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29 aprile, giorno dedicato a Santa Caterina da Siena. Lo straordinario impegno politico della patrona d’Italia e d'Europa

martedì 29 aprile 2008
di laura
Nel 1347, anno in Europa della peste nera, nasce a Siena Caterina, da Giacomo Benincasa tintore e dalla moglie Lapa. Era stato un parto gemellare, in una famiglia numerosissima – ben venticinque figli – anche per quei tempi. Fra tutti Caterina si distinse presto per l’inclinazione spirituale e il forte carattere. Ancora bambina cominciò a praticare forme estreme di ascetismo, digiuni, penitenze e veglie, e a isolarsi, pur in casa, come una eremita. La sua caparbietà ascetica, l’anorresia radicale non erano tuttavia masochismo o volontà di autodistruzione, ma una forma di esaltazione gioiosa, dovuta all’amore di cui si sentiva investita, a quell’assolutezza di felicità propria dell’esperienza mistica. Singolare era – ma non unico all’epoca – il fatto che svolgesse questo suo ascetismo tra le mura domestiche, senza mai sentire il bisogno di ritirarsi in uno dei conventi di suore che da più di un secolo sorgevano in tutta Europa nello spirito mendicante di san Francesco e di san Domenico. Tra i 15 e i 16 anni Caterina esce tuttavia dal suo isolamento e si dedica ad opere di misericordia. Viene iscritta alle Mantellate, un gruppo di signore benestanti e spesso vedove che aderivano come laiche al Terz’Ordine di San Domenico e che praticavano una regola comune, l’elemosina e l’assistenza. Ma la tradizione vuole che il carattere così assoluto di Caterina, e forse anche la sua condizione sociale, dessero qualche fastidio: si dedicava infatti agli ammalati e agli emarginati di ogni condizione ed età senza alcuna precauzione mondana, con un’autenticità e una totalità di dedizione che sbalordivano e scandalizzavano le ben più prudenti dame. Fin verso il 1370, anno in cui compie 23 anni, la sua vita si divide tra rigori e visioni in casa e la dedizione esterna in città. Nel frattempo il papato, sconvolto da varie vicissitudini nel passaggio dal XIII al XIV secolo, aveva assai indebolito il suo ruolo sia spirituale che politico. Roma era di nuovo divisa dalla lotta tra potenti famiglie: Caetani contro Colonna; Bonifacio VIII contro i francescani e i celestini - seguaci del Celestino V del gran rifiuto, papa-monaco per pochi mesi – e i Colonna a proteggerli; Bonifacio a difendere i privilegi del clero in Francia, contro Filippo il Bello che, stretto dalla guerra con l’Inghilterra, ha bisogno di tassare tutti; fino allo scontro del 1303, alla cattura del papa e alla sua umiliazione ad Anagni per mano dei Francesi e dei Colonnesi. Poco dopo il papa francese Clemente V, che già nel 1305, dopo la sua elezione a Perugia, si era stabilito in Francia, trasferisce ad Avignone la sede pontificia (1309). Iniziano così alcuni decenni in cui il ruolo universale del papato si affievolisce per la pesante tutela dei re di Francia e, in Italia, se ne indebolisce il ruolo politico, per le pressioni di indipendenza di molte città, da Bologna, a Perugia, a Firenze. Il ritorno a Roma di Urbano V, salutato da alcuni come una svolta possibile della difficile situazione, non è che un breve e ininfluente intervallo: nel 1370 il papa riprende la via di Avignone. È proprio in questa occasione che la vita di Caterina cambia radicalmente. La giovane donna ha una visione, che le conferisce nuova forza e diversa autorevolezza e che muta il suo ruolo sociale. Non più la cella rifugio della sua casa e l’operare misericordioso nella città; ora, come lei stessa dirà, la sua cella eremitica sarà solo interiore, mentre la sua esistenza sarà proiettata nella vita pubblica e nella storia. Si sente guidata ad affrontare il mondo e diventa una donna immersa nella politica che tiene testa, in Italia come ad Avignone, a signori, cardinali, soldati, al papa Gregorio XI stesso, che con suppliche, preghiere e comandi in nome di Dio, esorta ad operare una riforma che esuli dalle cose temporali – il giudizio da lei espresso sulla Chiesa e i suoi costumi è durissimo – e a riportare il papato a Roma. Il fatto appare certo straordinario: del tutto ignorante affronta con la parola, con le lettere, con l’azione politica i maggiori problemi del momento, e con un coraggio e una lungimiranza che sono davvero sorprendenti; per il carattere della sua esperienza, il titolo che meglio potrebbe definirla è quello di “profeta”. È noto come siano andate le cose. Caterina contribuì senza dubbio a determinare Gregorio XI a riportare la sede a Roma: di fatto, nonostante le opposizioni francesi, nel 1376 il trasferimento si realizzò. Ma l’unità della Chiesa andò subito dopo in frantumi e con essa la possibilità di un papato universale. Morto Gregorio nel 1378, gli succedette Urbano VI, un papa italiano, e a lui fu contrapposto il francese Clemente VII. Caterina vedeva così fallire quanto aveva ardentemente desiderato e, riguardo alla pace da predicare e favorire, tema al quale si era incessantemente dedicata, nessun margine di possibilità, giacché addirittura due papi si facevano guerra. Stremata dal rigore ascetico, dagli impegni politici, dal desiderio del cielo, dal contrasto tra visione e realtà, morì a Roma il 29 aprile 1380. Se per una figura come la sua - emblema e simbolo fuori dal comune tempo mortale - l’età può avere una qualche importanza, aveva 33 anni: gli anni di Cristo. Aveva trascorso i dieci anni della sua attività profetica circondata da una singolare comunità di uomini e donne, che la accompagnavano nei suoi viaggi, scrivevano le lettere che lei, analfabeta, dettava, ascoltavano i suoi insegnamenti, attratti e dominati dal suo ardore e dalla sua forte personalità. Si era mossa tra le liti delle città italiane e delle loro fazioni, si era occupata di politica ma senza il minimo interesse al potere. Anche nei momenti di sconforto, è come divorata da una sorta di amore universale. Avverte fino in fondo il suo insuccesso, ma la forza che la spinge, la voce divina che sente parlare nel suo intimo, è troppo forte perché possa arrendersi e tacere.