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Dal 7 al 15 maggio al Palazzo dei Sette, "Nudo in Canto. Eros e grazia del corpo femminile" mostra di Alfonso Lecce

mercoledì 4 maggio 2011

Patrocinata dal Comune di Orvieto / Assessorato alla Cultura dal 7 al 15 maggio, al Palazzo dei Sette si terrà la mostra intitolata "NUDO in CANTO. EROS E GRAZIA DEL CORPO FEMMINILE", ovvero seduzione e grazia del corpo femminile nell'arte contemporanea. Una grande rassegna monografica di opere visionarie sul nudo femminile di Alfonso Lecce.

La donna e il suo corpo come icona vivente del Bello. Come paradigma di una bellezza inarrivabile. La cui visione - secondo Plotino - non può non suscitare le emozioni più profonde e più radicali come lo stupore, la meraviglia gioiosa, lo spavento misto al piacere, ed infine l'Eros, che è l'occhio del desiderio, della nostalgia verso qualcosa che si è perduto.

E' il tema che ha affascinato da sempre artisti e poeti. Ed è anche il tema che ha stregato Alfonso Lecce, artista e disegnatore visionario che ha condotto una ricerca sull'Eros, sulla scia di quella schiera di pittori e scultori che, a partire da Prassitele a Botticelli, Cranach, Tiziano, Canova, Ingres, Courbet, Klimt hanno raffigurato le Afroditi, le Veneri, le Maye desnude, attratti dal fascino misterioso che promana dal nudo senza veli.

"Si tratta di un ciclo di lavori, circa 70 opere tra pastelli e matite - spiega il critico Gianni De Mattia - per gran parte inediti, nei quali l'artista affronta la sfida del nudo, nel quale si fronteggiano le due componenti del canone estetico che si è imposto fin dall'antichità nella raffigurazione del corpo femminile, vale a dire la sensualità la sensualità seduttrice di Circe e la casta bellezza di Penelope. Ma pur subendone la fascinazione inquietante, egli al contempo non rinuncia a perseguire il sogno di un ritorno alla nudità adamitica, vale a dire a quella condizione mitica in cui non si era ancora instaurata l'insanabile dualità che offusca ora la bellezza dei corpi.

Qualcosa che somiglia all'eden vagheggiato da Matisse nella celebre 'Joie de vivre' quando si era 'naturalmente' nudi. Punto di partenza è dunque l'oscura ambivalenza connaturata alla bellezza, già intuita peraltro da Platone, e di cui il corpo della donna sarebbe tangibile espressione, in quanto luogo nel quale confliggono la grazia e la voluttà, la 'imago pulchritudinis' e la 'via perditionis', come sostenevano i medievali. In questa ricerca, nella quale ha preferito esprimersi con la più essenziale delle discipline, e cioè con la nuda grafica, Lecce non cavalca mai però il conflitto torbido delle pulsioni, ma insegue - con esuberante lirismo - un'armoniosa coabitazione tra l'Afrodite celeste (per dirla con le parole del Simposio platonico), vale a dire tra la bellezza spirituale, apollinea, da una parte e l'Afrodite terrestre, cioè la bellezza carnale, legata alla passione dionisiaca dall'altra. Nel disegno l'artista si muove perfettamente a suo agio, con la grazia di un funambolo. Ne scaturisce una nuova semiotica delle forme femminili, con i tratti somatici che vengono distillati a tal punto da portare allo scoperto arcaiche mitografie della sessualità cosmica. E così dalla sua "Linea", morbida e felpata, sprigiona una misteriosa carica evocativa, con l'Eros che irrompe ora strisciando sinuoso ora impennandosi, per usare le parole di Saffo, come ‘indomabile serpente'.

Non a caso Lecce è stato definito il 'pifferaio magico' del segno, epiteto che si deve al magnetismo subliminale, magico trasmesso dalle sue 'Ideografie'".