove sono finiti i comitati estivi e la giustissima esigenza di coordinare le iniziative di protesta, anche allo scopo di rafforzarne la valenza e la legittimità, nei confronti di un potere cieco e sordo se non alla voce omologata e controllabile dei suoi figli naturali: i Consigli di Zona?
Dove sta la mutua solidarietà nelle lotte?
Spero vivamente di essere smentito quanto prima e che gli attivisti e i tecnici dell'ex comitato di Benano, che ormai in cave sono esperti sul serio, stiano già sollecitando gli abitanti de "Le Velette", ma ho i miei dubbi che ciò stia avvenendo.

In conclusione, nessuna aria nuova si respirava quest'estate allorché nacquero comitati come funghi, ma il fatto che stessero nascendo poteva sicuramente rappresentare un’ottima opportunità, dal punto di vista dell'acquisizione di una rinnovata consapevolezza, non solo per i promotori dei comitati, ma soprattutto per gli abitanti dei siti interessati dalla cosa, affinché gli stessi abitanti di un determinato luogo nell'orvietano si potessero finalmente riappropriare della legittimità ad opporsi a decisioni governative oggettivamente dannose, o quanto meno utili solo a pochi e non alla maggioranza delle persone.
Potessero finalmente capire che è giusto e quanto mai necessario protestare, in quanto uomini e donne offesi e danneggiati dall'arroganza del potere, e non in quanto elettori di un qualche partito.
Potessero ricevere se possibile, le informazioni più corrette e meno filtrate possibili, in particolare dal punto di vista tecnico, sulle nefaste conseguenze ambientali e perché no, anche culturali e socio/economiche, che sarebbero scaturite dal fare una cava a Benano anziché il già proposto Parco Rodari, oppure dall'asfaltare strade dentro un futuro Parco Archeologico Ambientale anziché magari prevederne forme di gestione e di manutenzione meno onerose del passato, che ne permettessero però la conservazione dei loro valori.
Gli stessi valori, culturali oltre che materiali, che le hanno rese meritevoli di tutela nell'ambito del progetto del PAAO.
Potessero finalmente capire, che sono le stesse comunità abitanti di un luogo i primi beneficiari o i primi danneggiati delle scelte che vengono prese "a palazzo", e che in quanto tali avrebbero fra le loro mani un potere enorme: quello del rifiuto. Il rifiuto nel non voler accettare scelte oggettivamente sbagliate o quanto meno improduttive per la collettività, indipendentemente da chi ne sia il proponente.
Si potessero finalmente convincere che chi comanda (di qualsiasi colore esso sia) non è importante di per sé o per il ruolo che ricopre, è solo un delegato, autorizzato da una croce su una scheda elettorale, e che quindi deve in ogni momento rendere conto del suo operato, anche al di fuori degli strumenti classici spacciati come "democrazia partecipata", ma in realtà dal potere stesso concepiti per mantenere il controllo sul proprio elettorato.

Se gli sforzi dei comitati si fossero concentrati maggiormente nel cercare di carpire l'importanza che c'è nello spontaneismo delle proteste, cercando di valorizzarlo appieno e sfruttare (nel senso buono del termine) al meglio l'energia che esso riesce per sua natura ad esprimere, la nascita dei comitati avrebbe avuto veramente un senso e un futuro, che invece sembra già essersi dissolto.
Se fossimo riusciti a dare, tutti quanti, maggiore dimostrazione di compattezza, di fronte agli interlocutori istituzionali, avremmo almeno evitato di farci prendere in giro nelle assemblee pubbliche e sentirci ripetere favole come quella della depolverizzazione delle strade.
Se questa compattezza (o mutua solidarietà) fosse veramente esistita, probabilmente già ci sarebbero in programma degli incontri con gli abitanti de Le Velette.
Probabilmente quindi, né la spontaneità, né la compattezza, sono state considerate in generale dai comitati tutti, due valori su cui "investire", preferendo invece cercare magari una sponda politica para-istituzionale a sostegno delle proprie vertenze; cercando sì di raggiungere l'obiettivo, ma sottovalutando così la grande valenza che ha l'affrontare le questioni in maniera più generalizzata: coordinata e compatta, appunto.
Occorreva, a mio avviso, lavorare di più con e per gli stessi attori che stavano mettendo in piedi le proteste e ragionare su quale terreno sarebbe stato meglio giocare la partita, piuttosto che pensare a quale poteva essere il politico "migliore" al quale appellarsi......manco fossero stati santi!

Troppo spesso, invece, si è tirata l'acqua al proprio mulino senza pensare di muoversi in maniera coordinata, e il fatto che il FAO in qualche modo si fosse proposto a tutti gli altri per svolgere tale ruolo, non avrebbe cambiato nulla.
Il FAO aveva già un suo ruolo, una sua struttura, dei ruoli ben definiti, almeno a quanto mi pare di vedere da fuori, visto che non ne faccio parte. E caso mai sarebbero dovuti essere gli altri comitati a chiedere al FAO di farlo, se avessero voluto. Ma se ciò non è avvenuto, l'iniziativa del portavoce del FAO a me appariva all'epoca quanto meno inopportuna se non anche strumentale.
Altresì, gli altri comitati, avrebbero dovuto formarlo un coordinamento vero e proprio, dandogli una operatività reale, e del quale, eventualmente, il FAO avrebbe potuto far parte sempre se avesse voluto, alla pari di tutti gli altri.
Credo pertanto che tutti noi che abbiamo contribuito all'attività dei comitati orvietani (chi più, chi meno), abbiamo perso qualcosa di più che una grande occasione.

Certo, non si creda che l'esporsi pubblicamente a sostegno di questioni in cui si crede fermamente sia facile, e soprattutto che ciò non abbia a causare ripercussioni su chi lo fa, in particolare se questo esporsi avviene in maniera spontanea, scevra da compromessi e senza alcuna tutela o copertura da parte di un qualche soggetto politico istituzionale: partito, associazione, rete o forum che sia.
Anche se, sia chiaro, lontano da me qualsiasi posizione purista o "sempre dalla parte della ragione"!
Sono convinto però che la cultura del compromesso ad ogni costo, o se preferite della concertazione, è la stessa che ha portato l'intero pianeta sull'orlo del collasso, ed è la stessa cultura funzionale unicamente al mantenimento dei privilegi di chi, non a caso, la decanta tanto.
Ciò diventa ancor più evidente in tempi di crisi economica, allorché sono sempre le classi sociali più deboli e meno tutelate, o nel caso specifico l'ambiente stesso, a pagare il prezzo di scelte attuate più "in alto", da chi crede di essere a capo di qualcosa e invece nella realtà è solo uno strumento in mano al capitale.

Pertanto, a mio avviso, vale sempre la pena esporsi, sempre e comunque. Anzi, l'esigenza di farlo, in questo mondo in cui tutto è già previsto, persino la maniera in cui bisogna protestare (oggi se vuoi scioperare devi chiedere il permesso all'apposita commissione di vigilanza.), sembra essere una precisa necessità, soprattutto se vogliamo vivere ed essere riconosciuti come uomini e donne liberi, e non come semplici elettori.
Gli uomini e le donne sono persone.
Gli elettori sono solo numeri.