opinioni

I giovani e la politica

domenica 13 novembre 2005
di Marco Sciarra
Non so fino a quando si possa continuare a chiamarsi giovani. Trentadue anni vanno bene? Una volta erano decisamente troppi. Ora forse no. O aver messo su famiglia significa automaticamente essere esclusi dalla categoria? Non lo so. Insomma, non lo so proprio se sono o meno giovane, ma mi piacerebbe (a dispetto del pochissimo tempo che ho) scrivere due righe in risposta ad Andrea Carli e Marco Settimi.
Non so se a Roma o a Milano i giovani parlino di politica. Forse no, per colpa, come dice Marco, di una informazione consumistica che si preoccupa di più delle emorroidi di Enzo Paolo Turchi che delle attività del Parlamento. Ma, a volerla trovare, la politica, si trova pure nei tg distratti. Forse ci mancano gli strumenti per poterla interpretare. In fondo, da un paio di decenni l’ora di “educazione civica” è sempre servita al professore di storia per finire il programma. Ora a scuola si fa diritto. Speriamo bene.
A Orvieto, però, a mio avviso, c’è qualcosa di più e di diverso.
Primo: i nostri nonni erano quasi tutti contadini, perciò per loro essere comunisti significava potersi affrancare dallo sfruttamento medievale della mezzadria. Non era chiara la differenza tra un partito e un sindacato, tanto che spesso le sedi di partito sono diventate impropri uffici di collocamento. E un po’ questo retaggio potrebbe esserci rimasto.
Secondo: Orvieto è piccola, e ci si conosce tutti. Fare politica, nel senso di esprimere la propria opinione, significa spesso procurasi inimicizie e, piuttosto che rischiare di perdere i già pochi amici, si preferisce non porsi proprio il problema, optando per parlare del più innocuo sport, dato che l’appartenenza ad una tifoseria è meno stigmatizzante dell’appartenenza ad una corrente politica.
Terzo: in un tempo segnato dalla cronica mancanza di tempo e di volontà per soffermarsi sui contenuti, piuttosto che riflettere su cosa qualcuno ci sta dicendo, si preferisce etichettarne già il contenuto secondo la sua appartenenza al filone “rock” o a quello “slow”. Tanto che spesso i più giovani preferiscono non esporsi troppo e i non più troppo giovani finiscono per parlare secondo i paradigmi del proprio gruppo più che secondo uno sviluppo armonico delle argomentazioni.
Quarto: Orvieto non ha mani avuto bisogno di impegno nella promozione e nella valorizzazione: il Duomo c’è sempre stato (o così ci piace pensare) e sempre ci sarà, inoltre le caserme riempivano i cassetti di tutti, indiscriminatamente. Ora però c’è bisogno di altro, e ancora non si capisce bene come la politica vera, ossia quella fatta dal dialogo tra i cittadini e non dalle spartizioni dei partiti, si possa organizzare per dare risposte concrete al problema, nuovo per Orvieto, che il cassetto la sera non è più traboccante.
Quinto: parlare di politica significa spesso parlare di partiti, e a Orvieto ce ne sta uno di partito, da sempre, che amministra. Perciò spesso si crea confusione tra uffici e ruoli all’interno dell’amministrazione e all’interno del partito. Da parte di chi amministra non ci si fa più nessuno scrupolo a parlare di ripartizione dei compiti secondo i partiti e non secondo le competenze. Da parte dei giovani, ammettere di stare con la maggioranza significherebbe ammettere di essere parte del sistema, mentre confessare di essere di corrente diversa, significa spesso apparire per presuntuoso o utopista.
Sesto: la nuova associazione di giovani imprenditori, da cui è partito il discorso, è fatta essenzialmente di “figli d’arte”. Se non fosse stato per l’impegno dei nostri genitori (e del periodo storico favorevole dei tempi della nostra infanzia o adolescenza), forse staremmo a fare la spola tra Orvieto e Roma. C’è una statistica della imprenditoria giovanile indipendente? E per indipendente intendo indipendente.
Insomma, Orvieto è profonda provincia. E non omologarsi significa spesso essere tacciati di facinorosità. Naturalmente mi auguro che qualche giovane mi smentisca, con delle buone argomentazioni. Farebbe bene al dibattito pubblico – politico - della città, o almeno dei 2 o 3 lettori che vorranno dedicarci sei minuti del loro tempo.