cultura

Conosciamo meglio i nostri vicini: il quartiere "la Cava" di Orvieto

venerdì 26 febbraio 2016
di Marco Sciarra
Conosciamo meglio i nostri vicini: il quartiere "la Cava" di Orvieto

Via della Cava, con le viuzze, i vicoli e le piazzette adiacenti, costituisce il nucleo più antico e forse meglio conservato del quartiere medievale, che si estende da San Giovenale fino a San Giovanni. Secondo alcuni storici il nome deriverebbe dalla presenza, nella zona, di una antica cava di tufo, ma è molto più probabile che la denominazione stia semplicemente a ricordare l’origine artificiale di quella che per secoli ha costituito l’unico accesso alla città, come testimoniato da Procopio di Cesarea nel descrivere l’assedio e la liberazione di Orvieto da parte di Belisario (De Bello Gothorum, VI sec.).

Del periodo etrusco rimangono importanti resti di un muro di cinta, o di terrazzamento, scoperto nel 1965 dall’archeologo Mario Bizzarri. La presenza del muraglione, identificato con il “teikos” (la fortificazione di cui parla lo storico bizantino Zonara), confermò le ipotesi che volevano che la città più importante della dodecapoli etrusca fosse proprio Orvieto.

Da sempre terra di confine tra città e campagna, simbolo dell’ascesa dal contado verso i palazzinobili, la Cava conserva innumerevoli tracce del periodo medievale, come i resti di alcune fornaci per la produzione di ceramica e i numerosi “butti”, ovvero piccoli pozzi scavati negli scantinati per gettarvi i rifiuti. Al Medioevo risalgono anche le pittoresche abitazioni della zona, addossate, quasi aggrappate l’unaall’altra lungo la salita, che fino alla metà del ‘900 ospitava botteghe artigianali di ogni tipo.

La Madonna della Cava
Posta a metà della via omonima, la chiesina della Madonna della Cava è uno dei più piccoli santuari mariani d’Italia. L’aspetto attuale è il frutto dei restauri secenteschi che hanno trasformato in un tempietto barocco la preesistente chiesa medievale della confraternita dei fabbri, dedicata a Sant’Eligio, protettore dei lavoratori dei metalli. Pur rimanendo affidata alla stessa confraternita, che nel frattempo aveva preso il nome di «Universitas Fabrorum», dopo i restauri, nel 1640 la chiesa fu dedicata, per volontà popolare, alla Madonna, venerata col titolo di Beata Vergine della Presentazione e rappresentata da un affresco quattrocentesco posto sull’altare maggiore, probabilmente distaccato dalla fontana che si trovava sulla facciata esterna dell’edificio.
Il santuario, affidato ancora oggi alle cure degli abitanti del quartiere, è stato recentemente riaperto dopo alcuni lavori di consolidamento ed è tornato ad essere la meta di un intenso culto mariano.

Porta Maggiore – l’ingresso dei papi
In fondo a Via della Cava si trova quella che fino all’800 è stata la principale porta di accesso alla città, e che per questo è da sempre chiamata Porta Maggiore. Anticamente era costituita da due arcate gemelle, molto più alte dell’apertura attuale e, dalla fine del ‘200 alla fine del ‘900, ha ospitato la statua di Papa Bonifacio VIII.

Di fronte alla porta sorgeva anticamente la chiesa di Nostra Signora della Fonte, costruita nel 1490.Fu abbattuta nel 1644 per realizzare alcune fortificazioni durante la guerra di Castro, scoppiata per la spartizione di potere sul territorio papale tra le famiglie Barberini e Farnese; non risulta perciò strano che Papa Urbano VIII, al secolo Maffeo Barberini, abbia anteposto le ragioni del conflitto alle proteste dei fedeli che si opponevano alla demolizione della chiesa.

Dell’edificio, di cui non ci è pervenuto nemmeno un disegno, resta soltanto la piccola fonte con una targa commemorativa in ceramica. Poco distante si trova la ex chiesa della Madonna del Velo, recentemente restaurata per diventare uno degli ingressi del Parco Archeologico Ambientale.

