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Prima della Prima. Aspettando il "Sogno di una notte di mezza estate" intervista a Maurizio Panici

venerdì 26 ottobre 2012
di Laura Ricci
Prima della Prima. Aspettando il "Sogno di una notte di mezza estate" intervista a Maurizio Panici

Appuntamento particolarmente importante, sabato 27 ottobre alle ore 21, nel cartellone del Teatro Mancinelli di Orvieto. Si tratta della Prima Nazionale di "Sogno di una notte di mezza estate" del grande e intramontabile William Shakespeare, una nuova produzione di Ar.Tè Teatro Stabile d'Innovazione, che vede protagonista la Compagnia dei Giovani. Abbiamo intervistato Maurizio Panici, regista dello spettacolo e direttore artistico di ArTè.

Buongiorno Panici, siamo in dirittura di arrivo con questo atteso spettacolo, "Sogno di una notte di mezza estate". Una vera e propria icona teatrale, lei stesso dice: "il più conosciuto e il più visto" del grande Shakespeare. Fatto che può costituire un privilegio o, anche, una difficoltà. Quali sono i rischi quando ci si misura con autori e testi molto esplorati e conosciuti, e come si superano, e come si esce vincenti nel creare un nuovo allestimento?

I rischi quando si affronta un testo così conosciuto e rappresentato come Sogno di una notte di mezza estate sono molteplici, il primo è quello di offrire una lettura superficiale dell'opera fidandosi della conoscenza della materia, il secondo, ancora più rischioso, è cercare di essere a tutti i costi originali, nascondendo così il testo con una serie di effetti e trovate. La vera sfida è quindi una lettura approfondita del Sogno originale e l'adozione di un punto di vista chiaro e personale per raccontarlo. In questo caso è risultato molto utile il lavoro di approfondimento attraverso un lungo periodo di prove e una compagnia di attori di diverse età ed esperienze, a partire dai quattro giovani innamorati che riconsegnano al sogno quella energia e passione di cui ha bisogno. Ma la scelta dell'intero cast artistico si è rivelata particolarmente felice, infatti, sia i costumi di Marta Genovese che le immagini di Andrea Giansanti restituiscono a questo non facile testo quel senso di meraviglioso di cui necessita; completano il racconto e lo impreziosiscono le musiche originali di Stefano Saletti e le luci di Roberto Rocca.

Una delle carte vincenti è, sicuramente, quella di puntare sui giovani. Penso che lei creda fermamente nella necessità di rinnovare e perpetuare il grande palcoscenico del nostro teatro nazionale, tanto che all'interno di Ar.Tè è nata una Compagnia dei Giovani. Come, nello specifico, il teatro può oggi contribuire alla formazione culturale e umana delle giovani generazioni?

Tutto lo spettacolo dal vivo, ma soprattutto il teatro, è per sua natura formativo, si andava a teatro per apprendere attraverso l'esperienza dei protagonisti le grandi vicende degli uomini, per capire meglio chi siamo come esseri umani, quali sono le passioni che ci muovono, le nostre debolezze, quali le cose da correggere.
Il teatro è da sempre lo specchio di ogni società, è il luogo dove la comunità degli uomini si ritrova per discutere, per migliorarsi. Farlo con i giovani e portando una grande attenzione alle nuove generazioni significa preparare i cittadini del futuro.

Credo che ci siano, in questa strada di valorizzazione delle giovani risorse, anche delle difficoltà. Quali sono le principali?

Le difficoltà maggiori sono in un sistema teatrale non più al passo dei tempi, bloccato da rendite di posizione che non permettono alle nuove formazioni di emergere, un sistema dove si fa fatica a riconoscere il merito. Basta pensare che ci sono direttori di teatro che sono in carica da più di un ventennio, questo certamente non favorisce il rinnovamento, i giovani faticano moltissimo a trovare spazio nelle programmazioni e il pubblico si ritrova molto spesso con titoli e compagnie con un repertorio abusato. Manca il coraggio di mescolare i vecchi maestri della scena con i nuovi talenti.

