cultura

Il sogno della fede

venerdì 21 settembre 2018
di Mirabilia-Orvieto
Il sogno della fede

Il sogno di Giuseppe di Nazareth

"Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse..." (Marco 9, 30-37)

Non si può certo dire che quella di Cristo sia una parola facile da capire. In fin dei conti ogni profeta o sapiente della terra pone interrogativi profondi e spesso incomprensibili che sembrano un po’ lontani dalla semplice realtà quotidiana.
Tutto però si semplifica quando si riesce ad intuire l’angolazione attraverso la quale Gesù vedeva e viveva la propria esistenza, come nel caso del Vangelo di questa settimana.
Il Maestro si trova in Galilea. Il suo era un viaggio in segreto, lontano dalla gente, per rivelare ai discepoli il senso profondo della sua missione. Ma a turbare gli animi di quei pescatori furono queste parole: “Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà”.
Uno scenario sicuramente non incoraggiante. Niente infatti avrebbe fermato l’opposizione delle autorità religiose che avrebbero fatto del tutto per eliminare l’uomo venuto da Nazareth. L’annuncio della sua morte sembra oscurare completamente quello della sua resurrezione, troppo fuori da qualsiasi comprensione umana. L’inquietudine è così forte che i discepoli non osano chiedere nulla al loro maestro.
Sofferenze e tribolazioni per Gesù e, probabilmente, anche per chi l’avesse seguito.
Come non rassegnarsi allora a considerare questa vita una “valle di lacrime” - reciterà secoli più tardi la preghiera della Salve Regina - e gli uomini come “esuli figli di Eva”, in perenne esilio in una terra che non è la loro vera patria?

Rachele che piange per il suo popolo in esilio

Del resto anche nell’immaginario dei discepoli, che era quello del popolo ebraico, la visione della vita non era poi tanto diversa.
La conferma si trova nelle parole del libro del Qoèlet, scritto circa tre secoli prima della nascita di Cristo: “Quale profitto c'è per l'uomo in tutta la sua fatica e in tutto l'affanno del suo cuore con cui si affatica sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e preoccupazioni penose; il suo cuore non riposa neppure di notte...tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere”.
Se dunque è questa la condizione umana, ai discepoli non rimane altro che cercare di “sopravvivere”, rinviando ogni speranza di felicità ad un’altra vita dopo la morte.
Ma a smontare letteralmente il pregiudizio è lo stesso Gesù che invece di impartire una lezione di teologia, sorprende tutti con un atteggiamento davvero insolito: "E preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse: Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me...".

Emil Nolde, Gesù e i bambini, 1910

Quello di Cristo potrebbe sembrare un gesto sentimentale o poetico, interpretato così da un certo cattolicesimo romantico-borghese, ma in realtà nasconde qualcosa di veramente profetico. Chi infatti può incarnare la fede meglio di un bambino? Egli non fugge dalla vita, perché la ama ed è attaccato ad essa. La sua è infatti una vita in “tensione”, in trasformazione, una vita che guarda al futuro.
In questa condizione non fa calcoli, non si risparmia, non guarda ai rischi che corre, piuttosto ascolta il proprio cuore che lo spinge costantemente e tenacemente a proiettarsi in avanti, verso la propria felicità...la realizzazione di un sogno!

Abramo che contempla la sua discendenza

Senza sogni non si può vivere, senza sogni non può partire nulla di importante. Basta pensare al sogno di Abramo e di sua moglie Sara che, seppur vecchi e sterili, vissero il miracolo di stringere tra le braccia il tanto desiderato figlio Isacco; oppure al sogno di Giuseppe che, venduto come schiavo dai fratelli, si riscatta completamente diventando addirittura l’uomo più potente della nazione più potente della terra; o ancora al sogno del centurione romano, un pagano, che dopo tre giorni di viaggio chiede e ottiene da Gesù la guarigione dell’amato servo.
I figli di Dio non cedono alla disperazione, non si rassegnano all’idea che nulla potrà cambiare, non si abbandonano a un destino ormai certo. La loro vita non è una “rinuncia” in nome di un’esistenza posta nell’aldilà. Credere è quindi vivere il presente e vivere il presente è sognare!

Il centurione di fronte a Gesù

La fede è una forza che mette in movimento, che spinge ad uscire dallo status-quo, per avventurarsi alla ricerca di qualcosa di migliore e di più grande: “la fede - scriveva il filosofo Paul Ricoeur - non è tanto incremento di senso, quanto incremento di azione”.
Ciò che conta è la fiducia, intuitiva e sapiente, che riesce ad aprire inaspettati e sorprendenti orizzonti, donando quella predisposizione d’animo per pensare e agire come bambini. Ecco perché nel Vangelo a non credere non sono i peccatori, ma sono quelli che per primi avrebbero dovuto accogliere e promuovere il messaggio di Gesù. Sacerdoti, Scribi (i teologi ufficiali del tempo) e Farisei non capiscono né chi sia Lui, né il senso delle sue parole.
Ma per chi, a partire proprio da quelle parole, ascolterà e si metterà a disposizione di istanze che vanno ben al di là della semplice ragione, tutto acquisterà un’altra luce, un altro senso, un altro spirito, anche in mezzo a mille ostacoli e difficoltà.
Come scriveva Hermann Hesse, “bisogna trovare il proprio sogno perché la strada diventi facile”.

Gustav Klimt, Le tre età della vita, 1905