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A maggio anche i jeans compiono gli anni: centotrentadue...

venerdì 20 maggio 2005
di Simonetta d’Ippoliti Pulimanti
Ho saputo che a maggio i jeans compiranno 132 anni. Ma non li dimostrano. A pensarci bene, sono l'unica invenzione umana che sembra non invecchiare affatto. Domenica sono andata a trovare mia madre -che si chiama Venia- nel suo paesino, Collevecchio, e, mentre leggevo una rivista dove erano raffigurati dei minatori dell’ottocento al tempo della corsa dell’oro che indossavano dei blue jeans, mi sono chiesta dov’era la differenza con i jeans indossati oggi. Tornata a casa mia, ad Ostia, mi sono subito messa al computer per saperne di più. Nemmeno il tempo di digitare il nome jeans su un famoso portale e mi sono subito trovata davanti alla loro storia. E che storia avventurosa!
Ho saputo, infatti, che il tessuto jeans, molto robusto e resistente agli strappi, veniva usato per fabbricare i teloni da imballo e le coperture delle vele. In seguito, per la sua resistenza, fu utilizzato per confezionare i pantaloni da lavoro degli scaricatori del porto in partenza da Genova per l'America. E così nell'ottocento, con le grandi emigrazioni, la tela Blu di Genova (tela jeans vuol dire infatti tela Genova) arrivò negli Stati Uniti d'America, dove venne utilizzata per realizzare gli abiti dei cercatori d'oro. Nient'altro ha resistito così bene alla prova del tempo.
Sono state, poi, mia sorella e mia cognata -che si chiamano entrambe Antonella- a dirmi che il jeans, nato a Genova, difatti fu migliorato in America, ma da un emigrante europeo: il bavarese Levi Strass, al quale bisogna dare atto di aver capito che quelle brache pratiche ma poco eleganti potevano essere migliorate. E i miglioramenti che lui vi apportò sono quelli che le hanno rese immortali. Egli cominciò a realizzare dei grossi pantaloni in tela robusta per i cercatori d'oro, delle tute color marrone, senza passanti né tasche dietro, e presero il numero in codice 501, che resiste tuttora. E, anche se non era stato lui a inventarli, fu comunque lui a trasformarli in un capo praticamente indistruttibile grazie a quei rinforzi alle tasche e alla ribattitura lungo le cuciture laterali.
Levi Strass presto li trasformò nella divisa del West, tanto che alla fine dell'ottocento, in America, il tessuto jeans diventò sinonimo di pantaloni. E Levi Strass, che vide l'America vestire i suoi jeans, non avrebbe comunque mai immaginato che sarebbero diventati la divisa dei giovani di tutto il mondo, che avrebbero resistito negli anni al succedersi delle mode, senza mai tramontare: divisa dei lavoratori, delle classi più povere e rudi, poi divisa dei giovani ribelli negli anni Cinquanta, dei contestatori anni Sessanta-Settanta, e infine capo alla moda presente su tutte le passerelle.
Oggi i Levi's non sono più l'unica marca di jeans nel mondo, ma rimangono la marca più universalmente nota e desiderata. Neanche l'assedio di famosi sarti come Calvin Klein e Ralph Lauren ha diminuito il loro dominio sul mercato mondiale. Ed ora, che siamo nel 2005, i vecchi jeans si meritano un brindisi: ai prossimi 132 anni!
Chissà, forse nel 2127 saranno di nuovo i cercatori d'oro a indossarli. Su altri pianeti. Per il momento i jeans li indosso io, li indossa il mio figlio diciottenne Gabriele insieme al fratellino più piccolo Alessandro, li indossano i miei cognati Stefano ed Antonella e li indossa anche mia cognata Alessia che, sebbene sia incinta, è talmente magra che può portarli con estrema disinvoltura (non sono certo io la prima a dire che è la sosia perfetta di Julia Roberts) mentre mio marito Mario, dall’alto dei suoi cinquant’anni e quasi novantacinque chili di peso comincia purtroppo, indossandoli, a somigliare sempre di più al fratello gemello di Oliver Hardy. Ah, Brad Pitt dove sei!…