economia

Le meraviglie norcine della tradizione orvietana: intervista ad Andrea Oreto

mercoledì 30 agosto 2006
Andrea Oreto è, assieme al fratello Giampiero, uno degli artefici delle “collezioni” norcine più ricercate d’Orvieto. Di questo primato ne è - senza alcuna boria - consapevole, se non altro per la massa di ordinativi che intasa le sue giornate. Ma non è alla quantità che egli si rivolge. Andrea guarda alla qualità, a quello che si definisce il “buongusto”. Termine, quest’ultimo, da intendere alla maniera di Brillat-Savarin, come quell’attitudine “che dispone con sagacia, fa eseguire con sapienza, assapora con forza e giudica con profondità: qualità preziosa che potrebbe anche essere una virtù e che per lo meno è certamente la fonte dei nostri godimenti più puri”. Andrea, affrontiamo subito la questione della dimensione aziendale. La vostra produzione è apprezzatissima e la domanda cresce. Perché allora restare piccoli? Vogliamo mantenere una dimensione artigianale perché desideriamo esercitare un controllo totale sulla materia prima, sulle fasi di lavorazioni e sull’affinamento. La piccola dimensione, specie nel settore della gastronomia, garantisce la qualità. Non mi interessa quindi produrre di più (e magari guadagnare di più) rinunciando ad uno stile che poi è la nostra identità e il nostro piacere di fare le cose bene. Quali sono i prodotti che vi hanno consacrato nell’empireo della norcineria orvietana? Sicuramente la porchetta e il prosciutto, mentre la salsiccia secca, dal punto di vista dei volumi di vendita, è il prodotto nettamente più popolare. C’è poi da dire che la porchetta orvietana ha una identità tutta sua. È vero che in Italia la tradizione della porchetta non è prerogativa del nostro territorio. Tuttavia, la modalità di condimento e cottura (e quindi la qualità del prodotto finito) è nell’Orvietano completamente diversa. Tanto per capirci, l’uso delle spezie quali il finocchio selvatico, il trattamento dei “dentri” e la cottura con lo scolo appartengono alla nostra tradizione più autentica. La cottura, che concentra i sapori riducendo il peso della materia prima evitando al contempo l’effetto “carne lessa” è forse il segreto dei segreti. C’è, a tuo parere, un prodotto-simbolo della norcineria orvietana? Per storia, tradizione ed espressività il nostro prodotto-simbolo è la “coppa di testa”. Lo è per diverse ragioni, non ultima quella secondo cui la “coppa”rappresenta il passato rurale, “tempi di magra”. La “coppa” è davvero un reperto dell’archeologia dei sapori, un prodotto nato dall’ingegno con lo scopo di valorizzare le parti che oggi riteniamo “meno nobili” (testa, orecchie, naso, muso, ossa, cartilagini). Del maiale non si butta mai nulla… È vero, ma la “coppa” è in qualche modo speciale perché è un concentrato di invenzioni, di trovate aromatiche e gustative, di perfezionamenti secolari sedimentati nelle tecniche di preparazione. È un prodotto che ci ricorda che l’indigenza è davvero la madre delle invenzioni (anche le più saporite)…Per produrre la “coppa” utilizziamo gli ingredienti tradizionali, spezie e aromi rigorosamente naturali (pepe, arancia, cannella, noce moscata e altro) senza utilizzare né coloranti né conservanti. C’è uno stile vostro che amate veder riconosciuto? A pensarci bene, noi vendiamo un’esperienza del gusto. Il cliente non ci chiede un pezzo di maiale: ci chiede un pezzo di piacevolezza, una parte di emozione fatta di sapori. Mica sono cose facili… Mi assumo quindi la responsabilità di questa piacevolezza essendo consapevole che per raggiungerla non bisogna avere fretta. Ecco perché, per particolari ordinativi, chiedo al cliente un po’ di pazienza e di programmare l’acquisto in anticipo. Questo è lo stile che mi piace veder riconosciuto. Quindi il vostro è uno stile molto “slow” Penso di sì. Credo che tutto ciò che ha a che fare con l’enogastronomia di qualità debba essere in qualche maniera “slow”. Per quel che riguarda la norcineria, ad esempio, si possono abbreviare i tempi di lavorazione sostituendo il tradizionale sale grosso con altre metodiche. Ma dico: è davvero la stessa cosa? Io ne dubito. Se “slow” significa aver cura e rispetto della materia iniziale, dei tempi, delle maturazioni e affinamento, allora la nostra è una norcineria “slow”. Quali sono i clienti di Oreto? Gli orvietani, naturalmente, ma anche tantissime persone di fuori che vengono a Orvieto per il fine settimana. Lavoriamo molto, e con grande soddisfazione, pure con gli stranieri. Ci piace veder apprezzato il nostro lavoro da persone con lingue e culture diverse. Del resto, il buon cibo è uno dei modi più efficaci per promuovere la città. Cosa c’è nel futuro della Norcineria Oreto? A fianco della produzione “tradizionale” e destinata ad una vasta clientela, stiamo proponendo una “collezione norcina” elaborata a partire dalle carni di Cinta Senese (il Porco Cinturello Orvietani di Alfredo Angeli) e di cinghiale. Sono produzioni limitate e rivolte ad una nicchia specifica di clienti. Questa “collezione” può essere considerata, tanto per fare paragoni con il vino, una specie di “riserva”. C’è un episodio che ti ha lasciato un segno di soddisfazione? Mi sono trovato a cena con una bambina che non aveva mai mangiato la salsiccia perché allergica ai derivati del latte e ad una serie di conservanti (talora usati nella manifattura di questo insaccato). Quella volta l’ha mangiata: era una normalissima salsiccia di Oreto… Vedi lo speciale su "Norcineria Oreto" a cura dell'Associazione Gust'Arte