cultura

Modernità a brandelli nel "Good with people" di Tiziano Panici e Vanessa Scalera

sabato 29 novembre 2014
di Davide Pompei
Modernità a brandelli nel "Good with people" di Tiziano Panici e Vanessa Scalera

Poesia, nell'essenzialità di uno spazio sostanzialmente nudo. Naturalezza, nei tempi scenici praticamente perfetti, frutto di rodaggio e lavoro di lima. Due solitudini che inteneriscono, quando goffe si annusano. E, in maniera forse fin troppo rapida, decidono di abbassare la maschera di fronte a due birre notturne.

A spiare il loro moderno minuetto relazionale, c'è un pubblico raccolto nella dimensione intima dello stare anch'esso sul palco. Dura cinquanta minuti, cinque scene consequenziali, "Good with people". Il tempo di catturare dai non detti, i brandelli di verità che muovono la storia, che Evan Bold e Helen Hughes sono già tornati rispettivamente Tiziano Panici e Vanessa Scalera.

Spetta a loro, giovedì 27 novembre, tenere a battesimo al Teatro Mancinelli di Orvieto "Visioni di Futuro". Non solo una rassegna, ma un progetto più ampio che mette al centro la drammaturgia contemporanea. Un teatro in profondità, per capire un tempo liquido e assurdo come il presente. E inserirlo in contesti ruvidi, per creare un tessuto ri-connettivo con il reale.

In linea con un caos esistenziale, dove a fare più rumore sono sguardi e silenzi, la scrittura nervosa di David Harrower, tra i più affermati autori teatrali della scena scozzese contemporanea, trova uguale forza nella trasposizione italica del giovane ma già esperto Panici, che ne firma con mano sicura e sensibile anche la regia.

Zaino in spalla e barba rossa d'ordinanza, è così che direttamente da Glasgow, si materializza nella pensione "Vista sul mare" il poco più che ventenne, reduce da una missione in Pakistan. A riportare a Helensbourgh, l'infermiere di guerra sono le seconde insolite nozze dei genitori. La strafottenza indossa il chiodo, l'insicurezza una giacca da matrimonio stropicciata.

Oppure gli occhiali di una madre borghese che dal bancone di una reception – geniali, il progetto visivo di Andrea Giansanti e il disegno luci di Giuseppe Filipponio nel valorizzare una struttura minimale – riconosce l'aggressore del figlio, vittima anni prima di inquietanti azioni di bullismo.

Supponenze, malcelati sottintesi e reciproci rimproveri degenerano però in attrazione e convivenza con ricordi volutamente rimossi. La colpa è individuale ma anche collettiva. La storia diventa parabola delle complessità della società scozzese. Su quel bancone, oltre alla chiave della stanza, c'è un passato doloroso, un presente mediocre e un futuro disilluso. Classi sociali poco avvezze al confronto, figurarsi al dialogo.

Lo fanno, per loro, i riferimenti storici alle contraddizioni di una nazione, disseminati nel testo scritto nel 2010 e tradotto da Natalia Di Giammarco. Lo fanno le musiche originali, a tratti oniriche e stranianti, di Marco Scattolini. Lo fanno costumi ed elementi di scena di Marta Genovese, il contributo artistico di Alice Spisa e Francesco Frangipane.

Apprezzato, a ragione, durante la rassegna sulle nuove tendenze delle drammaturgia britannica "Trend", lo spettacolo prodotto da ArTè in collaborazione con ArgotStudio si presenta come un'indagine morale ben calibrata, senza condanne definite, nè assoluzioni definitive per nessuno. Che nessuno, in fondo, è bravo con le persone.