economia

"La leggenda della globalizzazione": nel libro di Elvio Dal Bosco una nitida previsione della crisi in tempi poco sospetti

sabato 21 febbraio 2009
di Rodolfo Ricci da www.emigrazionenotizie.org
"La leggenda della globalizzazione":  nel libro di Elvio Dal Bosco una nitida previsione della crisi in tempi poco sospetti

La grande crisi finanziaria esplosa in modo dirompente nell'estate del 2008 e che ora ha raggiunto con effetti drammatici l'economia reale, ha "sorpreso" fior fiore di economisti, tecnici, manager e politici in Italia come nel resto del mondo.

L'intensità dei suoi effetti è ancora tutta da quantificare poiché nessuno sembra in grado di vedere il fondo del barile dove sono stati depositati trilioni di dollari in titoli spazzatura di varia natura che tuttavia costituivano garanzia e supporto all'espansione globale degli anni '80 e '90 e che continuano in buona parte ad essere tenuti celati nei bilanci di grandi e piccole banche, in quanto, altrimenti, ne deriverebbero ulteriori crolli e fallimenti.
Non è detto che ciò non accadrà, perché ormai è chiaro che la enorme bolla speculativa ha permeato più o meno tutti i meandri dell'economia globale, e nessuno si fida più di quanto è redatto nei documenti ufficiali.

La cosa che è difficile comprendere è come sia potuto accadere che migliaia di economisti, a parte qualche raro caso, si siano adeguati all'interpretazione mainstream senza obiettare alcunché per anni ed anni.

Sarà, come sostiene Guido Ceronetti, che la psiche umana è così solida (e patologica) da sperare l'insperabile fino all'attimo prima della catastrofe, come dovrebbe essere accaduto ai passeggeri che incontrarono le twin towers nello spartiacque storico dell'11 settembre 2001: dice Ceronetti che fino al momento precedente all'impatto, i passeggeri, pur sequestrati, pur coscienti che si stava attuando un dirottamento, mai avrebbero immaginato di dissolversi nelle due torri.

Così, è in genere l'essere umano. Ma la regola è sempre confermata dall'eccezione. Tra queste rare eccezioni si può situare il lavoro poco noto di Elvio Dal Bosco "La leggenda della globalizzazione L'economia mondiale degli anni novanta del Novecento"- Bollati Boringhieri - Pagg.128 € 12,00, datato 2004, che riprende e approfondisce l'analisi di un altro testo significativo pubblicato dallo stesso Dal Bosco negli anni '90 "L'economia mondiale in trasformazione" in cui già veniva chiaramente evidenziato, dati alla mano, il fenomeno del proliferare esponenziale dei cosiddetti titoli derivati nelle contrattazioni finanziarie internazionali.

Ma ne "La leggenda della globalizzazione", Elvio Dal Bosco chiarisce inequivocabilmente, nel II° capitolo: "L'economia reale preda della finanza", quale fosse la strategia del capitalismo neoliberista nell'affermazione planetaria del suo modello, da cui discendevano alcuni corollari indispensabili con cui abbiamo ed avremo a che fare, vale a dire: "Il lavoro ostaggio della precarietà" (Cap.3), e poi, "Lo Stato sociale sotto assedio" (Cap. 4), il tutto corroborato ed introdotto da "L'invenzione della globalizzazione come alibi del neoliberismo" (Cap. 1), che apre il testo fornendo una fotografia alquanto diversa dalla consueta ed abitudinaria vulgata dello sviluppo dei mercati internazionali alla fine del secolo scorso.

