cultura

Il tesoro nascosto

venerdì 28 luglio 2017
di Mirabilia-Orvieto
Il tesoro nascosto

Foto 1: Gerrit Dou (su disegno di Rembrandt), Parabola del tesoro nascosto, 1630


Il Regno dei Cieli è simile ad un tesoro nascosto in un campo”.
(Matteo 13,44)

Vi è mai capitato nella vita di trovare qualcosa di veramente prezioso che vorreste tenere tutto per voi?
Ebbene, nella prima delle tre parabole del Vangelo di questa domenica accade proprio così.
Il Regno di Dio è infatti simile a un tesoro nascosto in un campo. Un uomo lo trova, lo nasconde di nuovo, per non farlo trovare ad altri, e pieno di gioia, vende tutto quello che ha e compra quel campo.
E’ questa la costante della predicazione di Gesù che esplode nelle sue incredibili parabole, rivelando una visione di Dio completamente nuova rispetto alla fede del passato, quella del Vecchio Testamento.
Il Dio dell’osservanza alla Legge, dei precetti, dei sacrifici al Tempio, improvvisamente sparisce per lasciare il posto a un Dio che non giudica, e che vuole per ciascun uomo il massimo bene, qualcosa di infinitamente grande.
Il racconto però, mette il lettore di fronte a un mistero: il tesoro non si può portare via da quel campo, non può essere trafugato. Perché?
Forse perché, a pensarci bene, il tesoro potrebbe essere così grande da non poter essere trasportato, un po’ come accadrebbe se oggi qualcuno trovasse in un terreno non suo, un pozzo di petrolio.
Per questo l’uomo della parabola è costretto, ed è ben felice di farlo, a vendere tutto ciò che possiede per comprare quel campo e diventarne il padrone.
Il Regno di Dio non è dunque per i ladri o gli approfittatori, non è per gli uomini corrotti o i mercenari (ricordate la parabola dei lupi e del gregge?), i quali non rischiano mai nulla e non hanno nulla da perdere, ma è per chi sa spendere la propria vita, sa investirla, sa metterla in gioco.
Del resto il valore degli averi che l’uomo vende corrisponde esattamente al valore del campo, come a dire che ciascuno ha, nella sua vita, esattamente quanto gli serve per ottenere la pienezza della sua realizzazione.
Nello spirito della parabola, il legame tra il campo in cui è nascosto il tesoro e il tesoro stesso può contenere un altro significato.
Il campo del tesoro è infatti il simbolo di una realtà nuova.
Vendere i propri beni per il campo significa perciò passare ad un’altra situazione, ad un’altra vita, diversa dalla precedente. Chi vende tutto per qualcos’altro non si trova più dove era prima, nel luogo che ha sempre conosciuto, ma trasferisce se stesso per radicarsi altrove: solo chi diventa proprietario del campo può mettere le mani su quella fortuna inestimabile che è la vera felicità.
E tutto questo, secondo il Vangelo, non è impossibile, ma è a portata di mano. In un altro passo Gesù dice infatti: “Il Regno di Dio è in mezzo a voi, è dentro di voi” ( Lc.17,21).
Bisogna quindi essere disposti a sacrificare qualcosa di importante per entrare in possesso di un bene ancora più grande. La parabola dice che il poco o il tanto che si ha (agli occhi di Dio sempre misera cosa!), potrà essere moltiplicato mille e mille volte se si crede al Vangelo, al sogno di Cristo, alla sua straordinaria promessa.

Foto 2 Heinrich Hofmann: Cristo e il giovane ricco

Quando Gesù parla, sembra che non valga il detto “chi si accontenta gode”. Ai discepoli che, dopo aver visto il giovane ricco andarsene perché troppo attaccato ai suoi beni, chiedono a Gesù cosa riceveranno in cambio, per aver lasciato tutto, egli risponde: “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli per il mio nome riceverà cento volte di più e avrà in eredità la vita eterna” (Matteo 19,29).
Gesù non è il “povero” che promette una vita piccola e misera, ma è l’uomo che promette, a chi crede, vita abbondante, in beni materiali e spirituali.
Di fronte ad un cristianesimo talvolta minimalista, intento a predicare il disprezzo di sé e del mondo, la parabola insegna che l’uomo del Vangelo erediterà non solo il cielo ma anche la terra. Contrariamente al proverbio “chi si accontenta gode”, in realtà non gode affatto, anzi vive una vita rassegnata e quindi profondamente e infinitamente infelice.
L’uomo delle parabole non gioca mai di rimessa, non si adatta, non vive una vita di rinuncia e privazione, ma cerca e guarda in avanti e, pieno di aspettative, rilancia sempre, perché è avido di vita e di felicità. E “anche se non possiamo che ritenerci fortunati per quanto la vita ci ha dato, una famiglia, una casa, un buon lavoro e dei figli da amare e che ci amano, eppure, nel nostro profondo, noi tutti nutriamo aspettative infinite che solo Dio può appagare” (Massimo Diana, filosofo).
Probabilmente, come aveva già intuito Sant’Agostino, solo un Assoluto è capace di saziare e colmare l’inquietudine del cuore umano: “il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te”.
Così invece di lasciare l’uomo abbandonato alla tentazione di servirsi di ogni mezzo, lecito e illecito, per trovare nella vita una qualche forma di realizzazione, Gesù riempie con la sua parabola questo buco, questo vuoto infinito.

Foto 3 Giotto: Vita di San Francesco, particolare della spoliazione.

E’ questo il messaggio che illumina e trasfigura interiormente la vita del giovane Francesco di Assisi, il quale rinunciò alle ricchezze paterne, quelle di un ricco mercante del mondo, per diventare “padrone” del mondo intero.
Sta qui l’ambizione “celeste”, di Cristo e dei suoi discepoli.