economia

Non cambia il ruolo delle donne nel mondo del lavoro in Umbria. Ancora molto da fare per un'equa valorizzazione delle differenze di genere

venerdì 17 febbraio 2006
Non cambia il ruolo delle donne nel mondo del lavoro in Umbria: la maggior parte delle lavoratrici sono ancora relegate al ruolo impiegatizio, con contratti a termine ed a tempo parziale. E' quanto è emerso stamani durante il convegno dal titolo "Donna?….30% in meno", organizzato dall'ufficio della consigliera regionale di parità, Marina Toschi, per illustrare il rapporto biennale 2002/2003 sulla situazione del personale maschile e femminile nelle aziende umbre medio-grandi. Lo studio è stato realizzato nel 2005 ed ha interessato aziende umbre con più di 100 dipendenti. "Su 153 aziende che avevano l'obbligo di presentare i loro rapporti hanno risposto solo 77. Ad ogni modo - ha detto Marina Toschi - siamo riusciti a monitorare la situazione del mercato del lavoro in Umbria. I dati sono parziali, visto che nell'indagine non sono state coinvolte le socie lavoratrici delle cooperative, le lavoratrici stagionali e le dipendenti della piccola impresa". Dalla ricerca emerge che il settore dell'industria occupa la maggioranza dei dipendenti umbri, di questi circa il 29,84 per cento è donna. La presenza delle donne continua ad essere forte soprattutto nel settore impiegatizio, mentre è marginale tra i dirigenti. "Nella scala gerarchica esiste ancora una barriera prodotta da stereotipi e mentalità tradizionali - ha riferito Marina Toschi - che impedisce alle donne di progredire ed accedere a posizioni di responsabilità. La progressione di carriera - ha aggiunto - dipende soprattutto da meccanismi di cooptazione e le donne sono valutate da superiori - uomini - che utilizzano anche inconsapevolmente criteri di giudizio non valutabili oggettivamente, come la fiducia". In generale il contratto più utilizzato continua ad essere è quello a tempo indeterminato applicato nel 62,14 per cento dei casi agli uomini. Sempre nello stesso periodo la trasformazione dei contratti da tempo determinato a tempo indeterminato ha interessato nell' 80,41 per cento degli uomini. La trasformazione del contratto da tempo pieno a part-time ha riguardato quasi esclusivamente le donne (77,50 per cento), così come i contratti a tempo determinato. "In generale le donne continuano sempre a fare ampio uso del lavoro a tempo parziale - ha detto Toschi - per la necessità di conciliare la doppia presenza nella vita professionale e familiare". Le nuove assunzioni sono concentrate prevalentemente nel livello operaio ed hanno interessato il 19,04 per cento delle dipendenti ed il 10,12 per cento dei lavoratori totali, mentre le uscite, a causa di pensionamento, licenziamento o dimissioni, hanno interessato il 27,91 per cento delle dipendenti ed il 16,31 per cento dei dipendenti. Sul fronte della retribuzione gli uomini guadagnano mediamente 3180,50 euro lorde annue in più rispetto alle donne. Le operaie sono quelle che subiscono maggiormente la discriminazione retributiva rispetto ai colleghi, con una busta paga inferiore del 25,23 per cento rispetto, seguono poi le dirigenti con il 22,79 in meno, le impiegate (12,95 per cento) e le quadro (12,74 per cento). "Probabilmente la differenza retributiva tra maschi e femmine è ricollegabile a ragioni strutturali - ha sottolineato Marina Toschi - come la sfavorevole collocazione delle lavoratrici in settori e livelli di inquadramento meno retribuiti o la loro esclusione da incentivi e straordinari. Certamente il mancato riconoscimento della professionalità delle donne spesso ne disincentiva il coinvolgimento nella professione, anche perché gli alti investimenti di tempo e di disponibilità richiesti dal sistema delle carriere mal si conciliano con il modello della doppia presenza. C'è ancora da fare molto prima che si possa parlare sia di parità che di valorizzazione equa delle differenze di genere - ha concluso la consigliera di parità - anche perché ancora oggi il lavoro di cura non è condiviso".