editoriale

Non leggere i giornali per invertire le priorità dell'informazione

mercoledì 18 dicembre 2002
di Laura Ricci
Questa volta inizierò con un ricordo, un piccolo motto vero.
Diversi anni fa, stanca di sentir vituperare un mio alunno di prima media - per altri versi apprezzabile - perché non studiava la storia, cercavo di convincerlo, anche se non era mio preciso compito, a colmare questa lacuna e a misurarsi con le interessanti civiltà del mondo antico.
Francesco, che era un bambino buonissimo, mi fissò intensamente con i suoi occhioni azzurri e, con una sua logica stringente, mi disse: - “Vede professoressa, io non faccio mai pettegolezzi, non parlo mai di nessuno, non leggo mai neanche i fatti di cronaca; insomma, non sono curioso, i fatti degli altri non mi interessano. Come potrebbero interessarmi i fatti degli Egiziani o dei Fenici?”.
Restai spiazzata, incapace, al momento, di addurre una logica altra; a riflettere sulla sua logica che era strana, ma pur sempre una logica.

Ho pensato a Francesco in questi giorni di fatti di cronaca più o meno eclatanti e di accese polemiche, e forse l’ho anche rivalutato. Certo, non avrà studiato la storia; però, se si è mantenuto com’era, in questi giorni avrà fatto la cosa più coerente che tutti quelli che pensano di non essere morbosi avrebbero dovuto fare: non avrà comprato il giornale, ammesso che abbia il suo internet access non avrà cliccato. Se molti facessero così, invece di scandalizzarsi e basta, probabilmente i modi della comunicazione cambierebbero, per l’implacabile legge della domanda e dell’offerta.
Non voglio pronunciarmi con infallibilità, non mi riesce: mi è più congeniale riflettere sulla storia di Francesco; né mi piace dare giudizi trancianti o etichette, a nessuno e di nessun tipo: cerco solo di capire; e non mi piace l’attacco, da qualunque parte venga: piuttosto sono una teorica del sottrarsi, del prendere posizione “fuori da”, con la pacata esplicitazione del proprio stare a lato.
Piuttosto mi pongo interrogativi.
E da domenica, ad esempio, me ne pongo uno. Lo esplicito.

Un’intera città e il suo comprensorio si sono misurate, più o meno a fondo, su un fatto di stupefacenti: legittimamente, ci riguarda.
Poi, a ridosso, un uomo uccide, come si suol dire “orrendamente”, una donna, la moglie. Tragedia della follia, si dice; e con questa parola atipica - follia - il fatto è più o meno liquidato. Sembra quasi normale nella sua pur ricorrente anomalia: nell’opinione pubblica nessuno si meraviglia, nessuno si interroga pubblicamente. Mi chiedo: non ci riguarda?
Eppure, queste mattanze, una piccola riflessione di costume - almeno al pari di qualche canna - forse la meritano.
er Guarda caso sono quasi sempre donne le vittime di questi gesti estremi: si sa sempre poco dei meccanismi e dei moventi, ma quanto basta per intuire che spesso sono donne che non corrispondono più a certe aspettative e a certi modelli del patriarcato, donne che in qualche modo deludono o irritano l’uomo del momento. A volte sembrerebbe la gelosia, a volte un tradimento, a volte il non voler sottostare ad abusi o violenze, a volte anche meno o chissà cosa. In ogni caso sono i luoghi comuni o il pregiudizio ad agire, sia pure a livello patologico: le sventurate, per qualche loro devianza dai luoghi comuni e dai ruoli imposti, vengono “orrendamente” non perdonate.
Chissà, forse anche questo è degno di essere annotato. Forse anche questo ha a che fare con l’identità, i modelli di comportamento e l’educazione.

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