ambiente

Le osservazioni al documento del Comune di Orvieto presentate dalle associazioni ambientaliste

lunedì 7 giugno 2010

Al Sindaco del Comune di Orvieto
Antonio Concina

All'assessore all'urbanistica
Antonio Barberani

All'assessore all'ambiente
Roberta Tardani

All'ufficio PRG-Comune di Orvieto

Oggetto: Osservazioni al documento "Impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili" ai sensi dell'art. 119 delle NTA.S

In relazione al documento presentato dal Comune di Orvieto, settore Urbanistica, ufficio PRG il giorno 1 giugno 2010 avente come oggetto "Impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili" per l'individuazione dei siti idonei e delle tipologie per la produzione di energia con l'utilizzo di fonti rinnovabili, da realizzare in zone classificate "E agricole" dal vigente PRG.S e superiori alla potenza di 25 kW
si premette che:
nel documento si nota una certa volontà di disciplinare questa attività ma non è assolutamente sufficiente, anche perché il documento non ha valore di legittimità in quanto recenti sentenze della Corte Costituzionale (26 marzo 2010 e 1 aprile 2010) hanno appunto annullato alcuni articoli delle Leggi delle regioni Calabria e Puglia in cui si imponevano restrizioni agli impianti eolici e fotovoltaici, vietandone la realizzazione in zone agricole di pregio (oliveti e vigneti), nei siti della Rete Natura 2000 (SIC E ZPS), nelle aree protette nazionali e regionali, nelle oasi regionali e nelle zone umide tutelate a livello internazionale perché non spetta "alle Regioni di provvedere autonomamente alla individuazione di aree non idonee alla installazione di impianti eolici e fotovoltaici, espressione della competenza statale di natura esclusiva in materia di tutela dell'ambiente" e dove si dava la possibilità di presentare la DIA in luogo dell'autorizzazione unica per una serie di impianti di fonti rinnovabili fino alla soglia di 1 MW perché "maggiore capacità di generazione e caratteristiche dei siti di installazione per i quali si procede con la disciplina della DIA possono essere individuate solo con decreto del Ministero dello Sviluppo Economico di concerto con il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, d'intesa con la conferenza unificata,senza che la Regione possa provvedervi autonomamente".
Pertanto, non è possibile in alcun modo limitare l`installazione degli impianti, stabilendo tetti di potenza anche fonte per fonte, moratorie all`installazione, restrizioni alla concorrenza con il privilegio di operatori locali o comunque scelti.
Allo stesso modo, è competenza dello Stato dettare le procedure burocratiche ("autorizzazione unica" o sua semplificazione con Dia). Quindi è illegittima la richiesta di corrispettivi economici o finanziari per il rilascio degli assensi, è impossibile pretendere tempi burocratici più lunghi per l`iter, è negato anche il fatto di semplificare ulteriormente l`installazione, sostituendo in certi casi l`"autorizzazione unica" con la Dia. La Regione, infine, può gestire in proprio le relative autorizzazioni, o delegarle alle province, ma non ai comuni.
Non c`è alcun dubbio sul fatto che gli enti locali, regioni in primis, sono investiti del ruolo di «procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti». Peccato però che, al momento, non possano farlo.

Prima, infatti, devono essere approvate in Conferenza unificata Stato-Regioni le linee guida nazionali ai sensi dell`articolo 8 del Dlgs 281/1997,`su proposta del ministro delle Attività produttive e in accordo con gli altri ministeri competenti. È solo in applicazione a tali linee guida che potranno essere stilate quelle locali.

In queste sentenze i Giudici hanno messo in evidenza che "va affermata la necessità, al fine del perseguimento dell'esigenza di contemperare la diffusione degli impianti di energie rinnovabili con la conservazione delle aree di pregio ambientali, che lo Stato assuma l'iniziativa di attivare la procedura di cooperazione prevista per l'elaborazione delle linee guida".
Per le Linee Guida esiste una bozza e il Governo si è impegnato a farle uscire prima dell'estate insieme al nuovo Conto Energia .
Le linee guida servono ad assicurare un corretto inserimento degli impianti (in particolare eolici) sulla terraferma, chiarendo altresì la linea di discrimine tra progetti sottoposti ad "autorizzazione unica" e progetti sottoposti a Dia.

