cultura

La "Passeggiata Pede(rupe)stre" di Italia Nostra rivela croci incise nella roccia

lunedì 11 settembre 2017
di Davide Pompei
La "Passeggiata Pede(rupe)stre" di Italia Nostra rivela croci incise nella roccia

Urgenze storiche, naturalistiche, archeologiche condensate in una manciata di pochi, suggestivi, chilometri lungo l'itinerario urbano Fortezza Albornoz – Fontana di San Zeno – Necropoli di Cannicella e Crocifisso del Tufo – Porta Vivaria. Li hanno percorsi nel tardo pomeriggio di venerdì 8 settembre i diciannove partecipanti di "A' piedi per la Rupe. Passeggiata Pede(rupe)stre nell'Archeopaesaggio Orvietano", il quarto annunciato appuntamento promosso dalla Sezione di Orvieto di Italia Nostra in collaborazione con Sottosezione CAI di Orvieto e Cittaslow.

"Al quale – assicura il presidente Lucio Riccettine seguiranno presto degli altri, così da consentire una lettura del territorio, attraverso la formula itinerante delle passeggiate non competitive ma divulgative, abbracciata in maniera soddisfacente già da altre realtà locali". Perché "passeggiare per retii e vicoli, sulle ripe merlate, dentro gli ipogei – suggerisce Silvio Manglaviti, cicerone ancora una volta dei camminatori – è immergersi e respirare millenni di civiltà. Orvieto è la sua Rupe. Scendere ai piedi è sfogliare pagine di storia, geologica e culturale".

"Passando sotto le porte della rocca albornoziana ed i fornici della Posterula, dove un tempo troneggiava la statua di Papa Bonifacio, alias Porta Soliana – che deve il nome al solium, verosimile ancestrale puntatore, diottra rupestre rivolta alla levata dell’equinozio primaverile, come se ne trovano in tante parti del pianeta e che i progenitori utilizzavano per determinare orientamenti e cicli stagionali –, ci si ritrova nel bel mezzo del ground sourge di quel vulcanesimo vulsinio quaternario che trecentomila anni fa generò anche la mesa orvietana.

Ignimbriti farcite di fenocristalli e tronchi fossili (come per i calchi pompeiani, questi della Rupe orvietana, testimoni delle foreste che tappezzavano i colli argillosi nel periodo marino e fluvio-lacustre plio e plesistocenico precedente l’attività eruttiva); lenti di pozzolane, ceneri sedimentate con bombe, lapilli, pomici, … materiali incoerenti alla mercé dell’erosione meteorologica e delle bizzarrie climatiche. I travertini che li sovrastano incombenti.

Scarpinando tra i capperi pensili e la mentuccia fiorita profumatissima, torna l’eco del suburbio, la città di sotto, di cui restano i ruderi (Madonna della Rosa), le fonti (San Zero, del Leone), la frequentazione troglodita ancora in epoca storica. Dopo l’antica Porta di Santa Maria, il bosco di lecci cinge il santuario e la Necropoli della Cannicella, sulla leggendaria Via Heracleia, la strada ceretana che da Caere veniva a Velzna. Naso all’insù: sulla rupe, colombari e pozzi a sezione quadra con pedarole.

Dal Salto del Livio, sotto l’antica Porta Pertusa, il Foro Boario e l’ingresso ottocentesco di Porta Romana (la statale Cassia attraversava la città e proseguiva dopo l’omonima Porta Cassia sotto la Confaloniera sull’odierna Umbro-Casentinese, così ridenominata dopo gli anni ’50 del secolo scorso). Un cerchio di sampietrini segna la presenza dell’acquedotto medievale che dal Fosso Montacchione, incanalato sull’Arcone, risaliva sin dentro le rupi alimentando le fontane e i serbatoi.

Da Porta Maggiore, fulcro viario urbico antico della tenuta civitatis tra i borghi, dentro la cortina muraria di Surripa, di Sant'Angelo, San Faustino e San Matteo che si spingevano al Rio Chiaro dov’era il cassero di Porta Camollia (come si vede negli affreschi della Cappella del Corporale, in Duomo), si giunge alla cappella scavata del Crocifisso del Tufo che dà il nome alla necropoli etrusca sottostante. Prima di guadagnare Porta Vivaria, lo sguardo si lascia rapire dalle croci rupestri sotto Sant'Agostino.

Incise nella roccia, una croce patente e una croce patriarcale di dimensioni ragguardevoli e finemente scolpite; differenti dalle incisioni cruciformi disseminate su tutto il perimetro delle pendici a segnare le antiche zone di cava. Sono croci usate anche dai cavalieri crociati; dai Templari, dagli Hospitalieri di San Giovanni, ordini presenti ad Urbs Vetus e nel Comitatus. Mai furono più vere le parole, annotate nel 1968 da Mario Bizzarri in 'Magica Etruria' sul 'vagabondaggio capriccioso per le città morte e le città vive d’Etruria sollecitando da queste e da quelle la conferma della permanente validità di un dialogo intimo fra il nostro spirito e ciò che resta di quel mondo antico".

Per ulteriori informazioni:
orvieto@italianostra.org