opinioni

Il sipario strappato

giovedì 23 giugno 2005
di Antonio Barberani
Finalmente abbiamo saputo cosa vogliono fare nelle caserme! 'Risorse per Orvieto' ha presentato il progetto: un riempiticcio frammentato, spostamenti di funzioni, definizioni ad effetto, senza un'idea unificante e concreta.
L'analisi dettagliata del merito meriterebbe uno spazio adeguato: la faremo e sarà pure divertente, ammesso che sia divertente scherzare coi destini della nostra città. In questa sede vogliamo ritornare ad evidenziare come sia stato sbagliato il metodo.
Intanto si è trascurata una verità forte e scomoda, lo ripetiamo ancora una volta: questa città ha irrimediabilmente perduto identità, intendendo per identità di una città quel patrimonio di valori culturali, civili, religiosi e di costume che permeano i fenomeni sociali ed economici.
Andava, quindi, preliminarmente definita 'che città siamo oggi' e ' che città vogliamo per il futuro'.
Quando si tenta di sostituire l'identità di una città con una idea, con un programma, si partoriscono solo scelte disarticolate, improvvisate o, peggio, di consenso.
Tutto il dibattito sui centri storici, oggi riconosce che debbano ritornare ad essere motori di sviluppo piuttosto che musei-ghetto. La gente deve ritornare ad abitarci per non rischiare che diventino enormi Residenze Sanitarie Protette.
Ritornando alla ex Piave ed alla RPO, salta subito agli occhi che si è partiti dal solito errore: considerare il 'casermone' come uno spazio volumetrico da riempire. Partendo da questa prospettiva la prima preoccupazione è stata: "qui che ci facciamo"? Di qui lo spezzatino, la preoccupazione di non lasciare spazi vuoti.
A nostro parere la Caserma Piave andava, invece, considerata come parte di un'area molto più vasta che comprende le Carceri, la ex Smef, il campo di Via Roma, la caserma dei CC, cioè oltre un quarto di città.
Il problema delle aree urbane dismesse non è un problema di Orvieto, ma di moltissime altre realtà. Bastava un atto di modestia, bastava copiare: quasi dappertutto la soluzione è venuta da una progettazione alta, in sintonia con i tempi, che avesse in se la capacità di attrarre investimenti.
Se si fosse lanciato, come abbiamo chiesto più volte, un "concorso internazionale d'idee", forse oggi ragioneremmo in termini diversi. Non staremmo ad arrancare per 'trovarequalcunochecifacciaqualchecosa', ma Orvieto sarebbe al centro della scena internazionale, come merita. Sicuramente avremmo la possibilità di discutere di un progetto innovativo, forse spregiudicato, ma segno del 'moderno' ed in grado di delineare un nuovo modello di sviluppo per l'intero territorio.
La nostra città negli ultimi anni è andata avanti a tentoni, gloriandosi di definizioni financo contrastanti - ne abbiamo sentite mille: città delle pace, della solidarietà, della musica, del buon vivere, del sorriso, della fotografia e molto altro - proprio perché è scomparsa un identità forte in grado di condizionare in modo omogeneo, le scelte amministrative.
Dobbiamo ripartire da qui: ridare a questa città un grande slancio progettuale.
Nei gironi scorsi è stata lanciata una sfida: noi siamo pronti a raccoglierla, in quanto crediamo che sulle scelte importanti, in grado di segnare irreversibilmente il futuro di Orvieto, si debba essere disponibili al confronto costruttivo.
A patto che si giochi a carte scoperte e con onestà intellettuale, nella convinzione che Orvieto meriti ben altre Risorse che quelle presentate ieri.