Il libro di Dal Bosco mira a mostrare ciò che sta dietro alle leggende del neoliberismo e a smontare pezzo per pezzo il meccanismo costruito dal cosiddetto Consenso di Washington per imporre a tutto il mondo il modello di capitalismo avviato negli Stati Uniti dai governi presieduti "da un mediocre attore di Hollywood", proseguito dalla Lady di ferro con una serie di epigoni tra cui il nostrano e spurio Berlusconi.
I quattro capitoli sono dedicati ai singoli aspetti della vita economica e sociale investiti dall'ideologia neoliberista, la quale "sotto il manto della pretesa modernizzazione sta riportando il mondo all'Ottocento". Nel primo capitolo si sostiene che "la globalizzazione non è una novità perché, misurata con i dati del commercio internazionale e degli investimenti diretti all'estero, essa è al livello del 1914"; successivamente, due guerre mondiali e la Grande crisi degli anni trenta hanno ridotto fortemente il grado di internazionalizzazione. Essa viene oggi "strumentalizzata dal «pensiero unico» onde addebitarle l'asettica necessità di contenere i costi salariali nelle aree sviluppate per reggere la concorrenza delle aree emergenti, deviando così l'attenzione dai guasti prodotti dalle politiche economiche e sociali che si ispirano al neoliberismo."
Ma è nel secondo capitolo, incentrato sull'enorme sviluppo delle attività finanziarie a livello nazionale e internazionale, che il lavoro di Dal Bosco assume rilievo quali profetico (in realtà si tratta di rigore di analisi e di riflessione non orientata): L'assoluta libertà dei movimenti di capitali, che non sottostanno più ad alcun vincolo amministrativo, ma non sono sottoposti neanche a controlli di mercato, ha accresciuto fortemente i rischi sistemici, ha ridotto l'efficacia delle politiche delle banche centrali, mentre le istituzioni finanziarie internazionali come il Fondo monetario (FMI) hanno addirittura favorito il dispiegarsi incontrollato delle transazioni di capitale a breve termine, penalizzando quel paesi che osavano contrastarlo. La ricerca sottolinea l'effetto più preoccupante che è quello esercitato dal peso eccessivo della finanza rispetto all'economia reale: l'allocazione della spesa finale del PIL a favore dei consumi privati, soprattutto vistosi (e quindi presumibilmente effettuati dalle classi agiate), a scapito degli investimenti produttivi, che sono il fulcro dell'accumulazione capitalistica.
Nel terzo capitolo, riguardante il mercato del lavoro, insieme a un quadro generale delle dinamiche in atto nelle sue variabili principali, si esaminano le diverse forme di lavoro flessibile, il cui sviluppo è una caratteristica degli anni novanta, almeno come tendenza, perché, misurato come consistenza e non come flusso, il lavoro a tempo indeterminato è ancora largamente prevalente. "Grande è invece l'insicurezza del posto di lavoro provocata dalla martellante campagna volta a esaltare le virtù del lavoro flessibile. In concreto, si può affermare che tali forme di lavoro sono positive, da un lato, se vengono incontro ai bisogni di alcune categorie di lavoratori, purché inserite in un sistema di garanzie simili a quelle godute dai lavoratori a tempo pieno; si osserva, dall'altro, che l'imposizione di forme di lavoro senza regole e non concordate con i lavoratori e con le loro organizzazioni conduce a un ritorno a condizioni di lavoro e di vita tipiche dell'Ottocento per fasce crescenti di popolazione nei paesi capitalistici sviluppati."
Il quarto capitolo illustra come l'aumento della disoccupazione e il contenimento dei salari mettono in crisi i pilastri del welfare state classico. Lo Stato sociale è non soltanto un ammortizzatore che garantisce una vita dignitosa a tutti i cittadini e uno stabilizzatore automatico che sostiene l'economia nelle fasi negative del ciclo, ma anche un elemento fondamentale di legittimazione delle democrazie moderne. La gestione privatistica della sanità e delle pensioni, oltre a essere molto più costosa di quella pubblica, implica una ulteriore crescita delle attività finanziarie, con i connessi rischi sistemici e con gli effetti negativi sull'economia reale descritti nel secondo capitolo.
In sintesi, quello che i neoliberisti chiamano modernizzazione è il ritorno all'Ottocento" o, peggio, a un nuovo feudalesimo. In questa ottica, esemplare è l'intervista concessa in occasione del suo novantesimo compleanno da un grande imprenditore tedesco, Werner Otto, all'autorevole settimanale liberale «Die Zeit» (19 agosto 1999):
L'ideologia del shareholder-value è una brutta perversione dell'economia sociale di mercato, che ci riconduce al vecchio capitalismo delle origini. Non va perso di vista il fatto che l'impresa è una comunità di persone. Quello che conta è sempre l'uomo, l'economia è fatta per servire l'uomo e la finanza è fatta per servire l'economia. Questa è la scala dei valori!

Ora che tutto è accaduto - ma altro dovrà accadere-, non è indifferente sapere che era ben possibile prevederlo, e ciò può dare un'idea di cosa significhi il potere di influenza dell'ideologia anche su ricercatori ed economisti non propriamente liberi di testa e da vincoli. Per non parlare della classe politica....
E tuttavia, siccome siamo nel bel mezzo del guado, non sarebbe male la lettura o rilettura di questo breve quanto denso libretto di 128 pagine, utilissimo a cogliere e a capire le attuali mosse - o i colpi di coda - del neoliberismo morente, il quale non incede per rivoluzioni di velluto.

Rodolfo Ricci www.emigrazionenotizie.org

Elvio Dal Bosco ha lavorato per molti anni presso il Servizio Studi della Banca d'Italia, dove ha diretto il settore di Economia Internazionale. Dal 1966 collabora alle ricerche promosse dall'Associazione Guido Carli. Ha pubblicato "Germania economica" (1987), "Guida alla Relazione della Banca d'Italia" (1988), "L'economia mondiale in trasformazione" (1993).