opinioni

Orvietani si nasce? Risposta a Carmelo Pagano

martedì 27 luglio 2004
di Silvio Manglaviti
ovviamente no.
non foss'altro perché altrimenti il presunto "orvietano verace" potrebbe esser preso da sconforto e depressione nel vedersi da sempre governato da maggioranze composte per lo più da stranieri inurbati, estranei alla sua cultura ma alquanto ghiotti di accomodarsi alla sua mangiatoia.
ovviamente no.
ed è meglio così se ancora per Voltaire 'orvietano' era sinonimo di 'persona che inganna con parole pompose', a causa anche del "contravveleno" che nel Seicento spacciava tal Gregorio da Ferrante (alias Girolamo) detto appunto l'Orvietano (e così la sua pozione truffaldina), ma era figlio di Girolamo da Ficulle! (A. BRIGHETTI, Alle origini del famoso “orvietano”, Bollettino dell’Istituto Storico Artistico Orvietano, XXII, 1966)
ovviamente no.
anche perché poi non si capirebbe come mai - pur nascendo a Betlemme - si dice "di Nazareth". ovvero, si sa perché e bene, ma suonerebbe oltremodo strano. dunque si è quel che si ha dentro e ci si chiama di conseguenza.
caro carmelo, noi ci conosciamo: non foss'altro perché membri di quel club di perditempo che si divertono a buttar via tre ore al dì ogni santo giorno feriale sulle reali ferrovie italiote (rfi?).
la tua breve è un accorato appello che non so quanti siano in grado di legger dietro le scarne parole.
senza presunzione, ma la Rupe gioca questo tiro mancino.
orvietani si diventa, infatti.
basta metter piede nell'alto e strano (parafrasando il Dittamondo di Fazio degli Uberti) recinto sacro di tufo che subito ci si ritrova avvolti in un'aura maliarda e sovente - per alcuni - perniciosa: un'aria di supponenza ... disconferma ... arroganza ... pregiudizio ... perbenismo benpensante che non conosce differenze culturali e di pensiero ...
io qui ci sono nato e quest'aria la conosco bene, l'ho respirata e la respiro ancora.
anch'io vittima della sindrome diabolica (dal greco "diabàllomai", separare, dividere) del divide et impera: quassù, sulla Rupe, si sente molto forte.
gli orvietani di cui parli, caro carmelo, infatti non esistono.
o meglio, non sono orvietani o non si posson dire solo "orvietani" i cittadini, gli amministratori e neanche Livio Orazio Valentini. io nemmeno.
il problema è un altro, se me lo consenti.
si tratta della consapevolezza del sentirsi parte di qualcosa, è questo che ci manca quassù; è questo che si sente qui.
Livio, a mio modesto giudizio, ha concepito una bella cosa che purtroppo è finita nel posto (più) sbagliato, ma (certo, per qualcuno) più significativo.
il suo titolo poi è tutto un programma (e non può averlo pensato lui, mi auguro): "Orvieto città unita".
Da sempre sulla Rupe siamo divisi e da sempre c'è chi, foresto, se ne approfitta per rimediarci qualcosa a suo vantaggio.
fu così nel 264 a.C. e vennero i romani. fu così nel medio evo e ci dominò il potere temporale di Pietro. fu così nel 1861 e la massoneria (già, la massoneria, non ti stupire troppo ... che ...) ci dette in pasto ai cosidetti umbri perugini e poi ai ternani parvenus. e poi, è stato sempre così.
non so perché, ma ancora oggi, nonostante un sindaco democristiano al governo, mi sento di vivere ancora di più a "Sovièto", "citta ... Unità".