editoriale

M’ama, non m’ama. L’incerto ruolo dei Democratici nella Margherita.

lunedì 20 maggio 2002
di Davide Orsini
Anche quest’anno è fatta. La Palombella è scesa per la gioia dei tradizionalisti e degli animalisti. Spostiamo dunque il tiro. Invito a riflettere su ciò che è avvenuto in relazione all’elezione del Comitato direttivo dell’Orvietano della Margherita.

Come era prevedibile la maggioranza democristiana del Ppi ha stravinto la battaglia con la pattuglia dei Democratici conticelliani: 29 voti contro 4 (e non si fa fatica ad immaginare di chi siano i voti dei quattro gatti). Dico che era prevedibile perché nel comprensorio soltanto i partiti di matrice democristiana sono organizzati ed hanno un seguito istituzionalizzato, che vada oltre cioè i periodi elettorali.

I Democratici, coloro che ne hanno seguito la nascita in città se lo ricorderanno, sono un gruppo nato intorno a Maurizio Conticelli, sostenuto da un consenso elettorale consistente (12%) manifestatosi nel 1999 e da un manipolo di audaci sognatori della bella politica, come la chiamerebbe il buon Veltroni (Dio ce lo conservi a Sindaco di Roma vita natural durante!). Come nota a margine bisogna aggiungere che la decisione di divenire Democratici non fu dettata da profonda ammirazione per Prodi né dalla condivisione di chissà quali progetti politici spuntati in groppa al Somarello.

Fu semplicemente perché sostenere organizzativamente ed economicamente i costi di una lista civica appariva ai più un’impresa titanica. Ecco dunque che la sponsorship dei Democratici apparve la scelta più pragmatica. Detto questo passiamo all’attualità. La nascita della Margherita, al di là di tutti i discorsi sulla necessità di riunire il centro dell’Ulivo e via dicendo, ha posto diversi problemi. Il principale a mio avviso, a parte il colpo ad effetto di Mastella, è quello relativo allo sforzo di amalgamare la classe politica preesistente, Popolari, UDEur in particolare, con quella parte della cosiddetta società civile che ha deciso di dedicare energie al nuovo progetto politico ed intende svolgere un ruolo futuro affinché, in parole spicciole, il fiore rutelliano non diventi la Sinistra Dc con qualche petalo fresco intorno a camuffarne il cuore stagionato.

A tal proposito non sono mancati gli sforzi anche in ambito regionale. È noto che la metà dei posti di dirigenza della neo-nata formazione sono stati destinati a coloro che non hanno avuto precedenti incarichi politici. Senza dubbio un segnale di apertura, almeno sulla carta. Tutti sanno però che nonostante questo sforzo, l’asse umbro del potere della Margherita è già strutturato. L’Assessore regionale Bocci si occupa degli equilibri nella provincia perugina mentre Liviantoni, Presidente del Consiglio regionale, esercita il suo controllo sulla provincia di Terni. Una spartizione ragionevole dopotutto, considerando che entrambi sono Popolari.

E si sa, il rischio del monopolio di un solo partito può essere bilanciato soltanto da una guida bicefala dello stesso partito. Una sorta di pluralismo all’italiana. Il dato peraltro non sorprende. O meglio sorprende i già citati sognatori della bella politica, i quali ancora si ostinano a non capire che quando c’è in ballo la formazione di un nuovo soggetto politico, vuoi o non vuoi a partire in vantaggio sono quelli più organizzati. Qual è la forza del mondo associazionistico e, in definitiva, di quegli appassionati che potrebbero stare a casa a godersi la famiglia, il tempo libero e qualche soldo, e invece decidono che è giunta l’ora di impicciarsi della cosa pubblica? La risposta è semplice.

Questi signori sono quelli che decidono le sorti del mercato elettorale, quelli che hanno rappresentato il valore aggiunto nella vittoria ulivista del 1996, quelli il cui impegno ed il cui coinvolgimento potrebbe permettere di guardare alla Margherita non già come la Sinistra Dc più qualche novellino entusiasta, ma come una formazione politica che riesce a rappresentare una novità reale nello scenario del centro-sinistra. Ricordo che a tale scopo, ne valuteremo i risultati in futuro, è nata un’associazione regionale capitanata dall’ex Presidente regionale Bracalente, uscito dai Ds. Un quadro complesso, dunque. Ma torniamo all’ombra del Duomo.

Ventinove voti contro quattro sono troppi. Tira un’ariaccia nella Margherita ,che rischia di appassire e diventare il meccanico ingranaggio preposto alla sostituzione dell’attuale assetto politico orvietano. Dico subito il perché. Mocio, com’era prevedibile, è pronto a discutere su tutto, tranne che sull’alleanza strategica con la sinistra, motivo per cui è uscito dal Ppi nel 1997 e si è preso i suoi rischi affrontando la scorsa tornata elettorale con una listina civica.

Il Ppi, terminato il suo ciclo di delirio politico, è deciso a tornare al governo della città, magari facendo la voce un po’ più grossa se riuscirà insieme agli altri a cospargere di concime la nuova Margherita. Per i Democratici la via più probabile è quella dell’isolamento e del riassorbimento della carica oppositiva. Il buon Conticelli a questo punto dovrebbe chiarirsi le idee e chiarirle ai suoi seguaci, elettori o simpatizzanti. Se la sua opposizione, come ai più è apparsa negli ultimi mesi, ha prevalentemente carattere personalistico (ostilità verso Cimicchi), allora il problema è facilmente risolvibile. Vista l’impossibilità di riproporsi dell’attuale sindaco, sgomberato il campo dall’ostacolo principale ed accettata la prospettiva ulivista, I democratici devono iniziare una serie di colloqui per ragionare sul futuro insieme ai Ds e all’interno della Margherita stessa.

La scelta dei conticelliani di rifiutarsi di proporre propri esponenti, cui spettava almeno una quota di minoranza, negli organi di direzione comprensoriale, è indizio del fatto che quella strada è in salita. Ma allora quale alternativa è possibile? Non vorrei fare il Mentore di nessuno, tanto meno dei democratici, che non ne hanno bisogno. Mi spiacerebbe però constatare che Maurizio si sia ficcato in un bel vicolo cieco e vi abbia condotto anche quel bel 12% che rischia di essere così banalmente sprecato. L’ora delle battaglie movimentiste è finita. Io punterei alla redazione di un programma politico coerente, che sappia indicare una via diversa da quella che si afferma di non condividere, e cercare di mantenere e magari ampliare quel consenso elettorale del 1999.

Poi si ragionerà sul futuro. A me pare che quel seguito sia scemato, disorientato dalla troppa ambiguità e dall’estemporaneità delle dimostrazioni di insofferenza verso la maggioranza. Fuoco a fiamme (a volte eccessivi e pretestuosi) i giorni dispari, apparente disponibilità al dialogo i giorni pari. E quegli elettori il cui voto è stato in parte sottratto al centro-sinistra, alla finestra, disorientati spettatori di una partita di tennis dal finale incerto. Io ricomincerei da loro, ma con estrema chiarezza.