economia

Per lo sviluppo economico bisognerebbe cambiare completamente rotta.

venerdì 17 ottobre 2003

L'idea del futuro sviluppo economico vista dalla Cisl. Questo il senso della nostra intervista a Raffaele Trentini responsabile per l'Orvietano del sindacato di Pezzotta. Trentini ha spesso fatto sentire la voce della propria organizzazione sindacale nelle questioni piu' importanti della vita pubblica. Qualche tempo fa, ad esempio,  -  sintonia con la Cgil - assunse una posizione favorevole alla trasformazione dell'ex ospedale di piazza Duomo  in una struttura all'avanguardia nella cura delle malattie per anziani. Con noi parla soprattutto di economia e dei cambiamenti di rotta che alcuni auspicano nel ripensare il futuro sviluppo del territorio.

Visto dalla parte del sindacato, quale è lo stato di salute dell'economia orvietana?

Direi che è abbastanza critico. L'elemento di maggiore difficoltà è costituito dal fatto che la nostra zona si basa su settori che, in senso generale, non possono essere ritenuti quelli trainanti dell'economia. Personalmente sono stato sempre convinto che, pur essendo Orvieto un territorio a forte vocazione turistica, non può reggere l'urto di una crisi che si manifesta a livello regionale e nazionale. La verità è che senza un adeguato sviluppo nei settori tradizionali non si va da nessuna parte. Le iniziative legate al turismo vanno bene in un'ottica di completamento rispetto ad un quadro di occupazione e di sviluppo che debve essere di altra natura e cioè riconducibile alle industrie intese in senso tradizionale.

Che tipo di sviluppo industriale è dunque ipotizzabile?

Certamente  non si può pensare alle grandi  industrie della siderurgia o della chimica del passato, ma si dovrebbe senz'altro favorire lo sviluppo di aziende legate al settore manifatturiero oltre che a quelle che operano nel campo della trasformazione dei prodotti agricoli. Da questo punto di vista andrebbe certamente risolto anche il problema delle forniture delle materie prime che dovrebbero essere importate da alte zone. Questo per dire che un'industria di trasformazione agricola si può stabilire qui solo se ottiene delle misure di incentivazione davvero competitive con quelle che può ricevere da altre parti.

Lei ha spesso criticato il concetto di "sviluppo sostenibile", per quale motivo?

Perché una grande utopia e noi dobbiamo fare i conti con la realtà. Agli operai dell'Itelco che sono rimasti senza lavoro che cosa siamo in grado offrire? Un posto di lavoro al parco urbano del Paglia o ai laghetti per la pesca sportiva di Ciconia?  Se vogliamo far voltare pagina ad Orvieto è necessario partire dal presupposto che qualche concessione in termini ambientali è necessario farla. Se invece si continua a dire, come sento in continuazione, che qui possono insediarsi solo aziende ecocompatibili, allora questo significa che non si vuole fare assolutamente nulla. Questa espressione mi fa sorridere perché vuol dire chiudere la porta in faccia a molte attività che magari potrebbero aprire i battenti qui.

Perchè, fino ad oggi, non è stata battuta questa strada?

Ci sono vari motivi. Certamente la prima cosa che balza agli occhi è l'eccezionale collocazione strategico – geografica di Orvieto e la sua totale assenza di realtà produttive di carattere industriale. A parte questa mentalità legata al cosiddetto "sviluppo sostenibile", sono anche convinto che Orvieto abbia pagato e continui a pagare un pesante tributo alla sua mancanza di peso politico anche nel contesto regionale.  Nel contesto dell'Umbria Orvieto occupa in effetti una posizione tutt'altro che di rilievo. Lo sviluppo economico di Perugia e Terni, ma anche quello di aree geografiche maggiormente assimilabili alla nostra come, ad esempio, il comprensorio folignate - spoletino, ha compiuto enormi balzi in avanti rispetto a noi.

Che cosa significa mancanza di peso politico?

Significa che contiamo poco o niente nel contesto regionale in cui vengono prese le decisioni importanti. Il fatto che Orvieto sia un territorio importante per il partito di maggioranza che governa l'Umbria non significa che la città abbia il dovuto riconoscimento, anzi. Probabilmente sarebbe necessaria una sorta di ribellione all'interno di quel partito per poter poter contare di piu'.

Le responsabilità non saranno tutte della classe politica….

Assolutamente no, la classe imprenditoriale orvietana non può nemmeno essere definita tale dal momento che non esiste se andiamo a guadare bene.  Manca una strategia generale, sia a livello politico che imprenditoriale, che sia mirata allo sviluppo economico. Gli imprenditori bisognerebbe andarseli a cercare da fuori e fare di tutto per farli venire qui, utilizzando a tale scopo tutte le misure di incentivazione che possono esserci a disposizione.  La mancanza di capacità imprenditoriale costituisce un grave freno, ma anche l'incapacità di utilizzare al meglio le occasioni favorevoli è una colpa grave. Voglio, a tal proposito, ricordare la pioggia di miliardi che arrivò ad Orvieto con la legge speciale per la rupe e che non ha creato nemmeno un posto di lavoro stabile.

Che ne pensa dell'ipotesi di stringere le relazioni, anche economiche, con Viterbo?

Mi chiedo, e se dovrebbero chiedere tutti, se noi abbiamo maggiori affinità culturali con Viterbo oppure con Perugia o con Terni.   Mi piacerebbe molto se ad Orvieto fosse possibile ragionare tranquillamente di questi argomenti senza essere tacciato di voler fare la secessione dall'Umbria o di voler ricostituire la Tuscia ogni qual volta viene affrontato questo argomento.  Tutti dobbiamo ragionare a 360 gradi. Il tessuto economico di Orvieto si sta sgretolando sotto gli occhi di tutti. Basta guardare quello che è successo con l'Itelco. Mettere una toppa qua ed un'altra là con i posti di lavoro precari non basta piu'. Qui il problema non è rappresentato solamente dai giovani che il lavoro non lo trovano, ma anche dalle persone che lo perdono ad una certa età. Servirebbe un tavolo di concertazione dove poter discutere tutti insieme di questi argomenti, ma senza pregiudizi e senza la presunzione di qualcuno di parlare attingendo direttamente dal Vangelo.

Da piu' parti si manifesta una certa preoccupazione per la data del 2006  quando verranno interrotte le misure di incentivazione dell'Ue all'agricoltura. Quali saranno le ricadute in questa zona?

In realtà gi ci sono. Se guardiamo al settore del girasole, le incentivazioni comunitarie sono già state sospese. Il timore è legato al tabacco. Consideriamo che oggi, ogni produttore percepisce un'integrazione di 300 euro per ogni quintale di tabacco che, venduto alle multinazionali, viene in realtà pagato 90 euro al produttore.

Quale è il bilancio dei Patti Territoriali?

Dal punto di vista delle opere infrastrutturali, il Comune è riuscito a farsi finanziare importanti opere, ma dal punto di vista delle imprese private ci sono stati solamente una quindicina di progetto, la maggior parte dei quali nel campo del turismo con una minima ricaduta in termini occupazionali.