editoriale

In difesa delle tradizioni orvietane

sabato 21 giugno 2003
di Giorgio Campanari
Con ferma pacatezza posso affermare, che Orvieto seppur ferita è viva… In questi giorni di giugno Orvieto si fa bella, aprendo le porte alle popolazioni del mondo e mostrando tutto il suo splendore, i suoi costumi, la sua storia, le sue tradizioni. Tradizioni con la T maiuscola, che purtroppo (un po' per il progresso, un po' per la nostra irresponsabilità) stanno scomparendo o magari, sono già sparite.

Sarebbe Stupido ed al quanto anacronistico, struggersi il fegato a rimembrare il tempo che fu… Certo, i ricordi nella vita di un uomo sono degli ottimi e saggi accompagnatori, ma basare tutto su di loro è impensabile, un po' come il suo opposto, in altre parole sognare.

Però cercare di amplificare l'ethos di una comunità, non significa perdere tempo, quando specialmente il gioco ne vale la candela. Con duri sacrifici ho costituito il Comitato Cittadino per la Salvaguardia delle Tradizioni Locali, proprio per far fronte a questo dilagante globalismo culturale, che tende a mettere in riga tutti gli abitanti del pianeta e ad uniformarli ad usi e consuetudini impropri, tanto che in alcune occasioni la propinazione di modelli sembra quasi un'imposizione.

Un'imposizione che come tale cerca di epurare al meglio, tutto ciò che potrebbe rivelarsi come un ostacolo formidabile nel suo cammino. Ed ecco che diverse consuetudini con il tempo hanno perso importanza, come purtroppo determinati luoghi. Un esempio lampante può considerarsi la Chiesa di S. Rocco. Tiro in ballo questa Chiesa, perché oltre ad ospitare la prima uscita ufficiale del Comitato per La Salvaguardia delle Tradizioni Locali, in passato ricopriva un significato storico e religioso per la città (dagli affreschi della scuola del Signorelli, che in questi ultimi anni a causa delle infiltrazioni d'umidità si stanno perdendo, alla sacra rappresentazione del "Cristo Morto" del Giovedì Santo, ormai persa dal 1975…). Un esempio, ma non l'unico.

Ora che le attenzioni amministrative della città guardino prioritariamente all'ex Caserma Piave (circa ¼ d'estensione dell'intera rupe!), mi sembra più che legittimo, ma che tali energie ed idee possano stagnarsi solamente in quell'area proprio no. Sarebbe di prioritaria importanza per la comunità, sviluppare al meglio quell'area, magari facendola diventare come il fulcro delle maggiori transazioni economiche della città.

Io penso che tutto questo sia possibile e che si possa realizzare, solo se riusciremo a "pescare"nei nostri confini, il senso della nostra cultura. Creare quindi una struttura polifunzionale, senza però guardare nel suo perimetro e senza valorizzare le ricchezze artistiche e culturali insite nella storia orvietana, sarebbe come creare una gran vetrina di cristalli: sfarzosa e lucente, ma nella sua complessità fragile. Orvieto ha bisogno di vita, ma per ottenerla non ha bisogno di usare espedienti artificiali lontani dal suo logos. Con queste dichiarazioni potrei essere tacciato di "positivismo sistemico": tutt'altro. Non vorrei solo essere considerato come un bigotto affezionato agli usi e costumi della mia città. Sono fermamente convinto che sono proprio i nostri usi e costumi, fonti di ricchezza culturale ed economica.

Usi e consuetudini che dagli anni settanta hanno subito un affossamento. Il decentramento di servizi dalla rupe continua, ma questo è il prezzo del progresso. Un progresso che rischia di cancellare il nostro patrimonio artistico e culturale. Orvieto è una realtà storica che non va sottovalutata e fino a quando avrò le forze, mi adopererò con progetti ed idee per salvaguardare la mia città, mio unico e grande amore.

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