editoriale

Facciamo il punto sui reali pericoli dell'elettrosmog

mercoledì 29 gennaio 2003
di Donatella Bericotto
L’ elettrosmog nuoce gravemente alla salute. Come l’amianto. Come il benzene. Come le polveri sottili. Come il fumo di sigaretta. Lo stato italiano trae grandi profitti dalla vendita del fumo.

Lo stato italiano trae grandi profitti da attività (produzione e vendita di energia elettrica, trasporti ferroviari e telecomunicazioni) che generano eccessivi campi elettromagnetici ad alte e basse frequenze. Per l’amianto, il benzene, le polveri sottili, il fumo di sigaretta si scrivono regole certe e si fanno campagne di tutela sanitaria.

Per esempio per combattere il fumo si è scelto di etichettare i pacchetti di sigarette con la scritta “Nuoce gravemente alla salute”, inoltre si informano i cittadini sulle malattie causate dal fumo. Nel corso della XIII legislatura, sotto l’impulso della maggioranza di centro sinistra, dopo un dibattito politico di cinque anni, a tratti anche aspro, si è deciso di fare altrettanto per combattere e prevenire l’inquinamento da onde elettromagnetiche ad alte e basse frequenze.

Tuttavia ora la battaglia contro l’elettrosmog è diventata una battaglia per la certezza del diritto. Non è più soltanto un problema ambientale o sanitario, è la necessità di regole certe. La legge è uguale per tutti e va applicata. Sconvolge vedere chi rappresenta le istituzioni criticare le leggi volute fortemente da tutto l’esecutivo e approvate dal Parlamento, persino con la non ostilità delle opposizioni.

CHE L’ELETTROSMOG FACCIA MALE ALLA SALUTE E’ ASSODATO DA OLTRE 20 ANNI, TRAMITE STUDI EPIDEMIOLOGICI, RICERCHE SCIENTIFICHE DI CUI E’ RICCA LA LETTERATURA, CHE NON PUO’ SFUGGIRE A CHI RICOPRE INCARICI DI PUBBLICA UTILITA’.

Ad esempio, una recente meta-analisi, finanziata dalla Commissione dell’Unione europea, basata su 9 importanti studi epidemiologici nazionali, ha rilevato un raddoppio del rischio di leucemia infantile per i residenti esposti ad un campo magnetico maggiore di 0,4 micro Tesla, unità con il quale si misura il campo magnetico. L’Istituto superiore della sanità, fin dal 1995, in un rapporto intitolato “Rischio cancerogeno associato ai campi elettromagnetici a 50/60 Hz (cioè gli elettrodotti) aveva individuato nel valore di 0,2 micro Tesla il limite entro il quale si determina un aumento del rischio di leucemia infantile.

Oggi non è possibile nascondere il problema elettrosmog con interviste giornalistiche o estemporanee affermazioni tranquillizzanti. Non è neppure politicamene corretto adesso insinuare strumentalmente la presunta incertezza scientifica per rimettere in discussione una partita esclusivamente politica conclusa con atti del Parlamento prima e del governo poi. La storia dell’elettrosmog somiglia molto a quella dell’amianto. La fibra di amianto fin dal 1963 era indicata da studi epidemiologici e ricerche scientifiche come cancerogena. Questi studi furono messi in discussione, esattamente come accade ora per le migliaia di studi scientifici ed epidemiologici fatti fin dal 1970 sulle onde elettromagnetiche a bassa e poi ad alta frequenza. Nel 1993 lo stato italiano ha messo fuori legge l’amianto. Oggi, con trent’anni di ritardo, vengono riconosciuti i risarcimenti alle centinaia di famiglie di lavoratori morti di cancro o ammalati di asbestosi a causa dell’esposizione all’amianto.

La scienza, che a volte può comportarsi come una lobby, deve fornire in modo accurato e riproducibile dei dati con delle indicazioni e chiavi interpretative. La politica fa proprie queste indicazioni e solo nell’interesse della collettività elabora leggi e atti amministrativi tesi a minimizzare il rischio, applicando il “principio precauzionale” e il principio “chi inquina paga”, di ispirazione comunitaria.

