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Pozzo della Cava: entusiasmi e difficoltà. Intervista a Marco Sciarra

martedì 22 agosto 2006
di laura
Abbiamo e diamo spesso notizia di servizi che sia la stampa che le emittenti televisive dedicano al Pozzo della Cava. E anche di iniziative promozionali e turistiche che il Pozzo stesso intraprende o nelle quali si situa. Ci è sembrato dunque interessante ricostruire la storia di questa emergenza cittadina e saperne un po' di più sul ritrovamento e sulla sua gestione. E anche, visto che i proprietari parlano spesso di difficoltà burocratiche o promozionali, approfondire questo aspetto. A questo proposito abbiamo intervistato il rappresentante più giovane della famiglia che gestisce il Pozzo e le sue grotte, Marco Sciarra. Salve Marco. Vorrei partire, se permetti, proprio dalla motivazione imprenditoriale. Tu sei stato mio alunno, ed è per questo che mi permetto di darti del tu in questa intervista. Conosco dunque bene il tuo valore. Penso che con la tua laurea in matematica e con le tue capacità avresti potuto trovare in breve tempo un ottimo lavoro fuori Orvieto. Che cosa ti ha spinto, invece, a restare qui e a portare avanti la strada della valorizzazione del Pozzo e della tua impresa familiare che, come spesso sottolinei, non è stata certo cosa facile? A dire il vero ho provato a fare il matematico di professione, partecipando a dei progetti di ricerca per il CNR, ma poi, se avessi voluto continuare nel settore in cui mi ero laureato, ossia l’algebra moderna, avrei dovuto senza dubbio lavorare all’estero, dato che in Italia non ci sono grosse risorse per ricerche i cui effetti nel campo delle applicazioni pratiche, seppure notevoli, si vedono dopo almeno un secolo. Quindi dovevo scegliere tra accettare la proposta di fare il PhD ad Harvard, restare a fare il matematico in Italia occupandomi di altri settori per me di minor interesse, oppure mettere la laurea tra gli altri diplomi e diplometti di corsi e corsetti a cui ho partecipato e prendere un’altra strada. Nel frattempo mio padre aveva trovato il pozzo e la mia famiglia era riuscita nell’arduo compito di svuotarlo, avevamo provato a mettere il biglietto di ingresso e a far visitare le prime grotte, inoltre da qualche anno avevo cominciato a farci il presepio, e sia l’archeologia che i presepi erano delle mie passioni già parecchio tempo prima che fossi suo alunno. Così ho pensato di trasformare in lavoro quello che fino ad allora era stato solo un hobby. Poi una forte determinazione, l’attaccamento viscerale a Orvieto e la possibilità di lavorare a casa mia, hanno avuto più appeal che la possibilità di raggiungere un buon ruolo sociale e un ottimo stipendio. Puoi raccontare, per i nostri lettori e in modo il più possibile sintetico, quali sono state le tappe fondamentali del recupero e della valorizzazione del Pozzo della Cava e delle sue Grotte? Per quanto si possano sintetizzare una ventina di anni di lavori, seppur non continui, diciamo che il ritrovamento del pozzo, nel dicembre dell’84, è stato quasi fortuito, pulendo le cantine di una casa che i miei avevano da poco comprato e che era adiacente alla nostra abitazione. Nell’attesa di ottenere le autorizzazioni per lo svuotamento del pozzo, che era stato parzialmente riempito con calcinacci e immondizia, i miei avevano riaperto il passaggio che collegava gli scantinati della casa del pozzo con quelli della nostra abitazione. Nel frattempo avevamo contattato storici e archeologi per cercare di interpretare i vari ritrovamenti dei sotterranei: la prima fornace, i butti, la cisterna etrusca... Svuotato il pozzo, nel ’96, abbiamo proseguito nel recupero degli altri sotterranei di nostra proprietà, riportando alla luce altri resti, come la muffola rinascimentale e diversi scavi etruschi. Così fino al 2004, quando dopo aver aperto al pubblico la grande grotta delle tombe rupestri, abbiamo ripristinato il grande arco rinascimentale su via della Cava che aveva costituito l’originale accesso al pozzo. In quella occasione abbiamo anche fatto realizzare, su disegno dell’architetto Davanzo, un puteale contemporaneo a memoria dell’originale vera cinquecentesca del Pozzo della Cava. Nel lavoro di recupero, quale è stato per te il momento più emozionante? Francamente non lo so. Per quanto riguarda il lavoro di recupero