Lei fa interagire attori giovanissimi appena diplomati e leve meno recenti provenienti da varie e note scuole di teatro. Provo a intromettermi un poco dietro le quinte: qual è il rapporto tra gli attori, e quali sono le dinamiche relazionali, ovviamente sul lavoro, tra professionisti che, sia pure giovani, non appartengono esattamente alla stessa generazione?

Questa compagnia è risultata particolarmente felice nella sua composizione, credo che in tutti, giovani e meno giovani, ci sia una grande passione per questo lavoro e questo li ha uniti immediatamente, si scambiano consigli e l'esperienza dei più grandi serve ad affinare il talento dei più giovani, che in cambio danno una energia che serve moltissimo a chi pratica questo mestiere già da un po' di tempo. Il segreto è quello di recuperare lo spirito delle botteghe rinascimentali, dove esisteva un continuo ed osmotico scambio di esperienze.

Per tornare allo spettacolo in programma, in cosa consiste, secondo lei, l'attualità di Shakespeare? E perché questo autore, forse più di altri, ha attraversato indenne tanti secoli? Lei come lo ha trattato, da un punto di vista scenico?

Shakespeare è il più grande drammaturgo di sempre, perché al centro di tutte le sue opere c'è l'uomo, con le sue debolezze e miserie, con la sua necessità d'amore, con la sete di potere. Tutto quello che ci riguarda come uomini di tutti i tempi.
E' attuale perché attuali sono le passioni che ci muovono oggi come allora , ci sarà sempre un grande amore e sempre ci batteremo per il potere. Shakespeare è fra tutti il drammaturgo che ha saputo raccontare la vita e questo lo rende "nostro contemporaneo".

E per parlare un poco di più proprio di Maurizio Panici, in questo caso regista ma in altri anche attore, qual è il suo rapporto personale con Shakespeare? Quanto è stato importante nella sua formazione?

Spessissimo rileggo testi scespiriani, leggo saggi legati a questo straordinario narratore della vita, fra tutti ne cito uno al quale sono molto attento, ed è un saggio di René Girard, "Il teatro dell'invidia", una analisi straordinaria sul teatro di Shakespeare, ma soprattutto un'analisi approfondita sui meccanismi che ci muovono nella vita.
E' stato molto importante per la mia formazione studiare in maniera approfondita testi straordinari come il "Troilo e Cressida", oppure "Giulio Cesare" o "Amleto", capire meglio attraverso le vite di altri la propria.

C'è un episodio particolare della sua vita che ha fatto scattare in lei la scintilla del teatro, un qualche momento magico che le ha fatto scoprire questa vocazione?

A posteriori sto capendo ora quanto è stata importante l'infanzia e l'esperienza maturata attraverso osservazioni legate al fantastico.
La prima recita l'ho fatta a sei anni e ancora ho il ricordo di quel momento, di quello stare nella luce e il confine tra il buio della sala che conteneva il mondo.
Uno spettacolo che considero importante per la mia formazione ed esperienza è stato Hommelette for Hamlet di Carmelo Bene, che vidi al teatro Quirino di Roma. Ho apprezzato particolarmente la sua perfezione formale e l'estetica, che poi difficilmente ho ritrovato in tanto teatro visto negli anni successivi.

Ultima domanda. La sua esperienza a Orvieto, con Ar.Tè, ha ormai compiuto il primo anno di vita. Come la giudica?

Trovo questa esperienza tra le più importanti della mia vita artistica, è stato un anno ricco d'incontri. Sia al Mancinelli, con tutto il personale, sia l'incontro con una città che ti protegge artisticamente e ha un grande valore aggiunto nella sua bellezza e quiete.
E' una città che ha permesso ad una comunità di artisti di ritrovarsi per ragionare insieme e progettare il futuro.
E' un grande laboratorio sul linguaggio, spero di ridare a questa città e alla sua comunità delle emozioni attraverso il nostro lavoro, di favorire l'incontro tra generazioni diverse. 

Grazie di averci dedicato il suo tempo, e a presto rivederci per il "Sogno"!