editoriale

Pannella e Coscioni sotto la pioggia orvietana.

martedì 5 marzo 2002
di Fausto Cerulli
Quando Pannella ha scoperto, passando per Gandhi, santo Francesco di Assisi. Un comizio come si usava ai vecchi tempi, in una piazza di Orvieto sferzata da una pioggia milanese, con la gente a centinaia come non si usava più da quando la campagna elettorale trascorre i suoi magnifici tempi e progressivi nei palinsesti televisivi concupiti e contesi. Sul palco Luca Coscioni, seduto immobile davanti al suo sintetizzatore vocale, con un ragazzo che reggeva un grande ombrello per coprigli il corpo inutile e la vivissima testa. La pioggia non faceva desistere la gente, che ascoltava sotto un bosco di ombrelli quella voce innaturale, quella voce che non avrebbe dovuto più parlare, se- condo certi poco puliti giochi di Potere. Poi, come usava un tempo, è arrivato sul palco Marco Pannella, irrobustito nel fisico ora che ha giustamente delegato ad altri il digiunare; non ha voluto un ombrello, giocando a fare il generale che sfida gli elementi. Quando ha cominciato a parlare, la sua voce arrochita da troppe sigarette veniva dal deserto e in una piazza di Orvieto non parlava al deserto. Li guardavo: Luca Coscioni immobile, legato al suo star male fisicamente e insieme libero come pochi nel suo volerne uscire per se stesso e per molti, Marco Pannella alto e ingombrante come una colonna segnata. La più strana coppia di questa poco strana campagna elettorale; scandalosi al modo in cui sanno essere scandalosi i radicali. Pannella era commosso, lui che ne ha viste di cotte e di crude e che ne ha fatte, di crude e di cotte: lui che conosce tutti e tutti conoscono lui: che vince battaglie che bene o male hanno segnato il costume d’Italia, e che si è visto rubare sempre il serto del vincitore. Era commosso perché parlava accanto a quella scommessa e sfida che è Luca Coscioni: commosso forse perché aveva bisogno forse di un bagno di folla, dopo tanto monologare a Radio Radicale; e dopo tanto inutile imprecare contro il Capo dello Stato e contro tutti perché voleva che il suo movimento avesse udienza, ascolto pubblico, audience garantita. Ad un tratto la sua voce si è fatta ferocemente tenera, mentre la pioggia veniva a scrosci in un classico temporale di maggio: ed ha cominciato a parlare di San Francesco, del suo corpo gracile, del suo essersi denudato fisicamente ed economicamente per diventare il poverello di Cristo. E gli veniva bene, parlare di santo Francesco in questa Orvieto che dista in linea d’aria cento chilometri da Assisi. Poi, a quel suo modo irrepetibilmente scandaloso, ha paragonato il Poverello a Luca Coscioni, e questi al santo: si è scusato per l’apparente bestemmia, ma in essa ha imperversato; e così ha insegnato a suo modo la storia alla gente nascosta dagli ombrelli: ha detto della guerra di Francesco contro la burocrazia pontificia, e di questa con lui, e della resa apparente di Francesco e del suo inaspettato trionfo, e dei nomi dei Papi che presto vengono inghiottiti dalla pioggia del tempo mentre il nome di santo Francesco resta scolpito, con serena granitica Durezza, nella memoria dei secoli. Certo Marco Pannella sa giocare con le parole, ma non disdegnando che le parole Divengano pietre o carezze o pioggia nel pineto; ed aveva trovato la metafora giusta, pescandola nel suo armamentario di scandali intesi al modo evangelico. Mi chiedevo, mentre lo sentivo parlare di san Francesco e paragonarlo a Luca Coscioni, se lui non si sentisse in qualche modo un profeta: e ne aveva l’aria, con i capelli bianchi ed ondulati, con quel suo non volere una protezione contro la pioggia, con il suo tono di chi rivela il futuro parlando di un passato passato. Con il suo consumato saper usare le parole come pietre o come carezze o come gocce nel pineto; fastidiose ed urticanti, ma parole Parole. Ma non pensavo a questo, nel guardare quel palco: pensavo a quella coppia che occupava quel palco: un giovane inchiodato al suo male e assatanato nel volersene riscattare e riscattarne gli altri; ed un anziano imponente, che si fingeva impotente e si sapeva una sorta di profeta Isaia. In quella piazza di Orvieto si è consumato lo scandalo ( nel senso evangelico del termine ) più grande di questa campagna elettorale scandalosa nel senso meno evangelico del termine. Scomparivano, dinanzi a quella incredibile coppia, Celentano e i suoi miliardi di cazzate, Luttazzi e la sua merda a gogò. Peccato che a registrare le immagini di questo scandalo vero abbia pensato soltanto qualche televisione locale, di quelle fatte a mano, E lo sguardo affascinato di questo umile cronista e non pagato cantastorie.