cronaca

Griffe e clandestinità: cinesi producevano capi firmati in condizioni disumane. Blitz delle Fiamme Gialle in un capannone a Fabro

venerdì 18 maggio 2007
di laura
Un arresto, 10 denunciati, 8 espulsi, 11 lavoratori in nero, il sequestro di un capannone, di 32 macchinari e di ingente materiale tessile. Brillante intervento della Guardia di Finanza a contrasto dello sfruttamento di manodopera clandestina Lavoravano, segregati al buio e "al nero" in un capannone sbarrato e schermato della zona industriale di Fabro, in condizioni igieniche disumane per produrre, a ritmi sostenutissimi, capi tessili dalle importanti griffe, tutte autentiche e non contraffatte. Il triste spettacolo dei 17 lavoratori cinesi accampati in piccoli sgabuzzini ricavati, a mo' di loculo abitativo, negli 800 metri quadri della struttura si è presentato in tutta la sua crudezza agli uomini della Guardia di Finanza che, guidati dal tenente Renato Nava, hanno effettuato il blitz ieri verso le dieci del mattino. L'ora del sonno più profondo per gli sfruttati, che sono stati trovati buttati sui loro più che inadeguati giacigli, dato che per non dare nell'occhio venivano fatti lavorare dal primo pomeriggio all'alba. Nonostante le precauzioni adottate, prima fra tutte la schermatura delle finestre e delle aperture con pesanti cartoni colorati, il capannone non è riuscito ad evadere l'attenzione dei servizi di controllo predisposti dal comandante provinciale delle Fiamme Gialle Luca Patrone per contrastare l'immigrazione clandestina, anche perché intorno vi gravitavano persone di etnia cinese. Così, agli appostamenti eseguiti prima del blitz dagli uomini della Tenenza di Orvieto, non sfuggivano né l'andirivieni di persone e vivande, né i rumori dei macchinari dal pomeriggio al mattino, né qualche spiraglio di luce nonostante le pesanti schermature, volte a far credere che il capannone fosse abbandonato. Lo spettacolo che si è presentato ai finanzieri al momento dell'irruzione è stato, indubbiamente, al di sopra di ogni più cruda aspettativa. Quasi certi che all'interno vi fossero extracomunitari di etnia cinese impiegati in condizioni di illegalità, il tenente Nava e i suoi uomini non avevano certo immaginato le squallide condizioni in cui i clandestini erano costretti a produrre e a vivere. In contrasto con i bei capi griffati prodotti e con i 32 macchinari di precisione usati per la loro confezione, una parte del capannone appariva malamente attrezzata, tramite pannelli di cartongesso, ad accogliere i malcapitati: un locale adibito a cucina in pessime condizioni igienico-sanitarie, 8 stanzette di dimensioni ridotte, 4 bagni di fortuna, posti letto precari e giacigli sistemati a terra; insopportabile, naturalmente, anche il cattivo odore, per la mancanza di aerazione nei locali tappati, per non attirare l'attenzione, giorno e notte. Insomma un quadro igienico del tutto nocivo, come ha rilevato anche la ASL, chiamata dalla Finanza per un sopralluogo d'ufficio. Un quadro d'insieme, comunque, tale da indurre a pensare che tutto fosse stato costruito per sfruttare nel modo più proficuo per la catena di produzione la mano d'opera che, dalla fame dimostrata era, presumibilmente, anche malnutrita. Una triste storia dei nostri giorni, che spinge a riflettere su quanto poco le grandi firme effettuino controlli sulla propria filiera produttiva e su quanto sfruttamento possa sottendere un bel capo firmato. Dei 17 lavoratori cinesi rinvenuti nel capannone, otto sono risultati senza permesso di soggiorno ed immediatamente espulsi, altri otto cittadini extracomunitari sono stati denunciati per violazione alla normativa sull'immigrazione, mentre è stato arrestato per il reato di “sfruttamento della manodopera clandestina” il 45enne cinese titolare della ditta individuale che operava all'interno del capannone. Nei suoi confronti, è ancora al vaglio del P.M. Dott. Flaminio Monteleone se si possa procedere anche all'accusa di sfruttamento di manodopera in condizioni disumane. E' stata invece denunciata all'autorità giudiziaria, per reato in concorso con l'imprenditore cinese, un'imprenditrice del tessile di Ficulle – F. M. di 45 anni - titolare dei rapporti di filiera con le grandi firme prodotte in subappalto e proprietaria del capannone subaffittato al cinese. Sotto sequestro, infine, il capannone, i 32 macchinari per la cucitura e un'ingente quantità di capi griffati in corso di lavorazione. Le Fiamme Gialle stanno indagando se l'imprenditore cinese arrestato, in passato già condannato per contraffazione, possa far parte di una più ampia organizzazione criminale dedita a favorire l'immigrazione clandestina per poterne sfruttare, a fini economici, la manodopera.