cultura

Vittorio Sgarbi mette le forme d'arte a confronto a "Orvieto Fotografia"

sabato 7 marzo 2015
di Davide Pompei
Vittorio Sgarbi mette le forme d'arte a confronto a "Orvieto Fotografia"

"Sono felice di essere in Puglia". Esordisce così, ironizzando sull'accento che venerdì 6 marzo va per la maggiore nella Sala dei Quattrocento del Palazzo del Capitano del Popolo. Poi, si fa serio. Ammette che non ricordava l'esistenza di "uno spazio così bello". E regala alla prima delle tre giornate dell'undicesima edizione di "Orvieto Fotografia", la convention sulla fotografia e la comunicazione visiva organizzata da Fiof, una lectio magistralis sull'eterno confronto tra pittura e fotografia – che arriva a compendio di seminari e incontri incentrati su arte, creatività ed espressione artistica intesa nel senso più nobile del termine – altissima e dissacratoria, com'è nello stile provocatorio e spiazzante di Vittorio Sgarbi.

"Pittura e fotografia – spiega – sono legate a doppio nodo. Questo rapporto funge da griglia di visione nell'attività di Antonio Mancini. Brancaleone da Romana costruisce i suoi dipinti attraverso la fotografia. È Michelangelo Merisi da Caravaggio, tuttavia, il primo ad usarla come capacità di sintesi scontrandosi con la realtà fino a farne un calco. Basti pensare ai celebri 'Canestra di frutta', 'Ragazzo morso da un ramarro' o 'Conversione di San Paolo' in cui cristallizza il momento che intuisce come atto istantaneo. Dipinge l'istantanea.

L'immagine fotografica è l'elemento chiave del realismo di Antonio López García. Ritrae Madrid e il suo paesaggio, fermandone la vitalità o la desolazione. Così come facevano i pittori di posa del '600. Tiziano, Raffaello. Astratti o informali, non c'è ritrattista che possa prescindere dalla fotografia che ha in sé l'intuizione di cogliere il tempo mentre questo muta. Prima che un'operazione della macchina, la fotografia è un'azione della mente".

Il margine di "artistico", appare sotto questa luce, come un'etichetta mentale che viene attaccata di fronte a una foto sfuocata. Si ravvede l'arte, anche nell'errore. Critico e storico dell'arte, Sgarbi parla veloce. Infila serietà dette con ironia e parolacce, mentre sciorina nomi di artisti e colleghi. "Leonardo Cremonini – confida – mi disse che la pittura rappresenta la vita, la fotografia è la morte. Ovvero che quest'ultima blocca l'espressione di un volto, il cielo su un paesaggio. La pittura, invece, anche se antica tende a far vivere ciò che è lontano nel tempo. Eternizza l'esistente, rendendolo vita per sempre. Supera il presente, senza legarlo a un elemento preciso".

"Manet, Monet, Magritte – prosegue – devono molto alla fotografia che fa sentire l'odore del tempo e può anche fermare un sogno, un'idea o la sua interpretazione come nel caso delle tre persone affacciate a 'Il balcone'. Ottant'anni dopo, non ci sono più loro ma delle casse di legno. La pittura tende a fregarsene della morte, la fotografia porta con se un residuo, gela le cose come sono in quel momento. È la realtà, senza alterazioni. La pittura, invece, può giocare una partita più scatenata vivendo in una continua alimentazione del respiro. 'La Gioconda' respira e invita. La modernità di Fontana sta nel suo operare tagli sulla tela.

La tavolozza della fotografia è la realtà. Nel percorso digitale non ha perso il supporto, ma il piacere della stampa che eccita vecchi collezionisti. Fino a qualche anno fa, la documentazione dell'esistenza passava in rari casi in alcuni filmini all'anno. Ora siamo su miliardi di scatti telefonici al giorno. La produzione di documenti è quotidiana e senza fine. Il diario si è fatto immediato. C'è una rincorsa spasmodica tra foto e realtà.

Si fotografa un monumento o una persona con il rischio di non vederli nemmeno, per il piacere cieco di portarsi a casa un feticcio. Ogni giorno, io stesso subisco dai 20 ai 200 selfie. Il documentare diventa più imperante di vedere e quindi conoscere. La foto viene percepita ancora più importante dell'immagine in movimento. Filosoficamente, in quel fissare fisico, c'è un significato metafisico del dire 'che rimanga a memoria'. Tutto questo ha cambiato il rapporto tra la realtà e la sua riproduzione. L'ha stravolta.

Non resta che usare l'intelligenza e capire che un mondo e l'altro possono convivere con rispetto. Umiltà vuole che ogni foto sia tale, se prodotta con la demenza presuntuosa del selfie o con l'aristocrazia dello scatto pensato. C'è, poi, il margine dell'involontarietà di riprese prive di intenzione che pure colgono elementi utili alle indagini giudiziarie o momenti topici come il crollo delle campate di San Francesco. Le foto impediscono alla realtà di disperdersi. Non credo nella mitologia delle immagini d'arte in bianco e nero secondo cui c'è maggior rispetto. La riproduzione esatta è oggi garantita dall'alta tecnologia". Il resto è arte. Priva dal peso dei filtri e dai lacci delle interpretazioni.