Era da Porta Maggiore che, fino al XIX secolo, entravano i papi in visita alla città. Il percorso che,attraverso Via della Cava e la attuale Piazza della Repubblica, conduceva al Duomo, era ogni volta addobbato con archi d’onore e scenografie effimere realizzate per l’occasione. In particolare, sulle pareti delle misere abitazioni di Via della Cava, venivano spesso poste delle finte facciate in legno che davano l’impressione di passare tra alti palazzi sontuosamente decorati. Queste scenografie erano provviste di aperture in corrispondenza alle porte e alle finestre delle case retrostanti, così che gli abitanti, affacciandovisi per ammirare il corteo papale, contribuissero ad accrescere il realismo di quelle finte architetture.

Storica rimane la visita del 1536 di Paolo III Farnese, particolarmente amato per le origini orvietane della sua famiglia; per quella circostanza furono commissionati a Simone Mosca ben otto archi trionfali.

La Cava vista dai quartieri nobili
È forse affacciandosi dalle vie e dalle rupi attorno a San Giovenale che si percepisce meglio che altrove l’importanza che aveva nei secoli passati la collocazione di case e palazzi: i nobili medievali non risiedevano mai lungo una strada in discesa, e realizzavano i loro imponenti palazzi e le loro torri lungo le vie che erano allo stesso livello delle principali piazze della città.

Forse l’unica eccezione era costituita dalla torre di uno dei figli di Stefano Filippeschi (abbattuta nel 1313), edificata in Via della Cava e la cui collocazione è stata individuata nel cortile che si scorge affacciandosi dal parapetto di fronte al Palazzo Filippeschi-Simoncelli, ora facente parte del complesso archeologico del Pozzo della Cava. Anche in quel caso, comunque, i nobili entravano dall’alto, riservando alle stalle e agli alloggi della servitù i primi tre o quattro piani necessari a colmare il dislivello con Via Malabranca.

Il Pozzo della Cava –ventotto secoli di storia in nove grotte
Il suggestivo complesso archeologico del Pozzo della Cava si snoda attraverso nove sotterranei che ospitano interessanti ritrovamenti etruschi, medievali e rinascimentali riportati alla luce solo negli ultimi anni, dopo diversi secoli di abbandono.

Il profondo pozzo da cui l’intero sito prende il nome fu scavato, utilizzando una preesistenza etrusca ancora visibile, per volere di Papa Clemente VII che, rifugiatosi ad Orvieto nel 1527, ne ordinò la realizzazione per potervi attingere acqua sorgiva in caso di assedio.

Quanto ai motivi della sua chiusura al pubblico, avvenuta per volontà comunale nel 1646, una credenza popolare vuole che vi siano stati gettati cinque ufficiali francesi che avevano tentato di violentare alcune ragazze della via. Accanto al pozzo è possibile ammirare, tra gli altri ritrovamenti, una cisterna etrusca, qualche butto, le fondamenta di una casa-torre duecentesca, una cantina medievale e i resti di alcune tombe rupestri arcaiche, che rappresentano le uniche sepolture risalenti al primo periodo di permanenza degli Etruschi ad Orvieto finora rinvenute nel nostro territorio.

Di assoluto interesse anche i locali adoperati nel Medioevo e nel Rinascimento per produrre ceramica: sono visibili i resti di due fornaci e parecchi frammenti di terracotta, maiolica e lustro, oltre ad alcuni stampi e strumenti di lavoro.

Un pozzo di sorprese
Dal 1984, anno della riscoperta del Pozzo della Cava, gli scavi realizzati nei sotterranei che ne costituiscono il percorso di visita e le ricerche che ne sono seguite hanno contribuito a riscrivere parecchie pagine della storia cosiddetta “minore” di Orvieto.

Il ritrovamento della prima fornace nel 1985 e della muffola nel 1998, ad esempio, oltre a dimostrare una produzione di maiolica anche nel XV e nel XVI secolo (ritenuti fino ad allora i periodi bui della ceramica orvietana), hanno fatto sì che Orvieto sia ora annoverata tra pochissimi centri in cui vennero realizzati i preziosi “lustri” rinascimentali, famosi per l’iridescenza dei loro colori.

Ma la scoperta più singolare porta la firma del ricercatore orvietano Lucio Riccetti che, nel 1999, studiando gli scritti di Antonio da Sangallo il Giovane, ha potuto dimostrare che il primo pozzo realizzato ad Orvieto su commissione di Papa Clemente VII fu proprio quello della Cava e non quello di San Patrizio, come, non senza qualche contraddizione, si era ritenuto fino ad allora.

Fonte: www.iltamtam.it