Tutto ciò premesso si dichiara quanto segue:

le fonti energetiche rinnovabili sono la grande sfida del futuro a cui sono affidate le speranze di uno sviluppo sostenibile del territorio e a cui crediamo fortemente, tuttavia il concetto comunemente associato alle fonti di energia rinnovabile presso l'opinione pubblica è che esse, per funzionare, abbiano bisogno soltanto di vento e di sole. Oltre al vento e al sole, le fonti rinnovabili hanno bisogno di un'altra importante risorsa primaria: il territorio.

Limitandosi al fotovoltaico, perché è l'unica fonte che viene trattata nello studio, la natura diffusa dell'energia solare e la bassa densità energetica associata ci costringono ad occupare grandi estensioni di suolo con gli impianti di captazione quando si debba produrre energia secondaria in grandi quantità. (112 km2/Mtep).

In paesi ad alta densità abitativa con popolazione in crescita come l'Italia, il territorio è un bene prezioso, sia per la sua relativa scarsità rispetto agli usi primari, agricoli, silvicoli e zootecnici, sia per il suo valore culturale, storico e paesaggistico. E' allora evidente come l'uso su larga scala degli impianti delle fonti rinnovabili possa produrre un gran consumo di territorio con relativo impatto sulle suddette attività prioritarie e sull'ambiente.

Sotto questo aspetto, le incentivazioni economiche governative, concesse per la promozione delle fonti rinnovabili, non considerano affatto nelle varie normative d'applicazione alcuni fenomeni d'impatto territoriale anomalo che possono insorgere causando effetti perversi sulla gestione corretta del suolo come risorsa energetica, incrementando invece fenomeni speculativi.

Questi effetti, potenzialmente presenti per tutte le fonti rinnovabili, si evidenziano quando la diffusione degli impianti raggiunge le dimensioni di larga scala. Ciò è quanto sta accadendo, per esempio, per il fotovoltaico o per l'eolico al cui sviluppo massiccio si sta ricorrendo per far fronte alla direttiva europea del "Pacchetto 20-20-20".
Questi grandi impianti in zone agricole, che nulla hanno a che fare con le attività agricole, causano trasformazioni radicali del territorio sia dal punto di vista paesaggistico che ambientale, economico e produttivo.

Uno studio dell'Arpa Puglia ha analizzato l'incidenza ambientale sottolineando gli effetti negativi sul paesaggio, sulla realizzazione delle infrastrutture per rendere i siti idonei a questa attività. Quello che sembrerebbe una attività marginale di fatto ha una rilevanza molto importante per il territorio:
costruzioni di chilometri di nuove strade dentro e fuori dei parchi fotovoltaici (che spesso occupano decine di ettari);
costruzione di nuovi fabbricati di servizio per queste aree; escavazione di fossi per il passaggio e l'interramento dei cavi elettrici particolari, quando non si ricorre a veri e propri elettrodotti;
fissaggio a terra dei pannelli, che devono resistere alla forza dei venti dominanti; spesso si utilizzano i pali in cemento (forma molto invasiva) o i pali in metallo infilati con il battipalo. Questa forma sembrerebbe meno impattante, ma non per il nostro territorio, in particolare quello vulcanico. Si ricorda che il nostro territorio vulcanico è caratterizzato da risalite di CO2 che acidificano il terreno, la permanenza di migliaia di pali metallici nel terreno acido per periodi di oltre 20 anni, portano in soluzione diversi metalli pesanti che possono passare nelle falde acquifere, creando un danno permanente di inquinamento (la nostra acqua ha già dei problemi non aggiungiamone altri!!!);
concentrazione delle acque meteoriche in corrispondenza dei punti di scolo dei pannelli, con conseguenti fenomeni di erosione e alluvionali.
Da ciò si evince che il rischio di alterare l'equilibrio idrogeologico è altissimo.

