cultura

Pagliano, un porto caduto nell’oblio degli uomini e del tempo

martedì 20 ottobre 2015
di Dr Alessandro Trapassi
Pagliano, un porto caduto nell’oblio degli uomini e del tempo

Pagliano. È già da qualche giorno che questo nome mi ronza nella testa, suonandomi vagamente familiare, sto sforzandomi di ricordami che cosa potesse significarmi, non ci riesco, vabbeh’, ricorrerò ad una ricerca su internet. Evviva ! Ho trovato finalmente qualcosa!

Google mi trova diversi file, di cui uno che descrive un’area archeologica,vicino ad Orvieto, dove si trova un porto romano, posto alla confluenza del fiume Paglia con il Tevere, e a questo punto, tutto mi è di nuovo chiaro, visibile di fronte a me e nei miei ricordi di archeologo, e la nebbia dell’oblio che me lo nascondeva, di colpo si dirada, e mi ritrovo nel mezzo della sua storia ! Ma vediamo di farne a questo punto, un po’ di chiarezza.

L’area archeologica di Pagliano si trova nelle immediate vicinanze della confluenza del fiume Tevere con il Paglia, a poca distanza da Orvieto, una zona economicamente strategica nell’antichità, dominata e controllata dal grande insediamento volsiniese di Castellonchio. La zona, compresa tra i due fiumi, forma una sorta di triangolo sopraelevato (per circa 6 metri) rispetto al terreno circostante; l’intera area archeologica si estende per circa 8000 metri quadrati.

Non vi sono notizie che riguardano scavi effettuati a Pagliano prima della fine dell’Ottocento. Bisogna attendere la seconda metà del XIX secolo, prima che si torni a parlare della presenza di questo importante sito archeologico, con scavi condotti in maniera sistematica.

In seguito a lavori agricoli effettuati per la ricerca di acqua nella Tenuta di Corbara, di proprietà dell’allora Banca Romana, vennero ritrovati, come venne annotato all’epoca, “alcuni piccoli oggetti e frammenti antichi”, e, in seguito a ciò, fu incaricato l’ingegnere Riccardo Mancini (noto per le lunghe campagne di scavo nelle necropoli orvietane di Cannicella e di Crocefisso del Tufo) di condurre, tra il 1889 e il 1890, una serie di scavi all’interno dell’area archeologica di Pagliano; ricerche che riportarono alla luce, oltre a un gran numero di reperti, una serie di ambienti di grandi dimensioni, in tutto 70, di cui solo 28 vennero allora esplorati.

Mancini produsse una notevole documentazione e, in un rapporto preliminare alla prima campagna di scavo, interpretò le strutture venute alla luce come i resti di un grande edificio termale. Gli scavi proseguirono fino al 29 novembre del 1890, quando i lavori cessarono all’improvviso. Ciò è da imputare a quello che di lì a breve sarebbe accaduto: la Banca Romana, finanziatrice degli scavi, venne indagata per una serie di ammanchi di capitali, che provocarono la caduta del Governo Giolitti e il fallimento dell’Istituto Bancario. Ricerche d’archivio hanno portato alla scoperta di un documento inedito redatto da Riccardo Mancini alla fine della seconda campagna di scavo, rinvenuto nell’archivio della parrocchia di Corbara da parte di due allievi della Scuola di Etruscologia. Si tratta della pianta definitiva in scala 1:200 delle strutture rinvenute, con annotazioni e dati importanti per ricostruire la natura del sito. Il primo ad ipotizzare che si potesse trattare di un porto, fu Annibale Ricci nel 1913. Nello scrivere la sua opera dal titolo, “storia di un comune rurale dell’Umbria (Baschi)”, e , per l’appunto parlando di Pagliano, disse che si potevano interpretare i resti come quelli “di una stazione di navigatori annessa forse a qualche grande villa”.

 GALLERIA FOTOGRAFICA

L'Antico Porto di Pagliano dimenticato e nel degrado


Le indagini su Pagliano vennero riprese negli anni ’20 del secolo scorso, quando Amilcare Manassei, fattore della Tenuta di Corbara, spogliò i resti rinvenuti, in maniera indiscriminata.

