cultura

Il Corpo del Signore: pane di liberazione

sabato 2 giugno 2018
di Mirabilia-Orvieto
Il Corpo del Signore: pane di liberazione

Ugolino di Prete Ilario, La deposizione, Cappella del Corporale

 

"Dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi" (Mc. 14,26)

Chissà cosa avranno pensato i discepoli quando Gesù, giunto a Gerusalemme, indicò un luogo sconosciuto dove celebrare la Pasqua?
Egli aveva già affittato “una grande sala, arredata e pronta” per vivere in intimità, insieme ai suoi, questo momento. Come tutti gli ebrei, i dodici avrebbero dovuto consumare un solenne banchetto in memoria dell’epica liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù d’Egitto.
L’usanza prevedeva che il capofamiglia, o chi per lui, benedicesse il pane azzimo, cioè un pane privo del lievito vecchio (Es 12,15), a rendere presente il senso di quella liberazione dove i padri lasciarono alle spalle il passato per aprirsi ad un nuovo futuro.

Sant’Angelo in Formis, Ultima Cena, Capua

Tuttavia, quando Cristo prese il pane per benedirlo non rievocò la pasqua del suo popolo, ma il suo passaggio dalla morte alla vita che presto avrebbe sovvertito tutte le logiche del mondo.
Così, dopo la cena, contrariamente all’usanza di rimanere chiusi nella propria casa, i discepoli uscirono verso il monte degli Ulivi, rallegrati da quello che avevano sperimentato interiormente quella notte attraverso le parole e i gesti del loro maestro. Essi potevano gioire perché la promessa del Regno di Dio stava per superare ogni umana aspettativa. Nella prospettiva biblica il memoriale della Pasqua è infatti il segno, il sacramento dell’agire di Dio nella storia, un Dio che libera e salva, chiamando ciascuno a rispondere con la fede anche di fronte a scelte difficili.

La Vergine sotto la croce, Icona del Sabato Santo

Basta ricordare la storia di Mosè, che tra innumerevoli pericoli e avversità lasciò la tranquilla terra di Madian per andare a liberare il suo popolo, o la stessa vita di Maria di Nazareth che non fu risparmiata dalla sofferenza di una grande prova: “Anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2,35).
La spada che trafiggerà l’anima di Maria non sarà solo il dolore di una madre di fronte alla morte violenta del figlio, ma la parola tagliente di Cristo che inevitabilmente chiamerà la donna a scegliere tra le tradizioni da cui proveniva e il nuovo messaggio evangelico. In lei la fede non è stata mai una fuga dalla realtà, un rifugio devoto. Al contrario, è stata proprio lei a capire per prima che il quotidiano, con tutti i suoi limiti, la sua banalità, i suoi drammi e il suo profondo non senso, poteva finalmente aprirsi all’eterno, al trascendente, all’ineffabile.

Ugolino di Prete Ilario, L’ultima cena, Duomo di Orvieto

Nella medioevale Cappella del Corporale del Duomo di Orvieto, difronte alla scena della crocifissione, il pittore Ugolino di Prete Ilario (1357-1364) rappresenta la sua istantanea dell’ultima cena, mostrando il momento in cui il Cristo, dopo aver istituito l’eucarestia, la distribuisce agli apostoli riconoscibili dal loro nome. Seduto al centro della tavola, egli tiene in mano le ostie e il calice, mentre sulla mensa sono serviti il pane, il vino e l’agnello della cena ebraica. La concomitanza delle due realtà sottolinea il passaggio dalla Pasqua ebraica, l’Antica Alleanza, a quella cristiana, la Nuova Alleanza, dove Cristo è il vero agnello immolato per la salvezza del mondo.
A destra del Salvatore si trova Pietro che riceve la prima eucarestia; a sinistra è seduto l’apostolo Giovanni, anch’esso in attesa di nutrirsi del Corpo del Signore.

Ugolino di Prete Ilario, L’ultima cena, particolare

L’ostia che rimane come in “sospeso” tra la mano di Cristo e la bocca di Pietro sembra fissare, in un eterno presente, il dono dell’eucarestia che continua a perpetuarsi lungo i secoli, nell’oggi di ogni tempo. In risposta alle dottrine eretiche dell’epoca che negavano la verità del sacramento, il suggestivo particolare riaffermava in modo suggestivo l’origine divina dell’eucarestia donata da Cristo all’unica e vera Chiesa.
Di fronte a Gesù, separato dal resto della comunità, è la figura di Giuda Iscariota che, rivolgendo lo sguardo verso lo spettatore, è tentato da Satana aggrappato alle sue spalle. Il traditore manifesta tutto il suo rifiuto al Figlio di Dio, secondo le parole del Vangelo “egli prese il pane, ma non lo mangiò” (Gv 13,30).
L’artista cerca così di provocare l’osservatore spingendolo a riflettere sul mistero stesso della Chiesa: appartenere alla comunità degli intimi di Gesù non è garanzia di salvezza, perché chiunque può cadere in tentazione e tradire il proprio amico.