forse quando è stata raggiunta la falda del pozzo, o forse quando ci siamo accorti che l’ultima grotta era ben più profonda e articolata di quanto pensassimo, anche se lì, accanto all’emozione c’era anche un po’ di timore. Dal punto di vista delle ricerche, invece, il momento più emozionante è stato senza dubbio quando, con alcuni ricercatori universitari, siamo andati a Norchia per controllare le strutture di quelle tombe, confermando le ipotesi di alcuni archeologi secondo cui due nostre grotte ospitarono una necropoli rupestre del VII-VI sec. a.C. Penso che forse avreste potuto accedere, in questa impresa, a qualche contributo comunitario. Perché avete scelto, invece, di fare a meno di ogni possibile contributo pubblico? All’inizio non è stata una proprio una scelta, quanto l’unica via che ci sembrava percorribile. Nello smarrimento totale dell’inesperienza e dell’imperizia, infatti, ci siamo rivolti alla soprintendenza archeologica, che si pronunciò in maniera molto netta: non c’erano soldi e non ci sarebbero stati per parecchi anni, quindi bisognava scegliere tra fare i lavori a spese nostre o accettare un esproprio che si preannunciava eterno. Optammo per la prima di queste possibilità, anche perché a pochi metri da noi avevamo un esempio non troppo felice di “esproprio temporaneo”: il cantiere trentennale del muro etrusco. Allora non c’erano ancora i fondi comunitari tipo Obiettivo2. Più tardi abbiamo presentato delle domande e dei progetti per sovvenzioni con fondi europei o simili, ma o finivano i soldi prima di arrivare a noi, o ci veniva direttamente sconsigliato di consegnare i moduli. Si è offerto anche qualche sponsor privato di prestigio, ma avevamo già speso così tanto (almeno per le nostre tasche) che tanto valeva non dividere il merito con qualcun altro. Quali sono stati gli ostacoli burocratici di cui spesso sentiamo parlare la tua famiglia? Vuoi farci qualche esempio dei più rilevanti? Per esempio una attesa durata sette anni per la sola autorizzazione allo svuotamento del pozzo. Tutto si è smosso poi miracolosamente anche grazie all’interessamento della stampa nazionale. Anche la forma fiscale da dare all’attività è stata a lungo argomento di trattazione tra noi e i vari uffici cosiddetti competenti: abbiamo dovuto fare noi una proposta al ministero, dato che nessuno sapeva se un monumento completamente privato dovesse avere dei biglietti fiscali o emettere gli scontrini, o ancora se fossero necessarie licenze o autorizzazioni particolari. La nostra commercialista ha fatto un paio di salti mortali ed eccoci qui. Concludo con un terzo esempio, giusto per far comprendere la varietà degli ostacoli: quasi dieci anni fa presentammo una domanda per essere inseriti nella cosiddetta Carta Unica, e la addetta dell’Ufficio Cultura ci disse che per noi non ci sarebbe mai stato posto, perché, essendo privati, il Comune non ci avrebbe guadagnato nulla. E ora? C'è un progetto aperto, di ulteriore espansione per il Pozzo? Quali sono gli ostacoli che tuttora affermate di incontrare? Non ci sono progetti immediati di ampliamento del percorso di visita, che per ora si ferma a nove grotte. Ci sono diversi programmi di riallestimenti, ma procedono senza ostacoli. Le montagne da scalare riguardano invece la promozione. Nonostante la stampa ci tratti più che bene e lo stesso inizino a fare anche le guide turistiche delle principali case editrici, da privati troviamo sempre qualche difficoltà ad essere inseriti nei circuiti promozionali ufficiali. Eppure la legge quadro sui beni culturali del 2002 dice espressamente che sia i mass-media che la pubblica amministrazione possono promuovere un bene culturale senza per questo essere tacciati di pubblicità illegittima, esattamente come si può fare sempre e dovunque promozione ad un film, ad un’opera teatrale o ad un libro. Le leggi regionali che regolano il sistema museale (a cui apparteniamo) e le norme sancite dall’autorità antitrust dicono espressamente che le pubbliche amministrazioni non solo possono promuovere i beni culturali privati, ma dovrebbero farlo. Non abbiamo mai fatto esposti in tal senso, perché in fondo ci si conosce tutti. Ma magari per il futuro potremmo richiedere un parere di questi soggetti istituzionali. Cosa intendi per difficoltà ad essere inseriti nei percorsi promozionali ufficiali? Le cito qualche