Solo nel 1925 il sacerdote bolsenese Consalvo Dottarelli, allora parroco di Corbara, procedette a una ripulitura dell’area archeologica e nel 1926, W. Valentini, Ispettore onorario di Orvieto, non accettando la tesi del Mancini, ipotizzò che si potesse trattare di un porto; tesi accolta in parte da U. Tarchi, che nel 1936 parlò di un edificio portuale o termale. Dopo ciò, Pagliano venne di nuovo dimenticata e i resti ricoperti dalla vegetazione.

Nel 1957 Cesare Morelli eseguì una ricognizione dell’area archeologica, di cui pubblicò una pianta completa nell’ambito di un articolo edito nel Bollettino dell’Istituto Storico Artistico Orvietano, in cui si confermava in via definitiva l’interpretazione delle strutture come pertinenti a un impianto portuale.
Ma negli anni compresi tra il 1962-65 sorsero nuovi problemi per Pagliano: la costruzione dell’Autostrada del Sole portò, infatti, all’occupazione dell’area archeologica per la costruzione di un grande cantiere stradale, con l’insediamento delle baracche per gli operai e dei depositi per i materiali, di cui sono ancora visibili le vestigia. Alcune strutture di epoca romana rimaste ancora in vista vennero abbattute per far posto a questi edifici provvisori.

A partire dal 2001 ha avuto inizio un nuova stagione per Pagliano: l’ENEL ha effettuato una prima ripulitura dell’area archeologica partendo dalle sponde a ridosso dei fiumi, e poi, proseguendo con la rimozione completa della vegetazione, riportando alla luce l’intera struttura. La Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Umbria ha provveduto, a questo punto, al consolidamento delle strutture conservate e alla promozione di nuove indagini di scavo.
Dal 2002 al 2006 è stato attivo un campo scuola in un settore nell’area archeologica di Pagliano, promosso per conto della Scuola di Etruscologia e Archeologia dell’Italia Antica (istituita dalla Fondazione per il Centro Studi “Città di Orvieto“) in piena collaborazione con la competente Soprintendenza, dove sono venuti a formarsi giovani archeologi. Qui essi hanno svolto sul campo tutte le funzioni che fanno parte del bagaglio professionale di un archeologo: dal rilievo delle strutture al disegno dei materiali e alla loro classificazione.

A Pagliano, in conclusione, si sviluppò un importante insediamento portuale di epoca romana che, allo stato attuale delle ricerche (in base allo studio preliminare delle monete e degli altri reperti ritrovati negli scavi ottocenteschi, e di recente, nelle indagini effettuate dalla Scuola di Etruscologia e dalla nostra Soprintendenza), sembra essere stato attivo agli inizi del I sec. a.C. fino all’intero arco del IV sec. d. C. Il dato più recente ricavabile dal materiale numismatico è rappresentato da monete di Arcadio, databili al 408.


L’interruzione dei dati archeologici va forse messa in relazione con la discesa in Italia di Alarico, che nella sua fase di avvicinamento a Roma, culminata con il saccheggio del 410, non risparmiò nulla nei territori attraversati. E, con ogni probabilità, non risparmiò neanche la zona di Pagliano, determinando a questo punto il definitivo declino dell’insediamento portuale, precludendone qualsiasi ulteriore possibilità di rinascita economica.

Quest’area ha svolto, sin da epoca molto antica, la funzione di centro di raccolta e smercio di prodotti e manufatti provenienti dall’Etruria interna e dai centri produttivi limitrofi. Qui venivano non solo imbarcate merci per Roma, ma anche prodotti agricoli del territorio orvietano, come olio, vino e grano. Non meraviglia, quindi, il ritrovamento di numerose macine in pietra, in uno degli ambienti più grandi del complesso archeologico.