Inoltre è da rilevare che gli impianti fotovoltaici a terra, anche se non impermeabilizzano totalmente il suolo, riducono fortemente l'attività fotosintetica delle piante ed impoveriscono progressivamente il suolo da carbonio per superfici di decine di ettari. Si ricorda che i terreni italiani sono già notevolmente impoveriti di humus per una agricoltura dissennata che è stata effettuate in questi ultimi 50 anni.

Inoltre sono considerati la potenziale depressione delle attività biologiche associate alla perdita di irraggiamento solare delle aree ombreggiate dai pannelli, il comportamento della fauna avicola acquatica migratoria perché i pannelli vengono scambiati per specchi lacustri.

Sempre più spesso si sta verificando che sono gli stessi Enti a proporre soluzioni per impianti fotovoltaici a terra consumando prezioso territorio per "batter cassa" invece di proporre azioni volte alla sostenibilità. Pertanto chiediamo a questa Amministrazione di salvaguardare il territorio dall'assalto di imprenditori, soprattutto stranieri, che allettati dagli incentivi italiani, i più elevati d'Europa, sono per niente sensibili alle problematiche e alle peculiarità del nostro territorio.

Nel territorio orvietano sono disponibili molti ettari di superficie edificata dove poter installare in maniera sensata il fotovoltaico (zone industriali, artigianali, commerciali), aree dismesse che potrebbero essere bonificate con la rimozione contestuale dell'eternit usufruendo di un ulteriore incentivo, aree di cave ritombate, aree di cave di basalto, suoli compromessi (che già sono dotate di idonee infrastrutture, in particolare di strade).

Chiediamo inoltre all'Amministrazione di incoraggiare soprattutto gli impianti sui tetti degli edifici per produrre energia diffusa e distribuita tramite piccoli e medi impianti a favore delle famiglie e delle piccole industrie, di cui è costituita l'imprenditoria orvietana, perché non dobbiamo dimenticare che le incentivazioni vengono prelevate dalle bollette degli italiani e il Conto energia dovrebbe essere un'opportunità per tutti non il business per pochi.

Chiediamo infine all'Amministrazione di adoperarsi per studiare il potenziale fotovoltaico verificando la disponibilità di tetti ben orientati, raggiungere accordi e protocolli per agevolazione fiscali con i proprietari degli immobili che potranno essere bonificati e ricostruiti.

Per i suddetti motivi  le sottoscritte associazioni richiedono fermamente che il Comune di Orvieto ritiri immediatamente il documento frettolosamente presentato nella conferenza del 1 giugno (sarebbe stato opportuno invitare tutte le associazioni presenti sul territorio) e la previsione del dibattito in sede di Consiglio Comunale  del 18 .06.2010 .

Apra altresì sull'argomento una discussione con la comunità, le forze politiche ed il mondo associativo  in modo da condividere al massimo una scelta orientata all'utilizzo delle energie alternative nel comune di Orvieto che sia in linea, ed eventualmente migliorativa tenuto conto del contesto orvietano, con gli orientamenti  (Linee Guida) che saranno emessi dal Governo.

Non c'è alcun motivo di accelerare scelte ancora non mature a livello nazionale  e regionale che stanno già sollevando preoccupazione dell'opinione pubblica e della stampa in varie zone del Paese  in merito al forte impatto sull'ambiente dovuto  alle dimensioni degli impianti ai quali sono interessate le multinazionali del settore.

Orvieto, 5 giugno 2010


Associazione Altra Città - Presidente Mauro Corba


Associazione Amici della Terra - Presidente Monica Tommasi


Associazione Accademia Kronos - Presidente Roberto Minervini


Comitato Interregionale per la Salvaguardia dell'Alfina (CISA)- Presidente Vittorio Fagioli


Associazione Italia Nostra - Presidente Lucio Riccetti


Associazione WWF - Presidente Filippo Belisario

 


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