esempio emblematico: anni fa, dopo una lunga serie di contatti con la redazione di Super Quark, riuscimmo a far venire una troupe per un documentario sul Pozzo di San Patrizio, sul Pozzo della Cava e sulla Orvieto sotterranea in genere. Quando Alberto Angela e i registi, all’arrivo, si sono rivolti al Comune, hanno ricevuto come recapiti soltanto Sistema Museo e Speleotecnica. Per fortuna avevamo avuto parecchi contatti diretti con gli autori, dato che avevo personalmente contribuito a scrivere i testi del documentario, altrimenti sarebbe stata l’ennesima occasione in cui non si sarebbe parlato del Pozzo della Cava. Cambiando ambito, sembra anche che Orvieto Promotion non sappia bene se inserire la nostra struttura nei pacchetti promozionali per Orvieto, sempre perché siamo privati. La lettera aperta che quasi due mesi fa ho scritto al sindaco e agli assessori era proprio funzionale a capire se per il Pozzo della Cava ci sarà posto nel PAAO, nella nuova segnaletica turistica, nel nuovo ufficio informativo e nella biglietteria in costruzione a Piazza Cahen. Non ho ancora avuto risposta, spero di averla col rientro dalle ferie. Ci sono comunque anche segni di apertura: lo scorso anno l’assessore Carpinelli mi ha convocato per propormi di aderire ad una nuova carta unica dei sotterranei, che avrebbe incluso anche il Pozzo di San Patrizio, ma pare che il progetto non sia ancora stato portato in giunta, forse in attesa della risoluzione dell’incresciosa vicenda del marchio “Orvieto Underground”. Staremo a vedere, nel frattempo abbiamo imparato a sopravvivere da soli. Sei soddisfatto della scelta della gestione familiare, quale altra strada avrebbe potuto esserci? Le strade potevano essere diverse: associazioni, cooperative, fondazioni… In ogni caso bisognava far finta di regalare qualcosa a qualcuno e di non spartire gli utili. Così come abbiamo fatto ci sembra pure più onesto. Quanto alla soddisfazione, non posso negarla, anche se tutto è stato realizzato con enormi sacrifici, non solo lavorativi ed economici, ma anche per acquisire le competenze e le capacità necessarie quantomeno a poter procedere. Personalmente ho partecipato a corsi post lauream di turismo culturale, medicina del turismo, marketing… e poi mi sono iscritto all’albo dei giornalisti, dato che la comunicazione è fondamentale per la promozione dei beni culturali, ed avere un ufficio stampa, seppure fatto in casa, si è spesso rivelato molto utile. Di sicuro aver fatto tutto da soli, dovendo ogni volta modulare i propri passi e cercare esperti dei settori più disparati, ha comportato che le varie trasformazioni siano avvenute gradualmente e senza troppe inaugurazioni. Questo ha fatto sì che ci siano ancora parecchi orvietani che credono che le nostre grotte siano un ristorante, o che siano aperte solo nel periodo del presepio. Il nostro sforzo di comunicazione e di percezione dovrà essere rivolto anche alle persone del luogo, e per questo la collaborazione con la pubblica amministrazione è indispensabile. Quali consigli concreti daresti agli amministratori per favorire il turismo locale e gli imprenditori che vi lavorano? Puoi esprimerne tre, numero notoriamente “perfetto”. Che bel compito! Primo: fare sistema, ossia creare occasioni di confronto e di dialogo tra i vari settori più o meno connessi col turismo, dai trasporti alla ricettività, dai monumenti alla pubblica amministrazione, dall’artigianato ai servizi, senza barricate, senza snobismi e soprattutto senza paura di evidenziare le carenze e di provare a risolvere i problemi. Secondo: fare chiarezza sui ruoli, dato che l’amministrazione non deve fare l’imprenditore né l’imprenditore amministrare; ognuno ha compiti distinti e non deve delegare nulla alla controparte. Terzo: basare la promozione e la valorizzazione sugli elementi che possano stimolare l’immaginario del visitatore, immergendolo nel vissuto della comunità. Non è possibile, infatti, che il quartiere medievale sia tagliato fuori da ogni flusso turistico, così come è assurdo che i turisti comprino come ricordo di Orvieto una ceramica di Deruta. Secondo me facendo queste tre semplici cose si eliminerebbe buona parte del malcontento che serpeggia e minaccia ogni giorno di esplodere nel settore del turismo, e parecchi operatori privati avrebbero meno timori e ritrosie ad essere veri imprenditori.