Oltre a questo tipo di prodotti semilavorati, transitava per Pagliano anche ceramica aretina sigillata, prodotta nel vicino insediamento di Scoppieto presso Baschi, e poi trasportata a Roma lungo il Tevere, che in epoca antica rappresentava una delle principali vie fluviali di penetrazione commerciale e trait d’union fra l’Etruria interna e Roma. Di questo parlano ampiamente i classici (come Plinio, Strabone e Livio), con particolare riferimento al tipo di trasporti e alla navigabilità del Tevere, del Paglia e degli altri maggiori affluenti.

Oltre a ciò, si può osservare come il sito di Pagliano sia collocato al centro di una zona fortemente caratterizzata da presenze umane distribuite attraverso un arco cronologico molto esteso; presenze che vanno dall’età del Ferro all’epoca tardo-imperiale. Il territorio circostante è, difatti, caratterizzato da insediamenti produttivi (come Scoppieto), strategici (come quello sovrastante di Castellonchio), e agricoli (come quello attestato dalla necropoli di tombe a camera in località Vallone di S. Lorenzo, sulla riva sinistra del Tevere, presso Montecchio). Pagliano è, ed è stato tutto questo : sono state condotte nel 2009 e nel 2010 indagini geomagnetiche da parte del Dott. Tommaso Mattioli dell’Istituto di Studi Classici dell’Università degli Studi di Perugia che hanno evidenziato diverse anomalie magnetiche che potrebbero riservarci grosse sorprese: ciò ha permesso di indagare in maniera del tutto diversa l’area archeologica, rivelando che qualcosa di nuovo e di interessante potrebbe essere nascosto al di sotto delle strutture evidenti, ma questo è un altro discorso. Ciò che vorrei porre in grossa evidenza, è questo: dalla fine delle campagne di scavo condotte a Pagliano, l’area archeologica è stata di nuovo gradualmente e lentamente abbandonata a sé stessa: piano piano la vegetazione ha iniziato di nuovo a ricoprire le strutture già precedentemente scoperte e ripulite, anche sulle nuove strutture portate alla luce dalla Scuola di Etruscologia, rendendo vano quello che era stato fatto fino ad ora.

Il colpo finale a Pagliano, è stato sferrato dalla piena del fiume Paglia del 2012 che oltre a sconvolgere totalmente le zone attorno a Orvieto Scalo e a mettere in ginocchio diverse attività lavorative, ha fagocitato anche l’area archeologica di Pagliano. Questo sito archeologico fa parte del PAAO (Parco Archeologico Ambientale dell’Orvietano ) e del Parco fluviale del Tevere, dove già in passato era stata creata una pista ciclabile che da Ciconia portava direttamente all’area archeologica, con panchine, tavoli per picnic, ma tutto ciò non esiste più, spazzato via dalla piena.

Le strutture scoperte da Riccardo Mancini e dagli scavi effettuati di recente, sono stati sepolti da metri di fango, e da detriti che durante l’ondata di piena sono passati sopra di esse, seppellendole di nuovo, come se la natura volesse di nuovo prendere il sopravvento. Piange il cuore vedere che tutto quello che è stato fatto non esiste più , e che non interessa più a nessuno che questo non venga dimenticato : bisogna agire al più presto per fare in modo che il nostro passato e la nostra storia venga dimenticata. Agiamo o facciamo agire le istituzioni prima che sia troppo tardi, visto che si sta lavorando ad un contratto di fiume e che esistono fondi a disposizione per interventi in zone di particolare interesse archeologico e non , e di messa in sicurezza di zone dove la piena ha creato situazioni di grave instabilità geologica. Ma non mi voglio dilungare di più, spero che questo mio scritto serva ad aprire gli occhi ancora di più ! Quello che io non voglio dimenticare è chi ha lavorato a Pagliano e che ha permesso di acquisire nuovi dati archeologici per un ulteriore conoscenza dell’area archeologica : Irene Cucchiaini, Francesco Pacelli, Marco Marianeschi, Paolo Binaco, _Iuna Pani, Mara Perrone, Elisa Sciamannini, Rosanna Ovidi, Daniela Marricchi, Carlo Giuliani, Enrico Conticchio, Marco Perugini.

Di: Dottor Alessandro Trapassi, allora Tutor Campo Scuola Porto romano di Pagliano