opinioni

Le cause della marginalizzazione di Orvieto stanno nel suo bacino territoriale

giovedì 21 aprile 2005
di Guido Turreni
Con vivo compiacimento ho letto le parole del sindaco Mocio a proposito della decennale marginalizzazione della città rispetto all’Umbria. Nonostante la distanza siderale che mi divide dalla politica della Margherita per questa città, devo ricredermi sulle capacità e sull’autonomia del Sindaco Dr. Mocio, per il coraggio, la tenacia e la determinazione che sta imprimendo nella gestione del mandato, anche se limitatamente ai rapporti città-regione. Ciò mi fa indubbiamente sentire più cittadino di questa città e più rappresentato dalle istituzioni comunali pur stando all’opposizione. Al bravo Stefano Olimpieri – che si chiede dov’è stato fino ad oggi Mocio – farei notare che è meglio tardi che mai. In realtà il Sindaco Mocio non è l’unico esponente politico che nella sinistra locale sta prendendo coscienza della situazione di vera e propria sottomissione della comunità rispetto ai gruppi di potere perugini-folignati-castellani, e, forse in misura minore, ternani. Per rimanere nell’ambito DS-correntone, per esempio, i giornali ed i siti di informazione on-line sono pieni di preoccupati commenti per le sorti del territorio, dopo il clamoroso ed inaspettato flop di Stefano Cimicchi, certamente a dimostrazione che il problema esiste eccome. Per non parlare dello SDI: ricordo perfettamente l’intervento fermo e severo del Prof. Barbabella, quando la Commissione Regionale sullo Statuto venne ad Orvieto, nella Sala Consiliare, a chiederci cosa pensavamo della nuova Carta Regionale. Anche in quel caso l’ex Sindaco Barbabella ebbe a manifestare lo stato di insoddisfazione per il nessun peso della città in ambito regionale. Incredibile ma vero, anche Rifondazione, qualche tempo fa, lamentava la mancanza di proposte concrete per la città sulla gestione della nostra discarica e sull’ampliamento del suo bacino d’utenza regionale a discapito della potentissima GESENU. Anche gli “opinion makers” mi sembrano piuttosto orientati al riguardo. Intelligente è la riflessione di Dante Freddi, il quale evidenzia come il problema più grande per una parte della sinistra locale sia quello di non voler prendere coscienza del problema, e finché ciò non avverrà sarà anche impossibile risolverlo. Mi sembra dunque alquanto isolata la posizione dell’ex Senatore Carpinelli, e dell’ex Consigliere Regionale Pacioni, che definiscono “revisionismo” quello che ai più sembra una verità incontrovertibile. La ragione di questa impegnativa e ardua difesa d’ufficio della Regione mi pare però abbastanza chiara: entrambi temono che questo “revisionismo” possa implicare loro responsabilità di singoli uomini politici e di partito, per non aver difeso con la dovuta perizia ed il dovuto slancio gli interessi di Orvieto e degli orvietani. Entrambi infatti sono stati rappresentanti della nostra comunità, l’uno in sede parlamentare l’altro in sede regionale, ed è quindi logico che se ci si dovesse interrogare su chi ha responsabilità in merito, la risposta potrebbe essere abbastanza scontata. In realtà non si tratta solo di responsabilità personali e di partito, e non solo perché non sarebbe politically correct trovare il “capro espiatorio” dell’annosa questione nei due personaggi di cui si parla, quanto piuttosto perché – a modesto parere di chi scrive – la causa della marginalizzazione è più ampia e risiede in ragioni di natura storica e culturale o, se vogliamo, trattasi di questione prettamente territoriale. E’ innegabile infatti che Orvieto esercitava – fino al regionalismo degli anni ’70 – un influenza economico-commerciale su un territorio molto più vasto che andava da Acquapendente (provincia di Siena), fino a Montefiascone (provincia di Viterbo). Poi con l’istituzione della Regione Umbria, è stato tracciato un confine su base provinciale che ha tagliato a metà il territorio di riferimento sottraendo qualcosa come 30.000 persone dal nostro bacino territoriale. Le province tracciate durante il ventennio fascista infatti non avevano intaccato il territorio di riferimento, perché non si trattava di enti che avessero funzioni di programmazione e sviluppo, ma si limitavano ad esercitare sotto-competenze territoriali delegate dallo Stato. La Regione invece – che tali funzioni ha – è stata deleteria per la nostra comunità, non tanto per ragioni di mero campanile, quanto piuttosto perché le altre aree territoriali umbre erano più omogenee rispetto alla nostra, ovvero, in altre parole, avevano un bacino territoriale di riferimento assai più vasto, assai più abitato e quindi assai più rappresentativo e di maggior peso politico-economico rispetto all’orvietano, dunque con un “potere contrattuale” completamente diverso. E’ vero: scopro l’acqua calda. E’ vero: fu l’Associazione Nuova Tuscia che per prima pose il problema della territorialità di Orvieto, ed è altrettanto vero che dopo trentacinque anni di appartenenza ad una regione è difficile anche solo immaginare di cambiare un andazzo stratificato nel tempo, solamente spostando un confine. Quello che però possiamo fare, e che mi sento di proporre per la riflessione di tutti, è di porre la “questione Orvieto” alla Regione Umbria come un’ultima spiaggia perché abbia ancora senso parlare di Orvieto all’interno della comunità umbra. Si è comunità quando c’è solidarietà fra le diverse aree territoriali, quando con la “sussidiarietà” dell’ente pubblico si tende a colmare gli handicap territoriali di partenza di una determinata area regionale. Se questo significhi università o sviluppo industriale o turistico questo è addirittura secondario. Ma è importante che questa politica regionale solidaristica-sussidiaria venga finalmente attuata. Ebbene, nonostante quello che sostengono Carpinelli e Pacioni, questa politica non è mai stata adottata dall’Istituzione regionale, anzi, il nostro territorio è sempre stato visto e considerato come una specie di propaggine coloniale da depotenziare, proprio perché territorio “secondario”, innescando una spirale viziosa che ha sprofondato la città fino a degradarla in una specie di periferia regionale. E’ dunque giunto il momento di riportare Orvieto e gli orvietani ai piani alti delle politiche di programmazione e sviluppo della Regione, prospettando in caso contrario il deterrente del distacco dalla comunità regionale, anche perché se i rapporti di forza sono destinati a rimanere immutati o, addittura, a peggiorare, non abbiamo più molto da perdere rispetto al futuro che ci offre la Regione Umbria. Ricordo bene quando la Nuova Tuscia ebbe l’ardire di proporre simile eventualità: tremarono in molti, tanto che come reazione venne disposta la immediata convocazione della Giunta Regionale proprio qui ad Orvieto, al Palazzo del Capitano del Popolo, proprio per discutere dei problemi della città. Poi nulla più. Allora però c’era una semplice associazione che lottava, ora la tematica territoriale sembra essere entrata di prepotenza nel dibattito politico cittadino come patrimonio collettivo, perfino nell’ambito della stessa Amministrazione Comunale. Non perdiamo questa ennesima occasione di recupero del tempo perduto lottando tutti uniti, per l’interesse comune, per Orvieto, per la nostra comunità e perché ci si possa sentire umbri a tutti gli effetti, e non più umbri di serie B.