Il politico deve scegliere il prevalente interesse collettivo dei cittadini, e non arrendersi a mediazioni in favore di interessi particolari o di minoritari gruppi lobbistici. E’ grave se conflitti di interessi o esigenze di bottega negano, o solo attenuano, i diritti della collettività. Tra essi vi è quello sancito dall’articolo 32 della Costituzione della Repubblica, il diritto alla salute. Per quanto riguarda la prevenzione c’è da chiedersi: quale affidabilità viene garantita dagli studi del CNR, che continua a lesinare finanziamenti ad alcuni suoi ricercatori che stanno evidenziando risultati importanti dai loro studi, privandoli di strumenti fondamentali per il loro lavoro?

quale affidabilità viene garantita dagli studi dell’ENEA, che pubblicizza i propri studi sul Tasso di Assorbimento Specifico (SAR) che si riferisce esclusivamente al grado di riscaldamento dei tessuti biologici che può essere provocato dalle microonde, che non è in alcun modo rilevante ai fini della valutazione degli effetti non termici o a lungo termine?

perché, invece, non vengono coinvolti e finanziati quelle organizzazioni e quei ricercatori che da anni studiano in tutto il mondo i possibili effetti a lungo termine dei campi elettromagnetici e stanno otenendo risultati per nlla confortanti?

perché molti esperti del settore, come ad esempio il Prof. Carlo Peducci del Dipartimento di Epidemiologia dell’ASL Roma E, e già Direttore dell’Agenzia di Sanità Pubblica della Regione Lazio, denunciano quotidianamente il taglio dei fondi da parte delle Regioni per la ricerca epidemiologica, dopo essersi espressi in maniera inequivocabile, nel caso del Prof. già citato, a seguito di alcune indagini da lui condotte, su un sospetto alto numero di leucemie infantili nell’area che circonda Radio Vaticana?

Per quanto riguarda, invece, l’attuale questione legislativa c’è la novità di una probabile INAPPLICABILITA’ TEMPORANEA del Decreto Gasparri ai sensi dell’ART. 1 della Legge 443/01. Infatti “ in sede di prima applicazione della Legge, una deliberazione CIPE, da adottarsi entro il 31/12/2001, avrebbe dovuto individuare esattamente le infrastrutture definite strategiche.

In realtà la deliberazione Cipe n. 121 del 12/12/2001, ha indicato nell’allegato 5, dedicato alle infrastrutture di telecomunicazioni, solo generici investimenti monetari, e rinviato a successiva deliberazione, da adottarsi di intesa con le regioni, la puntuale individuazione delle infrastrutture. Il decreto sarebbe pertanto inapplicabile fino a successiva determinazione”.

In ogni caso sono attualmente 7 le regioni italiane (tra cui l’Umbria) che hanno proposto ricorso alla Corte Costituzionale contro il decreto Gasparri.A queste si aggiunge il comune di Vercelli che, primo comune in Italia, ha proposto ricorso alla Corte in modo diretto. Questo esempio ha innescato un meccanismo virtuoso in base al quale molti altri comuni del Piemonte e della Lombardia stanno intervenendo direttamente alla Corte per sostenere l’incostituzionalità del decreto Gasparri.

Naturalmente il comune di Orvieto non è stato così sensibile e interessato a partecipare a questa “cordata civile” di comuni contro l’elettrosmog. Comunque, a parte il discorso della inapplicabilità (almeno momentanea), il decreto Gasparri NON METTE CERTO IN DISCUSSIONE IL POTERE DA PARTE DEI COMUNI DI EMANARE REGOLAMENTI, DI INDIVIDUARE PIANI DI LOCALIZZAZIONE, DI STIPULARE ACCORDI VOLONTARI CON I GESTORI IN MATERIA DI INFRASTRUTTURE PER TELECOMUNICAZIONI. Questo significa che ad Orvieto è ancora possibile trovare soluzioni corrette, che tengano conto in primo luogo del sacrosanto diritto alla salute dei suoi cittadini.

Che tengano conto che la popolazione del centro storico è formata da bambini ma anche in gran parte da anziani, spesso portatori di impianti cocleari, impianti di defibrillatori cardiaci e impianti per protesi metalliche, con i quali le radiazioni delle antenne di telefonia mobile interferiscono enormemente. Che tengano conto che il centro storico di Orvieto non deve diventare un mercato libero per sfruttamenti senza scrupoli.

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